Egli indica le distanze tra le varie città visitate, racconta chi era a capo delle comunità ebraiche e chi erano gli studiosi più illustri. Fornisce il numero di ebrei che ha trovato in ogni luogo, anche se in molti casi non è chiaro se stia parlando di individui o di capifamiglia, e in alcuni casi, come Baghdad, le cifre sembrano esagerate. Annota le condizioni economiche, descrivendo l’attività dei mercanti di vari paesi a Barcellona, Montpellier e Alessandria, parla spesso delle occupazioni degli ebrei: per esempio i tintori a Brindisi, i tessitori di seta a Tebe, i conciatori a Costantinopoli e i vetrai di Aleppo e Tiro. Per quanto ci riguarda da vicino, si sofferma a lungo sulla presenza ebraica in Terra d’Otranto.
Particolarmente importanti i suoi resoconti della vita intellettuale in Provenza e a Baghdad, così come la descrizione dell’organizzazione della vita sinagogale in Egitto[2]. Egli è stato il primo europeo dell’età medioevale a menzionare la Cina con il nome attuale. La sua opera, I viaggi di Beniamino, è scritta originariamente in ebraico, poi tradotta in latino e in seguito nelle maggiori lingue europee, ma su questi aspetti torneremo successivamente.
Beniamino partì appunto da Tudela, nel nord della Spagna, passando per Saragozza, prima vera tappa del viaggio, fino a Barcellona. Dalla Spagna giunse in Provenza nel sud della Francia, a Marsiglia. Da qui proseguì per l’Italia giungendo a Genova. Si è discusso fra gli studiosi sulle reali motivazioni del viaggio di Tudela, se cioè lo scopo principale fosse quello commerciale – Colafemmina lo dice commerciante di gemme[3] – o piuttosto quello etnologico-geografico[4]. Ancora, si è ipotizzato, dato l’estremo interesse che lo studioso dimostra per le comunità ebraiche stanziate nei vari luoghi visitati, che motivo del viaggio fosse proprio quello di stilare una guida, sorta di censimento, delle comunità ebraiche lungo i percorsi per la Terrasanta[5]. Da Genova giunse a Pisa e poi a Roma. Deve aver trascorso un periodo piuttosto lungo nell’Urbe poiché scrisse una descrizione dettagliata delle antichità della città. Non essendo uno storico, interpretò molti monumenti come associati alla storia ebraica. Scrisse anche della comunità ebraica e dei loro rapporti con il tanto avversato papa Alessandro III (1159-1181). Beniamino si diresse poi a sud descrivendo le condizioni di Salerno, Amalfi, Melfi, Benevento, Brindisi e quindi Otranto. Navigò via Corfù fino ad Arta e poi attraversò la Grecia, dove notò i tessitori di seta ebrei in vari luoghi e la colonia agricola di Crissa sul monte Parnaso. Trascorse un periodo particolarmente lungo a Costantinopoli. Navigò attraverso l’arcipelago dell’Egeo fino a Cipro e poi raggiunse la terraferma. Si diresse a sud attraverso Antiochia, Sidone, Tiro e Acri in Terra Santa, che era ancora sotto il dominio dei Crociati. Attraversando il paese, il viaggiatore fornisce un resoconto dettagliato dei Luoghi Santi (che chiama in molti casi con i loro nomi francesi: per esempio, Hebron è St. Abram de Bron). Nel complesso, le sue descrizioni sono molto più obiettive di quelle dei pellegrini cristiani dell’epoca. Da Tiberiade viaggiò verso nord fino a Damasco e poi fece il giro di Baghdad. Il suo resoconto degli usi e costumi dei Drusi è il primo nella letteratura non araba. Fece una descrizione particolarmente ampia di Baghdad, disegnando un quadro grafico della corte del califfo e delle fondazioni di beneficenza della città e raccontando anche dell’organizzazione delle accademie talmudiche colà ancora sopravvissute. Quanto al viaggio in Persia, le sue descrizioni sono molto imprecise e questo ha fatto sospettare gli studiosi che nel caso di specie egli si sia avvalso di materiale leggendario o che non sia neppure stato in quel paese. Dubbio che diviene certezza per la Cina, che è descritta con dettagli fantastici, così come per Cochin e Ceylon, per cui secondo gli studiosi Benjamin non ha visitato quei luoghi. Le sue impressioni tornano invece realistiche nel dettagliato resoconto dell’Egitto e della vita ebraica che si svolgeva in particolare nelle comunità del Cairo e di Alessandria, che visitò durante il viaggio di ritorno. Benjamin poi fu in Sicilia e diede un resoconto molto accurato di Palermo. Da lì probabilmente ritornò in Spagna via mare e giunse in Castiglia; l’itinerario si conclude con un quadro idealizzato della vita ebraica nel nord della Francia e in Germania[6]. La notevole quantità di notizie di seconda mano inserite nell’opera, riferisce Colafemmina, ha fatto pensare qualche studioso che addirittura tutto il libro sia materiale di seconda mano[7]. Proprio