La basilica padovana del Santo più volte danneggiata dai nubifragi nei secoli

     Probabilmente le tre catene di ferro che tengono in sesto l’arco tra la prima cupola e la seconda furono poste in quell’anno. Alla pagina 35 è riportata l’immagine delle otto cupole della Basilica: inizialmente esse erano sei e formavano con la loro disposizione la perfetta croce latina e precisamente la prima e la seconda costituivano il busto, la cupola centrale, due laterali che formavano le braccia della croce e l’altra il capo. Le altre due cupole, precisamente quella dell’abside e quella della cappella delle Reliquie, furono aggiunte in un secondo momento (Foto).

     Padre Valerio Zaramella nel suo libro dal titolo “Guida inedita della Basilica del Santo” scrive a proposito dell’evento meteorologico del 1394: “Un fulmine si scaricò sulla Basilica e la ridusse malconcia (sulla sommità dei campanili e delle cupole non erano ancora stati fissati i parafulmini, ndr). Si era tra la fine di marzo e l’inizio di aprile e con i primi temporali primaverili, un turbine, o un fulmine o un nembo, come definisce il Gonzati, sconquassò la basilica. I frati pensavano davvero di non farcela a riparare i gravi danni e ricorrono per aiuto al papa Bonifacio IX, successore legittimo, fra tanti antipapi, di Urbano VI, che era tornato da Avignone. Il papa Bonifacio IX della famiglia dei Tomacelli accoglie la supplica dei frati di Padova e scrive una lettera a tutti i fedeli del mondo cattolico, perché vengano in aiuto dei frati che si trovano in strettezze e temono che la situazione peggiori se non si riparano subito i gravi danni”.  E padre Zaramella continua nel suo articolo: “Il papa invogliava i cristiani ad essere generosi concedendo loro delle indulgenze […] e i fedeli diedero ascolto al papa e subito vennero gli aiuti e con questi i frati poterono riassettare chiesa e convento malridotti”. In quella circostanza la città di Padova “si tassò di cento lire annue per concorrere alle ingenti spese necessarie alla riparazione (Padova in quel periodo era in guerra con Venezia e le sue finanze erano tali che non poteva dare di più, ndr); la corresponsione delle cento lire annue continuerà per una decina di anni finché perdurerà l’indipendenza della signoria di Padova (dei Carraresi con Francesco Novello, ndr). La Repubblica di Venezia con i suoi quattro secoli di dominio (1404-1797) vorrà essere consultata prima che si effettuino dei lavori e prima che si affrontino gravi spese, ma non concorrerà con l’erario pubblico. I frati e la veneranda Arca dovettero sbrigarsela da soli, anche se Venezia era stata la causa diretta o indiretta dei disastri come nella guerra del 1509 contro Massimiliano d’Asburgo e la lega di Cambrai (firmata nel 1508 fra l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, il papa Giulio II, Luigi XII di Francia, Ferdinando il Cattolico, re di Aragona, contro l’espansione della Repubblica di Venezia, ndr). Del disastro meteorologico rimane un ricordo ben visibile in quelle tre spranghe-catene di ferro che serrano come in una morsa potente l’arco tra la prima e la seconda cupola, che forse avevano maggiormente risentito del sinistro.  E ancora padre Zaramella dice: “Il fatto che i padovani si rivolsero a Bonifacio IX conferma la verità del detto che i padovani sono fermi nella fede e non deflettono dalla via retta. Fedeli a Roma prima di Cristo, e fedeli alla Chiesa di Roma dopo Cristo. Del resto la fedeltà alla Chiesa era una delle doti che avevano reso i padovani cari a Sant’Antonio”.

