Cosa la teoria economica può dirci delle elezioni europee

Può essere utile richiamare i termini della questione. Uno dei modelli economici più noti a riguardo è il teorema dell’elettore mediano, formulato da Anthony Downs nel 1957 (“Teoria economica della democrazia”). Si mostra che, assumendo una scala ordinata di preferenze degli elettori, conviene a tutti i partiti convergere al centro, ovvero verso una posizione intermedia che coincide con la metà della distribuzione di frequenza dei consensi. L’esito consiste nell’accreditare posizioni moderate. Nel caso, infatti, di proposte politiche che siano ordinabili in senso crescente (si pensi a differenti proposte di tassazione), conviene a tutti orientare le proprie scelte alla minimizzazione del costo. Questa tendenza sarebbe poi maggiormente accentuata nei sistemi maggioritari. Nel caso delle elezioni europee, si è trattato di un’offerta politica che, dal PD a Fratelli d’Italia, si è concretizzata nel medesimo rifiuto dell’austerità e nella invocazione di maggiori investimenti pubblici, in assenza di specificazione sull’entità di questi. Non si è, dunque, in presenza di un’offerta ordinabile, ma di una piena convergenza su una posizione condivisa.

Un’implicazione rilevante che discende da questo schema riguarda il conflitto di obiettivi fra governabilità e pluralismo e, in più, la tendenza nei sistemi democratici contemporanei a escludere la rappresentanza delle posizioni estreme, che, per conseguenza, si traducono nell’astensionismo. D’altra parte, a votare partiti e schieramenti di centro o convergenti al centro sono prevalentemente elettori con redditi medio-alti e con elevato livello di istruzione; il che rafforza la convinzione del ceto politico in merito alla convenienza degli orientamenti moderati. Jerome Shafer e altri, in un paper del 2021 sull’”American Journal of Political Sciences”, hanno mostrato che l’astensione dal voto degli individui con redditi bassi co-determina politiche che accrescono le diseguaglianze. In più, la struttura demografica della popolazione votante influenza anche la preferenza per il debito pubblico e spiega, nel caso delle elezioni europee, la convergenza di tutti i partiti nel rifiuto dell’austerità.

L’evidenza empirica riferita all’Italia mostra che l’astensionismo è maggiore per gli individui con redditi bassi e poco scolarizzati. Risultati analoghi si ottengono nella gran parte dei Paesi OCSE, come documentato, fra gli altri, da Thomas Piketty (“Capitale e ideologia“). Sembra contare, a riguardo, anche la memoria individuale e di gruppo, nel senso che il peggioramento delle condizioni materiali di vita condiziona, con segno negativo, l’aspettativa che l’azione collettiva produca i cambiamenti desiderati, soprattutto laddove l’azione collettiva è resa difficile dall’elevata frammentazione degli interessi delle classi popolari (gioca un ruolo rilevante, in tal senso, la precarizzazione del lavoro, in quanto indebolisce i legami di solidarietà di classe). In questo scenario di carattere generale, merita di essere rilevata un’eccezione, nel caso italiano. La formazione politica che maggiormente si differenzia dalle altre, fra quelle che ha superato la soglia di sbarramento, soprattutto sui temi della tutela dell’ambiente, contro le politiche repressive, per l’interruzione delle forniture militari all’Ucraina, sul disegno istituzionale europeo (la sola a proporre la BCE come prestatore di ultima istanza) è Alleanza Verdi Sinistra, che, in controtendenza rispetto al processo di convergenza verso posizioni mediane, ottiene un notevole successo elettorale, amplificato dalla capacità di guadagnare il voto dei giovani, nonostante la sottrazione di voti a questa formazione verosimilmente operato dalla lista Pace, Terra e Dignità.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 17 giugno 2024]

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