Per una gestione dell’ambiente marino basata sulla conoscenza

Una politica unilaterale

In questo scenario apparentemente senza sbocchi, l’Unione Europea ha deciso unilateralmente di avviare un percorso verso la sostenibilità, senza aspettare che gli altri facciano lo stesso, emanando una serie di misure che favoriscono un uso razionale dello spazio marittimo alla luce della sostenibilità (Fig. 1). Questo approccio è iniziato nel 1979 con la direttiva sugli uccelli concentrata sulla protezione di una porzione carismatica della biodiversità. Questo ha portato al riconoscimento di Aree Specialmente Protette e una lista di 500 specie protette. Nel 1992 la Direttiva Habitat, ha identificato Aree Speciali di Conservazione e Siti di Importanza Comunitaria, coprendo sia specie che habitat. Con la Direttiva Habitat, la protezione si estende anche a specie ancora sconosciute, promuovendo il concetto che se gli habitat sono protetti, questo è benefico per tutte le specie che li abitano. Il numero di habitat marini protetti (9), tuttavia, è piccolo, rispetto a quello degli habitat terrestri (189). La fusione delle Direttive su Uccelli e Habitat ha portato a una rete di aree protette, la Rete Natura 2000, che considera solo gli habitat bentonici, ignorando la colonna d’acqua, la stragrande maggioranza dello spazio abitato dalla vita. La colonna d’acqua non è un semplice mezzo, come lo è l’atmosfera negli habitat emersi, ma una serie di habitat. La Direttiva quadro sull’acqua ha continuato su questa strada nell’anno 2000, con una serie di prescrizioni per lo Stato di Qualità delle acque superficiali e delle acque sotterranee, basate sulle loro caratteristiche chimiche. Nel 2008, la Direttiva quadro sulla strategia marina (MSFD) ha coperto sia la biodiversità che il funzionamento degli ecosistemi con il concetto di Buono Stato Ambientale (GES), declinato con undici descrittori che coprono sia la colonna d’acqua sia il fondale marino. La biodiversità è il primo descrittore, gli altri 10 descrittori coprono una serie di stress e processi, prescrivendo che non dovrebbero compromettere il funzionamento degli ecosistemi. La Direttiva sulla strategia marina ha introdotto l’Approccio Ecosistemico, (EA) passando dagli habitat agli ecosistemi come oggetti di gestione e conservazione, prescrivendo che il GES doveva essere raggiunto in tutte le acque europee entro il 2020, un obiettivo che è ben lungi dall’essere stato raggiunto. La Direttiva quadro sulla strategia marina, tuttavia, ha stabilito un principio chiave: qualsiasi cosa facciamo deve tenere conto della qualità della biodiversità e degli ecosistemi.

Nel 2013 la Politica Comune della Pesca ha riordinato una serie di norme riguardanti la pesca, mirando all’approccio ecosistemico nella gestione dell’estrazione delle risorse marine viventi. Nel 2014 la Direttiva sulla pianificazione dello spazio marittimo (MSPD), ha introdotto il concetto di Crescita Blu e prescritto la pianificazione di tutte le attività umane basate sul mare in modo strategico e non una per una, al fine di preservare lo spazio marittimo rispetto a una serie di molteplici stress di origine umana. Per sottolineare ulteriormente la visione olistica dell’UE nella gestione dello spazio marino, nel 2021 è stata lanciata la Missione Oceani, Mari e Acque Costiere Salutari, sulla base del fatto che tutte le acque, sia marine che interne, devono essere comprese in un unico quadro. Nel 2019 la Commissione europea ha lanciato il Green Deal europeo con l’anno 2050 come anno target per la costruzione di un’economia verde in Europa, basata sulla transizione ecologica. Nel 2021 l’Area missione su Oceani, Mari e Acque Costiere Salutari è evoluta in Missione: Ripristinare i nostri oceani e acque (), passando dalla protezione al ripristino attivo e fissando il 2030 come termine per il compimento della missione. Nel 2022 la Legge sul Ripristino della Natura ha formalizzato gli obiettivi della Missione.

