Noterellando… Costume e malcostume 14. Un calcio al calcio?

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Parlare oggi di una partita di calcio come di “uno spettacolo e una festa per tutti” è assolutamente improponibile. Alla stregua di molte altre (più o meno importanti) attività e manifestazioni pubbliche, una partita di calcio può oggi rappresentare un’occasione di disordine e di preoccupazione per un’intera comunità, sfociando non di rado nella guerriglia, e causando danni, talora anche ingenti, a cose e a persone, come purtroppo sappiamo.

Le cronache più recenti parlano di ordinari disordini a Torino, nel ‘derby della Mole’, di un assalto selvaggio al pullman della Juventus da parte dei ‘cugini’ torinisti, di una bomba carta, di numerosi feriti e contusi.

In un altro incontro/scontro di tifoserie, quello tra Roma e Napoli, nel maggio dello scorso anno, prima della finale di Coppa Italia, ci fu la nota drammatica vicenda del ferimento a morte di Ciro Esposito. A distanza di circa un anno dall’evento, il 4 aprile dell’anno corrente, allo Stadio Olimpico, in occasione di un’altra partita Roma-Napoli, compaiono striscioni offensivi nei riguardi della madre di quel tifoso assassinato. Sempre a Roma, a fine febbraio di quest’anno, gli ultras olandesi del Feyenoord si scatenano, mettono a soqquadro locali e strade della Capitale, danneggiano a Piazza di Spagna la fontana del Bernini detta “Barcaccia”, e innescano una lotta aperta contro le forze dell’ordine.

Non è finita. In queste ultimissime settimane altre ‘edificanti’ notizie sul fenomeno di questo vandalismo e violenza che appare ormai inarrestabile e senza limiti, sono giunte prima da Varese (dove nello stadio, di notte, si scatena un’improvvisa ‘spedizione punitiva’, con distruzione di porte, panchine, e devastanti picconate sul terreno di gioco, rendendolo inagibile); poi da Assemini (sede del ritiro del Cagliari), dove avviene una sorprendente irruzione di alcuni tifosi estremisti, i quali schiaffeggiano duramente i giocatori della squadra sarda, lasciando a testimonianza del blitz la seguente scritta sul cancello del centro sportivo: «Sputate sangue sulla maglia, mercenari!». Qualche giorno dopo,  anche a seguito di questo, l’allenatore Zeman si dimette.

Ma la notizia più scioccante viene da San Paolo del Brasile. Inconcepibile e assurda.

A poche ore dal derby tra le squadre del Corinthias e del Palmeiras (che ha purtroppo una lunga scia di sangue per i violenti contrasti fra gli opposti gruppi di aficionados), due persone armate sono entrate in un locale, adibito a quartier generale della tifoseria del Corinthias, e hanno fatto sdraiare per terra otto persone, che hanno poi colpito alla nuca con un colpo di pistola, uccidendole barbaramente.

Come commentare, giudicare, interpretare, censurare, condannare, cercare di prevenire orrori del genere? Che sono peraltro ricorrenti e consolidati, e che nulla hanno a che fare con lo sport, ma semmai – con percorsi diversi – sono molto prossimi alla politica ‘ribelle’ (di destra e di sinistra) o a occulte frange di criminalità organizzata?

C’è stata e c’è, tanto da parte degli organi sportivi che della Polizia, una netta accelerazione per prevenire e contrastare ulteriori deleteri sviluppi del fenomeno (attraverso l’introduzione del cosiddetto DASPO – Divieto di Accesso alle manifestazioni Sportive -, della Tessera del Tifoso e del divieto di trasferta in alcune occasioni ritenute a rischio), ma il gioco (?) del calcio ha urgente bisogno di cure estreme e radicali, essendo un malato ormai cronico, avendolo – anche subdolamente e proditoriamente, per enormi interessi economici – esasperato e strumentalizzato a ragione di vita, di realizzazione personale, di supremazia individuale o di gruppo.

Con buona pace della romantica passionalità sportiva di un passato prossimo e tuttavia remotissimo, quando – pur con l’immancabile “tifo” di parte, sempre esuberante e impulsivo – le gradinate degli stadi erano piene anche di famiglie, con ragazzi, ragazze, e bambini in festa.

[2015]

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