     Un’orribile meteora pressoché simile a quella del 1394 e di poco inferiore a quella dell’agosto 1834 colpì la parte meridionale della città, il circondario della Basilica, nell’anno 1537.  Zaramella a pagina 468 racconta: “Un fulmine scoppiò sul campanile posto a mezzogiorno, a mano destra della tribuna, e in gran parte lo scassinò talché ci fu mestieri fasciare di ferro alcuni pilastri che sorreggevano la cella delle campane, fortificare gli archi, incatenare il corpo dell’edifizio, alternare al cotto il macigno per maggiore solidità, rinnovare in somma il ristauro del 1437. Di qua la differenza di materiali e di ornati che si riscontrano tra l’una e l’altra di queste elegantissime torri. Dopo il fulmine non tardò a scoscendere grossa grandine sterminatrice, la quale scaricandosi impetuosamente sopra i tetti delle cappelle e del convento, le tegole rimasero infrante per modo che questo e quelle si dovettero coprire di nuovo”. Zaramella riprende dal Gonzati questo episodio. “Il 17 agosto 1756 investì Padova un turbine che ebbe come epicentro il Palazzo della Ragione; ma pare che la Basilica del Santo non abbia risentito così da essere compromessa sensibilmente. Perché il cielo sdegnato non incolse le umane vite, se ne celebra ogni anno grata commemorazione nella padovana cattedrale il dì 17 agosto giorno in cui si ricorda eziandio quel fierissimo turbine che l’anno 1756 svelse dalla sua impalcatura quasi intiera la volta del celebre Salone”.

     Padre Zaramella (p. 470) descrive un altro evento accaduto il 26 agosto 1834: “Sul dopo pranzo, dopo che per tutta la mattinata i temporali si erano susseguiti incessantemente, scese per venti minuti un temporale grave e possente mai visto prima d’allora. Il giornale meteorologico di Padova del 1834 riferisce che i grani più grossi pesavano due kilogrammi e che due giorni dopo si rinvennero ancora non liquefatti. Ne furono trovati di circa sette libbre. Danni causati dalla grandine: angolo della torre-cupola centrale infranto, tetti scoperchiati, rotte invetriate, forate grondaie, imposte dai loro arpioni strappate, scarniti qua e là i muri della città, spigoli di cornici, pezzi di fregi, fumaioli ruinati. Ne uscirono malconce anche le statue del Prato della Valle da cui l’appellativo da questo giorno in poi di ‘Giardino degli invalidi’. La statua equestre di Donatello fu privata delle redini; la statua  di sant’Antonio posta sulla facciata fu privata del braccio benedicente. Spesi più di centomila franchi di riparazioni immediate e non si poteva chiedere alla gente, perché quasi tutti dovevano riparare le proprie case o casette molto più fragili. Un po’ alla volta si ripararono le molte ferite subite”.