Incoerenze nell’applicazione delle misure

La Fig. 1 mostra che ogni misura è stata aggiunta alle precedenti, senza sostituirle: nel 2022 coesistevano nove misure legislative, alcune sono state aggiornate ma spesso sono applicate e interpretate indipendentemente le une dalle altre. Inoltre, i singoli stati le applicavano in base alle loro politiche nazionali, alcune più sensibili alla conservazione del capitale naturale, altre più sensibili alla crescita del capitale economico e sociale. Inoltre, le politiche sulla pesca sono sviluppate separatamente da quelle sugli ecosistemi. I siti marini di Natura 2000 si concentrano ancora sugli habitat bentonici e non coprono gli ecosistemi: il focus sugli habitat, nonostante l’approccio ecosistemico, rimane forte e trascura gli aspetti funzionali, considerando solo il benthos. Inoltre, i descrittori di Buono Stato Ambientale sono affrontati spesso singolarmente, in modo riduzionistico, trascurando l’approccio olistico che è il marchio distintivo della Direttiva quadro sulla strategia marina: una strategia è perseguita da una serie di tattiche non coordinate. Per la Commissione europea, inoltre, le Aree Marine Protette coincidono con la rete Natura 2000, mentre gli stati singoli hanno istituito Aree Marine Protette nazionali che non necessariamente si sovrappongono a quelle della Rete Natura 2000. Le Nazioni Unite hanno proposto di classificare il 30% dello spazio marittimo come Aree Marine Protette entro il 2030, mentre la Direttiva quadro sulla strategia marina prescrive che il Buono Stato Ambientale debba essere raggiunto in tutte le acque dell’UE entro il 2020. Questo è molto più del 30%; GES, infatti, chiede la conservazione sia della biodiversità sia degli ecosistemi: il vero obiettivo delle AMP. Le attuali AMP proteggono habitat eccezionali ma non necessariamente comprendono interi ecosistemi che permettono la salute di habitat particolari. Pertanto, le reti di AMP focalizzate sugli habitat devono coprire ecosistemi, come richiesto dall’attuazione della Strategia Marina. Chiedere il 30% dello spazio protetto, in presenza di una direttiva che chiede una buona gestione per il 100% dello spazio marino europeo, abbassa le aspettative di protezione.

Sostenibilità

L’insostenibilità dei sistemi economici attuali, che esercitano pressioni insopportabili sugli ecosistemi, ha portato all’emanazione del Green Deal europeo. Il raggiungimento della sostenibilità attraverso il Green Deal richiede l’aggiornamento delle attuali tecnologie al fine di minimizzare gli impatti futuri su biodiversità ed ecosistemi. Questo richiede nuovi modi di ottenere energia, incluso il cibo, e l’uso dei materiali alla luce di un’economia circolare che riduce la linearità dell’economia mainstream: gli oggetti devono essere riutilizzati e i loro materiali, se il riutilizzo non è praticabile, non devono terminare la loro vita come rifiuti ma essere invece riciclati. Le misure della Direttiva Marina permettono di valutare l’efficacia delle nuove tecnologie in termini di GES: se le nuove tecnologie migliorano lo stato dell’ambiente, allora sono sostenibili, se lo stato dell’ambiente rimane invariato, non sono realmente efficaci, mentre se lo stato ambientale viene abbassato, le tecnologie sono chiaramente insostenibili. Il successo della transizione ecologica verso una nuova economia sostenibile è una questione sia di tecnologia sia di ecologia. Le tecnologie, inoltre, devono essere inserite in un contesto spaziale, come prescritto dalla DSSM, perché i loro impatti (sperabilmente positivi) devono essere valutati nel loro complesso, e non uno alla volta. L’impatto cumulativo di molteplici fattori di stress potrebbe essere insopportabile, anche se l’impatto dei singoli stress potrebbe risultare di scarso effetto sia sulla biodiversità sia sugli ecosistemi. Lo stesso impatto, inoltre, potrebbe avere risultati diversi in luoghi diversi.

