Canfora smonta le facili credenze politiche in circolazione non per proporre un modello inarrivabile di democrazia, ma al fine di mostrare le alterne vicende cui va soggetta la reale vita democratica di uno stato. Nel tempo in cui, nelle moderne democrazie occidentali, “i tratti dominanti sono la elementarità sloganistica, il crescente assenteismo, e, per converso, la dedizione per così dire istintuale e mimetica verso personalità galvanizzanti” (p. 75), la vita democratica sembra essersi spenta. Ma non sarà così per sempre. Lo studio della storia antica insegna che “la democrazia è un prodotto instabile, è il prevalere (temporaneo) dei non-possidenti nel perenne conflitto. È perciò un prodotto chimico instabile, e vive di un’esistenza intermittente. Il suo affiorare (che non accade spesso) è dovuto all’irrompere nel regime “misto” o oligarchico (che è la norma), di istanze egualitarie più o meno coronate da durevole successo, che quasi sempre si fanno strada attraverso l’asprezza del conflitto, e, lo dimostrano i ricorrenti drammi della storia sin qui conosciuta, con la violenza.” (p. 82). Come si vede la democrazia, retta sempre da un’oligarchia, per essere viva, deve mantenere dentro di sé il conflitto, laddove i non-possidenti premono perché a loro vengano riconosciuti diritti e migliori condizioni materiali di vita. Da questo processo conflittuale non è esclusa talora la violenza, come è facile verificare se si guardi non solo alla storia del nostro recente passato, ma a tutta la storia dell’uomo. Anche per questo Canfora definisce la politica come un’ “arte rischiosa”: “La politica è arte troppo grande per non essere rischiosa – già per il fatto che grazie a essa alcuni divengono arbitri del destino di tutti gli altri – per non comportare per chi vi si cimenta da protagonista, prezzi altissimi.” (p. 127) Lo sa bene la figura del tiranno, che continuamente, nella sua azione politica rischia di diventare “vittima, e talora vittima sacrificale”(p. 128). Anche su questa figura Canfora ha da dire la sua, e sempre sulla scorta di quanto insegna lo studio degli antichi: “Il problema vero è che il tiranno è un’invenzione, una creazione politico-letteraria. Quando il suo potere si dimostra durevole, si deve realisticamente riconoscere che il “tiranno” (termine impreciso e iperbolico) è qualcuno che ha dalla sua un pezzo più o meno grande, talvolta molto grande, della società. Dunque il problema è di sconfiggerlo politicamente, non di abbattere quella singola persona.” (pp. 47-48). Nessun tiranno, infatti, potrebbe rimanere a lungo al potere senza il volere delle oligarchie e delle masse e pertanto la legittimità del suo potere deve essere misurata dal grado di consenso che gli è riservato. È forse un caso che Platone “si è aperto, nella prassi, a un’empirica intesa con i tiranni”? (p. 126) “È stata una scelta di realismo politico che di solito resta in ombra quando si parla di Platone…” (ibidem).
Quante cose potrebbero imparare i nostri governanti, se solo leggessero un po’ di più! Ed invece, a distanza di dodici anni da quando Canfora scriveva queste parole (2012), essi preparano la guerra tra gli imperi, che, come per gli antichi, non può che essere questa di annientamento del nemico: “Riflettendo sui conflitti di potenza che innervano l’intera vicenda storica del mondo antico si può osservare che il presupposto di tali conflitti è che l’obiettivo restava sempre quello della totale distruzione (prima o poi) dell’avversario. Le paci erano soltanto tregue. Ma il nostro civilizzato presente, non offre, a ben vedere, analogo scenario?” (pp. 104-105) Canfora profeta? No, semplicemente realistico analista della realtà del nostro tempo, di un tempo che oggi rivela tutta la sua crudezza nei campi di battaglia dei diversi fronti. Per parte sua, Canfora, non ha dubbi sui responsabili: <<Le guerre che punteggiano il nostro presente hanno tutte una robusta motivazione molto “materialistica”: alimentare il colossale profitto dei fabbricanti e venditori di armi annidati nel cuore del potere dei Paesi più ricchi e “per bene” è coessenziale a essi. Siamo entrati dunque in una fase della storia in cui la retorica del bellum iustum ha finalmente rivelato la sua impudicizia, e si può “giocare a carte scoperte”.>> (pp. 227-228). Il sistema militare-industriale dell’Occidente collettivo è dunque alle origini della grande instabilità globale che turba i nostri giorni, con la minaccia della distruzione globale.
Che cosa si può fare? Preso “atto che il ciclo storico della democrazia di tipo elettivo-parlamentare-rappresentativo si è sostanzialmente concluso”, Canfora afferma “che ci si parano davanti due strade: o continuare a fingere di prendere sul serio l’autorappresentazione di tali sistemi ormai definibili come ex democratici (…) ovvero guardare in faccia la realtà, rifarsi alle menti più lucide che questo processo intravidero e descrissero (Gaetano Mosca, Roberto Michels, Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, 13, 30) e interrogarsi sui modi (prevedibili già ora?) di intervenire nella situazione data, avendo di mira la formazione di altre élite in grado, per capacità e preparazione, di sostituire quelle autoreferenziali (ben protette dalla messinscena elettoral-democratica).” (pp. 130-131). Canfora scriveva queste parole nel 2009. A distanza di quindici anni, la situazione internazionale si è aggravata, le élite al potere sono le stesse e le prospettive della loro sostituzione non lasciano adito a molte speranze. Anche “l’autorappresentazione” dei Paesi sedicenti democratici si è fatta ancora più fittizia. Pertanto, la domanda finale non può che essere questa: fino a quando ci culleremo nell’autorappresentazione del mondo occidentale come del migliore dei mondi possibili, fino a quando rinunceremo a “guardare in faccia la realtà”?