di Carmen Gasparotto
Ci sono luoghi che hanno qualcosa a che vedere con il nostro destino. Il Salento è uno di questi.
Ad Antonio Errico devo il mio gusto per il Salento e ben altro. È quasi impossibile dissociare Antonio Errico dalla terra alla quale appartiene. Terra che possiede la sostanza di un miraggio, di un detto e non detto, del mistero dietro al visibile. È così il Salento.
Si porta appresso il richiamo degli abissi azzurri di un cielo impenetrabile, di architetture che mutano seguendo la luce che le illumina o l’ombra che le occulta.
È così il Salento, capace di colmare ogni senso di vuoto.
Se un viaggio si misura dall’intensità e non dalla durata, una fugace settimana in Salento può vivere più di una quercia secolare. L’ultimo giorno, l’ultimo bosco, l’ultima caccia… nella piccola libreria di Lecce un campanello scacciapensieri ha accompagnato il mio ingresso. Non cercavo un libro in particolare, forse un libro che mi restituisse un’atmosfera, una raccolta di poesie, o una guida sentimentale. Qualcosa da portare con me, come potrebbe fare un bambino per ammorbidire un distacco, ma la letteratura, si sa, non è mai innocente. Né colpevole, del resto.