     Padre Bernardo Gonzati, essendo stato testimone oculare dell’evento, così descrive dettagliatamente l’episodio del 1834, Nel capitolo XXVI intitolato ‘Grandine sterminatrice’ (pp. 108-110): “La mattina del 26 agosto vidersi nuvoli vaganti nell’orizzonte che ognor più moltiplicavano. Sul mezzogiorno il cielo era già tutto coperto di nubi distese continuate, che, spirando un soffocante vento di Est, via più si condensavano abbassandosi. A un’ora pomeridiana il violento agitarsi di que’ nuvoloni senza lampi e senza tuoni accavalciantisi un’immagine porgeva di tetra torbida sera. Dopo venticinque minuti succedettero brevi momenti di calma; poco stante prevalere un forte soffiare d’Ovest-nord-ovest che divideva in minute goccie la pioggia; in quella ecco da lontano due scariche elettriche. A un’ora e ventisette minuti incominciò a cadere gragnuola mista a goccioli d’acqua che durò due minuti. Dopo un altro scoppio elettrico più romoroso e vicino, la grandine fecesi grossa ma rada, poi più ponderosa, più fitta, terribilissima, scoscendente in gran copia lastre, massi globosi o informi di ghiaccio; e intanto un baleno incessante accompagnato da cupo rumore più tremendo che tuono. E’ da credersi come all’inusitato fenomeno soprappresi fossero i cittadini dallo spavento; ma poi intenso ci occupò il terror quando sentiamo sopra il nostro capo e tutti intorno accrescersi il fragore  e imperversava la grandine con più furia di prima. Non più grandine pareva, ma pietre, macigni. Noi che atterriti accorremmo alla chiesa, noi che genuflessi a’ pie’ dell’Arca pregavamo il Taumaturgo, eravamo feriti gli orecchi da tale calpestio e fiero percuotere sui piombi, qual di cavalli correnti alla battaglia. Le volte e le cupole sì forte strepevano, rimbombavano che pareano precipitare. Come a Dio piacque, cessò la bufera, seguitandolo direttissima pioggia. Dall’incominciare al finire venti minuti con la breve tregua di due. La più gran foga ne durò sei, che ore sembravano ai meno animosi anzicché minuti. A quel che ne dice il Giornale  Astro-Meteorologico di Padova nel 1836, i grani più grossi pesavano due chiilogrammi, che due giorni dopo si rinvennero non ancor liquefatti; ho poi sentito asserire che ne furono trovati da 6 a 7 libre. Sotto si orribile flagello nessuno ha perduto la vita; tutti ebbero tempo di riparare chi sotto i porticali pubblici, molti alle proprie case, alcuni a questa chiesa che nelle ore di luce sta sempre aperta. Ma i fabbricati di Padova, ove più ove meno, furono tutti danneggiati. Tegole infrante, tetti scoperchiati, rotte invetriate, forate grondaie, imposte dai loro arpioni strappate, scarnicati qua e là i muri delle case, spigoli di cornici, pezzi di fregi, fumaioli ruinati. Più che le altre parti della città fu battuto orrendemente l’australe; quindi le statue del Prato della Valle restarono mutilate, senza riparo alle pioggie la chiesa di Santa Giustina, le abitazioni d’embrici scoperte, restatone illeso appena uno tra cento.

     Si pensi ora qual dovette essere lo stato di questa Basilica e del contiguo convento, edifizi i più esposti alla sterminatrice meteora.

     I piombi pareano  percossi da potentissimi colpi di maglio, che ogni cupola, dalle ale piovea nella crociera, nelle navate, nelle cappelle. La statua di san Prosdocimo che si rizza da mensola nel muro esterno volto a settentrione, benché di pietra non fragile, restò senza capo. Senza la mano destra che ne benedice la statua marmorea di s. Antonio nella facciata; la equestre di bronzo del Gattamelata senza redini in mano. Tanti furono i guasti, che a ristorare la chiesa e i fabbricati adiacenti la spesa ammontò a oltre 100.000 franchi, senza speranza di cittadini soccorsi, essendo stato d’ogni famiglia e troppo comune  il disastro”.

Bibliografia

B. Gonzati, La Basilica di s. Antonio di Padova. Descritta ed Illustrata,  Padova, Tipografia A. Bianchi, 1852; Vol. I, cap. XIII. Avvenimenti dannosi alla Basilica- Folgore, p. 42;

Id., La Basiica di s. Antonio di Padova …, Padova Tipografia A. Bianchi, 1852; vol. I, cap. XXI – Guasti del Convento 1537, p. 82;

Id., La Basilica di s. Antonio di Padova…, Padova, Tipografia. A. Bianchi, vol. I, cap. XXVI, pp. 108-110;

Id., La Basilica di s. Antonio di Padova…, Padova, Tip. A. Bianchi, vol. I,  p. 35 (Le cupole della Basilica);

V. Zaramella, Guida inedita della Basilica del Santo,  Padova, Centro Studi Antoniani, 1996, pp 462-470.

www.spaziopadova.com 1834 la grandine straordinaria caduta in Padova. L. Casari: prof. supplente di  Fisica nell’Istituto Regio Liceo di Vicenza e scrisse dottamente su questo avvenimento, pubblicando sugli Annali delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto, anno 1834, .p 337.

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