Presentazione di James Edward Gobbett, Poesie – Rovereto, 28 giugno 2024

L’ ingegnere e la poesia

di Ludmila Vesely Leonardi


La scoperta che l’ingegner Gobbett scrive poesie è molto recente. Nato a Londra nel 1940, si è laureato in ingegneria a Cambridge. E’ venuto dall’Inghilterra in Italia negli anni sessanta del secolo scorso, a sposare la giovane studentessa italiana conosciuta a Cambridge. In Italia ha lavorato subito per varie aziende, prima a Milano, poi in altri paesi europei, e anche in Cina, Vietnam e Saudi Arabia.

Con grande facilità ha imparato l’italiano, e sempre letto moltissimo, in particolare i poeti inglesi anche contemporanei.

Tuttavia è stato dopo un viaggio a Parigi che ha avuto inizio la sua poesia: quando, in un intervallo tra un lavoro e l’altro, gli era stato offerto il posto di lettore di lingua inglese in una scuola di Riva, e la scuola ha organizzato una gita scolastica proprio a Parigi.

Si è trovato subito bene con le sue colleghe, lui che dal collegio in poi stava sempre fra uomini, e durante la gita ha provato a scrivere alle colleghe i famosi biglietti di san Valentino, che in Inghilterra sono una gentile abitudine. Così è cominciata la sua attività letteraria, la sua vena poetica.

Sappiamo che già prima era solito scrivere brevi poesie, in occasione di pranzi di famiglia o feste di compleanno, scritte in fretta su tovagliolini di carta, che poi però andavano perse.
Ma nel nuovo ambiente della scuola, con gli altri insegnanti, ha scoperto un nuovo mondo.
Nel nuovo ambiente della scuola ha trovato il suo linguaggio: la sua vena poetica gli ha dato la possibilità di farsi conoscere, di esprimere sentimenti e pensieri che come ingegnere, tra macchine, e viti e bulloni non aveva mai mostrato, e insomma come dice all’amica Luisa, era un “orso”.
Le poesie sono spesso brevi, “effimere”, perché esprimono un attimo di esistenza, ma un attimo che si ricorderà sempre, che tutti sentono.
Poesie rivolte alle colleghe, alla moglie, agli amici, e nascono dalla sua necessità di parlare, di dare voce alla realtà, dando in tal modo importanza fondamentale alla parola, al dialogo come dono di sé.

Una necessità per esistere e amare.
C’è il contrasto tra il suo lavoro di ingegnere e la sua sensibilità rivolta alle cose della natura, la consapevolezza della vita nei suoi momenti anche pesanti che Gobbett ci rivela a volte con lieve e sorridente ironia. C’è il ritrovato senso del lavoro, fatto per gli altri, l’amore, il contatto umano e il dialogo, l’amore di una vita per la moglie Paola.
Questi ed altri aspetti, si trovano anche nei disegni a china di Beatrice Prosser, che con intuizione geniale ha rappresentato James Gobbett come un robot che ci apre la porta e ci viene incontro, per dare il suo messaggio umano in poesia. Intuizione accolta dall’editore Dusatti che ha scelto di rappresentarlo in copertina. Il robot a me all’inizio non era piaciuto, pensando che non era abbastanza serio, poi ho pensato che i giovani l’avrebbero capito e apprezzato.

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