La via verso una gestione basata sulla conoscenza

La missione della scienza è identificare l’ignoranza e ridurla; l’ignoranza sulla biodiversità e sugli ecosistemi è grande, poiché la maggior parte delle specie è sconosciuta e il funzionamento degli ecosistemi è lungi dall’essere completamente descritto e compreso. Questa ignoranza è la causa principale della cattiva gestione dei sistemi naturali. La consapevolezza della necessità di una transizione ecologica, cioè il passaggio dall’attuale modo di rapportarsi alla natura a un altro che dia importanza alla conoscenza della natura (ecologia), è una precondizione per decisioni sagge. L’approccio precauzionale prescrive che non dovremmo perseguire alcuna iniziativa le cui conseguenze siano sconosciute, ma ciò impedirebbe tutte le iniziative, con altre conseguenze, specialmente sul nostro benessere. Tuttavia, non possiamo aspettare di acquisire tutte le conoscenze ecologiche necessarie per decidere cosa fare. Caso per caso, quindi, le conseguenze delle azioni specifiche devono essere valutate, con un approccio volto ad imparare facendo, utilizzando le “migliori” conoscenze disponibili, essendo consapevoli che l’attuale “meglio” è insufficiente e necessita di seri miglioramenti. Valutazioni specifiche aggiungono nuove conoscenze che dovrebbero essere organizzate in un database generale volto a raccogliere e integrare tutte le conoscenze disponibili sui sistemi marini. La valutazione ecologica dell’efficacia delle iniziative di sostenibilità, compreso il ripristino, dunque, deve basarsi sia sulla biodiversità che sugli ecosistemi, come dettano le attuali Direttive. La strada verso la sostenibilità richiede una strategia per acquisire la conoscenza mancante sui sistemi che pretendiamo di gestire. Questo può essere realizzato attraverso una serie di passaggi.

Passo 1: fare l’inventario della biodiversità

Le specie sono il nucleo della biodiversità. Nonostante la consapevolezza che la biodiversità sia essenziale per il nostro benessere, legato al funzionamento degli ecosistemi, nessun piano strategico ha mai adottato la procedura suggerita da May nel famoso articolo “Quante specie ci sono sulla terra?”  per “esplorare” la diversità della vita: “Una proposta ambiziosa per gli standard ecologici (anche se non per quelli delle scienze fisiche) è quella di assemblare un team di tassonomi, con una gamma completa di competenze, e poi fare una lista approssimativa di tutte le specie trovate in un ettaro rappresentativo nella foresta pluviale tropicale; sarebbe meglio censire diversi di questi siti. Fino a quando ciò non sarà fatto, non mi fiderò di nessuna stima del totale globale delle specie”. May si riferiva agli acari tropicali, ma questo suggerimento si applica a tutto il mondo. È suggestivo che May (un fisico) richiami imprese nelle scienze fisiche che riguardano progetti ancora più ambiziosi di questo; come la ricerca di vita extraterrestre, la colonizzazione di altri pianeti o la scoperta di buchi neri o bianchi. Questo primo passo richiede il rilancio delle competenze in biodiversità. Gli strumenti molecolari potrebbero aiutare, ma il sequenziamento del DNA e l’assegnazione delle sequenze alle specie aiuta l’esplorazione della biodiversità se i campioni sequenziati sono identificati da specialisti ben addestrati, portando a un’etichettatura corretta della sequenza. Identificazioni errate portano a errori perpetui. Il numero di specie sequenziate è molto piccolo e anche se tutte le specie conosciute fossero affidabilmente sequenziate, il numero di specie sconosciute rimarrebbe alto, e se le sequenze non sono riferite a una specie nominata rimangono di significato sconosciuto. Questo primo passo, quindi, mira a conoscere quali specie sono presenti in ogni habitat ed ecosistema.

Passo 2: svelare i ruoli delle specie

Fornire un elenco di specie, valutando anche le loro abbondanze relative nelle diverse porzioni degli ecosistemi, durante i loro cicli di vita, tuttavia, non è sufficiente, se ciò che fanno è sconosciuto. La maggior parte delle specie che ha ricevuto un nome scientifico (la stima è di due milioni) è conosciuta solo come fenotipi estratti dal loro ambiente. Le specie sono cicli vitali e svolgono ruoli diversi durante la loro esistenza. L’ecologia delle specie una volta era studiata dall’autoecologia, un ramo dell’ecologia oggi poco praticato e che dovrebbe essere rilanciato, così da dare un significato ecologico ai nomi delle specie che conosciamo, oltre alle affinità filogenetiche che svelano le loro relazioni evolutive, come definite dalle categorie linneane, dai regni alle specie. Le specie devono essere collegate tra loro chiarendo i loro ruoli nelle reti trofiche.

Passo 3: comprendere le relazioni ecologiche che collegano le specie tra loro e con l’ambiente fisico

Questo porta alla comprensione del funzionamento degli ecosistemi, da un approccio sia strutturale (biodiversità) sia funzionale. Dall’autoecologia, dobbiamo passare alla sinecologia, studiando le relazioni tra le specie e con la componente abiotica degli ecosistemi.

