“Il Salento è una terra che cambia, giorno per giorno, ogni giorno (…) come ogni altra terra, senza differenza. Ma la memoria individuale e collettiva di com’è stata è scritta nella sua letteratura…” La parola scritta, dunque, per narrare dei luoghi, quei luoghi. Parola che seduce e conquista. Parola di cui Errico si serve con mirabile maestria oltrepassando, come sempre, la soglia dell’ordinario e del consueto.
“Passione Salento. Storie Luoghi Figure” uscito per Capone Editore è il titolo del nuovo libro di Antonio Errico. Smarrirsi tra le sue pagine è l’unico posto in cui valga la pena di andare se si vuol cogliere l’essenza di questi luoghi, un avamposto dove i confini si mescolano alla storia. Confini labili, imprecisi che a chi non appartiene a queste terre possono apparire come una geografia di immagini che si sovrappongono: Otranto, Castro, Santa Cesarea… può accadere di far confusione, di non essere capaci, al ritorno, di distinguere.
“Da provinciale a Lecce, ho sempre fatto pratica di smarrimento” scrive Errico. Solo così si avverte la vertigine che provoca il barocco, solo così, incontrandolo per caso. E come per uno spettacolo di magia e travestimento, tutto diventa apparizione e scomparsa, in un solo tempo. Regno della sontuosità, del visibile e del riparo per le solitudini e le fragilità umane di ogni tempo. Quel giorno, a Lecce, 38 gradi di calura asciutta e ventosa, tra i suoi vicoli ho incontrato una coppia di sposi: la città come set fotografico. Chissà se lei avrà sussurrato, come per una confessione: “Sono perduta.”
È un’anima così lontana eppure così vicina il Salento. Si consegna a noi con tutto il suo tempo.
“Noi non ci vergogniamo delle nostre origini. Siamo greci e ciò è per noi motivo di gloria” dice Antonio De Ferraris, detto il Galateo, nel suo De Situ Japygiae – materia antropologica e mappa dell’esistenza.
Antonio Errico narratore trova nel suo libro il tempo del racconto. Parole misteriose, a tratti malinconiche, che seguono la modulazione della sua voce. La voce di Errico salva, a volte crea, respira con noi. Ha un potere magico la voce di Errico, come quando, richiamando a sé Antonio Pizzuto ci racconta dell’aggiusta bambole. Bambole di stoffa, di porcellana, di plastica. Bambole da ricomporre come sogni infranti di bambina. Bambole per mettere insieme il pranzo con la cena, o per mandare i figli a scuola. Racconta di ragazzini che giocano con le palline di vetro sullo sterrato, Antonio Errico. Racconta delle biglie che vince l’uomo quando con quei ragazzini si cimenta ritrovando la mira di un tempo.
Nel libro di Errico i racconti diventano volti, luoghi interiori, figurazioni della memoria. Il mare, il suolo e le sue anime e sempre quella maniera in cui la luce si riflette. Una questione di riflessione.
Non conoscevo Vittorio Bodini prima di leggere Errico. Non conoscevo i luoghi dove si era fatto il suo volto, né conoscevo il tramonto sanguinolento del suo Sud. Ne sapevo poco di Antonio Verri, di Vittore Fiore, di Maria Corti – di quanti altri non so, ristretta nel mio confine orientale bastevole a se stesso e al suo sentire incerto, conflittuale e nostalgico. Leggere Antonio Errico ti costringe ad approfondire, a scandagliare, a investigare. Con passione, sempre con passione.
Ma qual è la vera forma del Salento? Esiste davvero il Salento o, come per le pagine di un romanzo, la sua realtà si muove dentro una trama di realtà e di invenzione? “Dalla letteratura dei narratori e poeti salentini, noi facciamo derivare tutte le forme possibili del Salento” sembra rispondere Errico. Come se questi autori, con coerenza e coesione, ci offrano tutti elementi comuni per definire questa terra – rappresentativi dal punto di vista semantico, ma anche di quello degli eventi, di piani ed equilibri che si formano davanti ai nostri occhi, di incanti e disincanti – fino a comporre un unico grande affresco. Letteratura intesa non soltanto come nostos, per usare una parola cara ad Antonio Errico – quel ritornare con sottile malinconia a ciò che è stato, alla cultura alla quale apparteniamo e che ci appartiene – ma anche a “quella condizione dalla quale partiamo per pensare al progetto di un tempo a venire.”
Come ogni incontro, anche quello con un luogo – e con chi ci vive – è avventuroso, seducente, ricco di promesse e di rischi. Ma è il ritorno in un luogo a rimanere il più affascinante tra i viaggi. Sembra dircelo Antonio Errico con un titolo che è quasi un vincolo: Passione Salento.
“Perché cavalcate per queste terre?” chiede nella famosa ballata di Rilke l’alfiere al marchese che procede al suo fianco. “Per ritornare” risponde l’altro.