La presentazione si svolse presso la Biblioteca provinciale “N. Bernardini” di Lecce il 4 maggio. Fu così che entrai in contatto con Caruso, uno degli esponenti più noti, vivaci e attivi dello sperimentalismo poetico italiano della seconda metà del Novecento nelle sue varie declinazioni (poesia verbovisuale, poesia-oggetto, scrittura materica, libri d’artista, libri-oggetto, libri-opera). Ma egli è stato anche un cultore e appassionato investigatore delle avanguardie primonovecentesche, in particolare del futurismo, che ha contribuito a riscoprire e a rivalutare con una serie innumerevole di ristampe di manifesti, di libri, di riviste, di documenti quasi sempre introvabili. In questa veste soprattutto l’ho conosciuto e ho collaborato con lui, anche se ho seguito sempre con interesse il suo lavoro creativo.
Subito dopo la presentazione, il 29 maggio 1985, pubblicai sul “Quotidiano di Lecce” l’articolo Una collana di testi d’avanguardia… / Se Gutenberg sapesse, in cui illustravo l’impostazione della collana che – scrivevo «è divisa in due sezioni, “Storia”, dedicata alla ristampa di testi e documenti futuristi, e “Cronaca”, in cui trovano adeguata collocazione opere della più recente sperimentazione poetico-visuale […]. La sezione “Storia” è la naturale prosecuzione di un’altra iniziativa editoriale, Futuristi / Fonti delle avanguardie del ‘900 (coedizioni Spes-Salimbeni di Firenze), ed è quasi interamente costituita dalla stampa, in impeccabili riproduzioni anastatiche e in numero limitato di copie, di volumi e documenti di vario genere, rari e introvabili, della nostra prima avanguardia storica».
Il 9 giugno Caruso mi scrisse nuovamente per ringraziarmi della mia nota «attenta e puntuale». L’anno successivo, in una lettera del 6 giugno, poi, mi informava che le Edizioni fiorentine S.P.E.S. (Studio per edizioni scelte) avevano intenzione di ristampare, nella collana “Futuristi / Fonti delle avanguardie del ‘900”, una delle opere più originali, rare e preziose del futurismo, il famoso Depero futurista, dell’artista trentino Fortunato Depero, meglio noto come “Libro-macchina imbullonato”, pubblicato nel 1927 a Milano da Dinamo-Azari, e mi chiedeva un «intervento critico di due-tre cartelle, da mettere in Appendice». Io mandai il mio scritto che figura in un opuscolo a parte, custodito, insieme al libro, in una cartella originale in cartonato. In esso scrivevo che in quest’opera «Depero procede a una “meccanizzazione” dell’oggetto-libro: i bulloni prendono il posto della normale rilegatura; l’indice degli argomenti diventa la “tavola dei commutatori”; il lettore, per poter leggere alcune pagine per intero, è costretto a “manovrare” il libro come il volante dell’automobile e può, volendo, smontarlo e rimontarlo».
Nella lettera del 29 dicembre del 1986, intanto, Caruso mi annunziava la ristampa anastatica di un altro libro di Depero, Liriche radiofoniche, pubblicato dall’editore Morreale di Milano nel 1934, sempre nella collana delle Edizioni S.P.E.S., e mi chiedeva ancora un articolo: «se ti interessa, – scriveva ‒ anche uno scritto breve, va bene». Io, che avevo la fortuna di possedere l’originale di questo libro, impreziosito, fra l’altro, da una dedica autografa dell’autore, accettai con piacere. Nel mio scritto facevo notare che in quest’opera «si ritrovano tutti i motivi più tipici della sua arte [di Depero], sia quelli legati alla realtà naturale (gli animali, la vita in campagna, i fenomeno atmosferici come la pioggia, la neve, il vento), sia quelli modernistici (le nuove scoperte della tecnica, le metropoli, l’America». Poi procedevo a un esame tecnico delle Liriche radiofoniche, prendendo in considerazione alcuni aspetti specifici, come: l’aspetto fonico, l’uso dell’analogia, i rapporti tra il linguaggio delle poesie e quello cinematografico e della radiotelegrafia, e infine i rapporti tra le composizioni e i disegni e i fotomontaggi presenti nel libro.