Passo 4: inquadrare la biodiversità marina e il funzionamento degli ecosistemi in un contesto spaziale

Gli ecosistemi marini sono molto dinamici e il loro funzionamento richiede un approccio a cinque dimensioni: il fondo marino bidimensionale, la terza dimensione della colonna d’acqua, e queste dimensioni devono essere inquadrate nel tempo, la quarta dimensione, poiché gli eventi ecologici sono rapidi e intensi, con fioriture (bloom) di produzione e consumo. Le caratteristiche dei sistemi marini cambiano nel tempo e un’unica istantanea non è sufficiente per comprenderne appieno la struttura e la funzione. Questo non può essere fatto in un solo luogo: gli ecosistemi devono essere inquadrati in un contesto geografico, aggiungendo una quinta dimensione, basata sulla connettività tra i diversi habitat. Sistemi di osservazione efficaci sono essenziali per rilevare, descrivere e comprendere i cambiamenti.

Passo 5: pianificare le nostre attività

Il vero adempimento dell’approccio ecosistemico richiede che tutte le nostre attività siano inserite negli ecosistemi, considerando le conseguenze positive e negative con attente analisi costi-benefici volte a raggiungere un’economia sostenibile. Le attività umane, come prescritto dalla Direttiva sulla Pianificazione Spaziale Marittima, determinano una serie di stress multipli che spesso agiscono in sinergia. Gli impatti degli stress, quindi, sono cumulativi e le loro conseguenze sia sulla biodiversità sia sul funzionamento degli ecosistemi (come prescritto dalla Direttiva Quadro sulla Strategia Marina) non possono essere valutate considerando uno stress alla volta.

Un sesto passo potrebbe riguardare il ripristino, come richiesto da una recente direttiva dell’UE (FIG. 1). Il ripristino implica spingere attivamente per il ritorno delle condizioni “pristine” dopo la rimozione degli stress che le hanno alterate. Questo richiede una conoscenza di base di quali dovrebbero essere le condizioni desiderate, cioè quelle registrate prima degli impatti negativi. In un periodo di rapido cambiamento globale come quello attuale, tuttavia, le comunità di specie di 10 o 20 anni fa potrebbero non essere adatte ad affrontare le condizioni attuali, anche dopo la rimozione degli stress. Meglio lasciare che la natura faccia il suo corso, senza interferire.

Conclusioni

Le Direttive dell’UE, auspicabilmente con una certa armonizzazione delle loro logiche, definiscono una chiara strada verso la progettazione di un uso sostenibile dello spazio marittimo. Questo può essere realizzato solo con una profonda conoscenza dei sistemi che devono essere gestiti. Questa conoscenza è ancora incompleta e le sue lacune possono essere colmate mentre pianifichiamo le nostre attività. Ne “L’arte della guerra”, Sun Tzu illustra cosa deve fare un generale per raggiungere la vittoria. Il capitolo X è dedicato al Terreno, le cui caratteristiche sono descritte secondo sei principi e il consiglio di Sun Tzu è: “Questi sei sono i principi legati alla Terra. Il generale che ha raggiunto un posto di responsabilità deve stare attento a studiarli”. Conoscere la Terra, cioè il terreno, è cruciale se si ingaggia una battaglia. La transizione ecologica è una battaglia contro un atteggiamento verso la Terra che, a lungo termine, sta rivelando molti svantaggi, dopo aver fornito molti vantaggi alla nostra specie. Evidentemente, non siamo stati abbastanza attenti a studiare la Terra, così da capire le conseguenze delle nostre azioni. L’ecologia è la scienza che studia la Terra vivente, e il fatto stesso che solo recentemente ne abbiamo realizzato la rilevanza nelle nostre politiche rivela la negligenza dei nostri leader e di coloro che li scelgono. La tattica (l’approccio analitico delle singole scienze) permette di vincere battaglie, ma senza una strategia (la sintesi delle conoscenze) ci sono buone probabilità che le guerre siano perse. La strategia proposta qui è che le cinque dimensioni dell’ambiente marino, come definite dalle Celle del Funzionamento degli Ecosistemi (porzioni omogenee dell’ambiente, collegate dalla connettività), devono essere mappate e comprese, e che la loro evoluzione sia costantemente osservata, così da decidere cosa fare, e dove, e quando e, soprattutto, perché.

[in “Natura e società” n. 2 – giugno 2024, pp. 14-17]

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