Parole, parole, parole 24. «I doppioni li voglio, tutti…»

Tra questi Gadda, con un saggio che contiene la frase «I doppioni li voglio, tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze; e voglio anche i triploni, e i quadriploni […]» riportata in apertura di questo articolo. Mostra come egli viveva il suo rapporto con la lingua, elemento da sfruttare nella sua estrema duttilità per esprimere la complessità del pensiero umano.  La stessa frase campeggia in un pannello della mostra Cantieri di Gadda. Il groviglio della totalità (Milano, Politecnico, Spazio Guido Nardi, 13 giugno – 11 ottobre 2024), ideata a coronamento delle iniziative legate al cinquantenario della morte di Gadda. Ne sono curatori Mariarosa Bricchi, Paola Italia, Giorgio Pinotti, Claudio Vela (del «Centro Studi Gadda», Università di Pavia) e Roberto Dulio, Massimo Ferrari, Claudia Tinazzi (del Politecnico di Milano). La compartecipazione attiva (e splendidamente riuscita) di competenze umanistiche (Centro Gadda) e scientifiche (Politecnico) riflette la personalità di Gadda (Milano 1893-Roma 1973), negli anni dieci del Novecento studente di ingegneria al Politecnico, nel 1915 volontario nella prima guerra mondiale, prigioniero in Germania, nel 1920 laureato in ingegneria elettrotecnica (professione esercitata in Italia e all’estero fino al 1949),  nel 1926 collaboratore della rivista fiorentina “Solaria” con saggi e racconti, poi sempre più intensamente dedito  all’attività letteraria e autore di romanzi che rappresentano veri capolavori della letteratura italiana: La cognizione del dolore (pubbl. su rivista tra il 1939 e il 1941; in volume nel 1963 e con aggiunte nel 1970), Quer pasticciaccio brutto di via Merulana (su rivista tra il 1946 e il 1947 e in volume nel 1957), giallo senza soluzione ambientato nella Roma del 1927 (forse la sua opera più nota, anche grazie alla miniserie televisiva andata in onda in 4 puntate nel 1983) e, tra le opere dell’ultimo periodo, il saggio-pamphlet Eros e Priapo (1967) sulla retorica del regime fascista.

Non si fanno graduatorie, quando si parla di grandissimi. Certo Gadda è tra i grandi novatori della narrativa novecentesca, creatore di uno stile linguistico che arriva a fondere lingua nazionale, forme dialettali e usi gergali, dando vita a una prosa complessa in cui Gianfranco Contini individuava il punto d’arrivo della linea del plurilinguismo che attraversa, seppur in posizione marginale, l’intera storia della letteratura italiana. Lo scrittore usa sapientemente le più svariate risorse linguistiche (italiano antico, latino, greco, dialetti, lingue straniere, linguaggi settoriali), di continuo dà vita a neoformazioni o a neologismi semantici. La mescolanza di elementi disomogenei produce una prosa che spesso dichiara intolleranza nei confronti della corruzione diffusa e indignazione nei confronti di una storia che tradisce la cultura e le scelte morali. Con il suo stile linguistico unico, caratterizzato da una originale convergenza di sensibilità umanistica e di  approccio tecnico-scientifico, Gadda ha profondamente influenzato la storia della letteratura, imponendosi come uno degli autori più creativi e illustri del Novecento, la cui opera  innerva profondamente gli anni Duemila.

Ho avuto la fortuna di ammirare la mostra il giorno stesso dell’inaugurazione, entrando nell’officina dello scrittore e recuperando, attraverso un itinerario visivo fatto di carte e manoscritti autografi, esemplari di libri e di articoli, foto, mobili e oggetti (compresi gli scarponi infangati da lui indossati nelle trincee della prima guerra mondiale), il percorso biografico e intellettuale  di un protagonista della cultura del secolo in cui convivono sapere tecnico-scientifico, lingua, letteratura e filosofia. La vicenda umana e quella letteraria dell’autore, entrambe profondamente legate l’una all’altra e filtrate attraverso i luoghi frequentati e le vicende vissute, ne risultano nitidamente tratteggiate.

Di tutto ciò siamo grati ai curatori di questa mostra straordinaria.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 21 giugno 2024]

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