Nel marzo del 1987, intanto, invitai Caruso per tenere due seminari per gli studenti che seguivano il mio corso di Storia della critica letteraria presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Lecce, dedicato quell’anno proprio al futurismo. E infatti il 26 e 27 marzo si svolsero i due incontri dal titolo: Le tavole parolibere futuriste e La rivoluzione tipografica futurista. Luciano venne a Lecce accompagnato dalla sua fidanzata, Sonia Puccetti, con la quale si sarebbe sposato un anno dopo.
Quando due mesi dopo gli mandai il mio scritto sulle Liriche radiofoniche di Depero, mi inviò la lettera che qui pubblico, manoscritta su carta intestata “Le brache di Gutenberg / Cronaca & storia | edizioni rare a cura di Luciano Caruso e dirette da Bruna e Franco Visco”. Caruso mi informava di aver ricevuto il mio intervento che gli sembrava «ottimo» e che insieme al suo e a quello di Cristopher Wagstaff, docente presso l’università inglese di Reading, sarebbero stati collocati in una Appendice del libro che comprendeva documenti e saggi critici. Intanto anche il lavoro per la ristampa del Depero futurista era andato avanti e infatti le due opere dell’artista trentino uscirono insieme, entrambe nel 1987.
Non potevo immaginare, allora, che anche la ristampa del “Libro-macchina imbullonato”, ben presto esaurita, sarebbe diventata rara e ricercata dai bibliofili e dai collezionisti, anche se ovviamente non come l’originale, una copia del quale è arrivata recentemente, in occasione di un’asta, a cifre esorbitanti (27.540 euro!).
Nel 1992 le Edizioni S.P.E.S. pubblicarono, ancora, un’altra ristampa, quella dell’intera collezione di una delle più significative riviste futuriste, “L’Italia futurista”, ricca di numerose tavole parolibere, che uscì a Firenze dal 1916 al 1918. Anche stavolta Luciano Caruso mi chiese un contributo che gli feci avere e che figura in un opuscolo che affianca tutti i numeri del giornale, ristampati nel formato originale e riuniti in un capiente contenitore. Nel mio articolo, in particolare, mi soffermavo sul genere di prosa coltivato dai collaboratori del periodico fiorentino, che definivo «un tipo particolare di “frammento”, caratterizzato nella fattispecie da uno spiccato interesse per l’occulto, l’esoterico, l’onirico» e che per questo motivo aveva fatto pensare al surrealismo.
Nel 1993 raccolsi saggi e interventi sul movimento marinettiano, tra i quali i tre scritti richiestimi da Caruso, in un volume dal titolo Futurismo e dintorni, apparso presso Congedo di Galatina, nella collana “Humanitas”, a cura di Mario Marti e Gino Rizzo. Quando uscì questo libro, egli pubblicò una recensione sul n. 116 di dicembre 1994 del periodico leccese “l’immaginazione” e poi sul n. 11 (1994-1995) di una rivista calabrese, “Daedalus”. In essa, fra l’altro, mi dava atto che la raccolta dei miei contributi sul futurismo «non solo risulta filologicamente corretta, ma spesso avanza ipotesi e rilievi critici che risultano illuminanti e fecondi, per proseguire una lettura senza preconcetti dei testi dell’avanguardia, inseriti nel loro contesto poetico dei primi decenni del secolo».
Anche negli anni seguenti restammo in contatto. Luciano mi mandava sempre le sue originali pubblicazioni e i cataloghi delle numerose mostre alle quali partecipava. In un paio di occasioni, mi fece dono anche di sue opere creative. L’ultima lettera, che contiene un invito a una mostra, risale al 2002, l’anno della sua prematura, improvvisa scomparsa.
Per tenere viva la memoria e l’opera di Luciano Caruso, a Firenze da qualche anno è stato costituito l’Archivio a lui intitolato, presieduto da Sonia Puccetti, che comprende, oltre alla documentazione completa della sua attività, un’importante raccolta delle sue creazioni artistiche, le sue pubblicazioni, il ricco carteggio e la sua articolata biblioteca.