per la notevole quantità di notizie inventate, il libro di Tudela ha sempre riscosso pareri discordanti. “Parecchi i detrattori, che ne hanno puntigliosamente additato le inesattezze e deriso le esagerazioni, arrivando a sostenere che tutto il racconto non sarebbe altro che l’invenzione di un letterato presuntuoso e maldestro. Molti gli apologeti, che in centinaia di pagine di pazienti glosse e precisazioni hanno dimostrato la buona fede e l’attendibilità dell’autore, addossando perlopiù la colpa degli errori all’ignoranza e alla distrazione dei copisti medievali”[8]. In effetti, “fantasia e realtà si mischiano e ciò che è stato letto su altre fonti si trasferisce sul diario (ne sono testimonianza le numerose citazioni della cronaca familiare di Ahimaaz ben Paltiel)”[9]. Per esempio, “Parlando di un popolo nomade ci narra: Sono senza naso, al suo posto hanno due buchi dai quali esce il fiato, mangiano animali sia puri che abominevoli, ma amano molto il popolo di Israele. Non mancano racconti apertamente mitologici che richiamano il peregrinare del re di Itaca Ulisse e i racconti di Marco Polo. Beniamino ci parla del grifone che cattura le sue prede sulle coste della lontana Cina e le divora sulle vette di monti inaccessibili: Ma gli uomini hanno appreso, indossando pelli di buoi, come salvare la loro vita da questi luoghi maledetti. Quando il vento lo trascina alla deriva nel mare di Ning-Po, allora il marinaio impugna un coltello, indossa la pelle di bue e si abbandona al mare. A quel punto lo vede un volatile grande come un’aquila, il grifone, che prende il marinaio nascosto nella pelle del bovino e lo trasporta dove ha il suo nido sulla montagna. Quando la creatura si appresta a divorarlo, allora il naufrago lo colpisce a morte con la lama affilata del coltello. In tal modo molti hanno salvato la propria vita”[10]. Diverso invece quando Beniamino si rifa ad inoppugnabili fonti notarili parlando dei rapporti fra cristiani ed ebrei nelle comunità che visita, della consistenza delle famiglie ebree, della tassazione e dei regolamenti economici. “In sostanza nel Diario di Beniamino è fondamentale per una corretta ricostruzione storica, scevra di errori metodologici, separare la realtà dall’immaginazione, passando al setaccio le informazioni fornite dal testo nel loro complesso”[11].
Occorre a questo punto lasciare il dotto Tudela per spiegare qual era, all’arrivo di Beniamino, la situazione nell’Italia meridionale e ad Otranto, riservando una particolare attenzione alla condizione degli ebrei nel sud Italia. Il nostro sarà necessariamente uno sguardo prospettico non potendo lumeggiare nessuno dei tre temi di interesse segnalati in apertura in maniera esaustiva. Bisogna allora fare un salto indietro nel tempo, quando tutto l’Impero occidentale era precipitato in un lungo stato di anarchia dopo la deposizione di Carlo il Grosso nell’887. Il Regno italico fu praticamente disgregato in tanti potentati locali e conteso fra vari pretendenti al trono in asperrima lotta fra loro. I territori meridionali erano divisi fra vari domini: quello bizantino, quello longobardo, quello musulmano, a cui si sarebbe aggiunto quello normanno. Il potere bizantino era ampiamente stratificato in tutta l’Italia meridionale. Nell’892 era stato costituito il tema di Langobardia o Longobardia, dopo la presa di Benevento, che era composto dai territori sottratti ai longobardi latini in Basilicata e Puglia, compreso l’antico ducato di Otranto. Il tema, ossia la provincia bizantina, era retto da uno stratego la cui sede era a Benevento ed era poi stata spostata a Bari. Infatti, nell’876, sotto la minaccia degli Arabi, i Bizantini iniziarono la riscossa. La flotta bizantina, guidata dal baiulo Gregorio di Otranto, entrò a Bari e riconquistò all’Impero la Puglia e la Calabria settentrionale. L’altro tema meridionale era quello di Sicilia che, dopo la conquista dell’isola da parte dei Saraceni, quando lo stratego spostò la propria sede a Reggio Calabria, venne chiamato tema di Calabria. In Puglia, il tema di Langobardia andava dal Salento, a sud, fino a Siponto, al nord, e comprendeva una parte della Basilicata del sud fino al confine con la Calabria. Naturalmente all’interno del tema bizantino esistevano vaste zone in mano ai Longobardi[12]. Il terzo tema era quello di Lucania[13]. Bari era fin dall’Ottocento quasi stabilmente in mano bizantina. Benevento, dopo essere stata bizantina, passò nell’895 di nuovo in mano longobarda. La popolazione nel X secolo era composta in prevalenza da genti greche e latino-longobarde ma non trascurabile la presenza di musulmani, di armeni ed ebrei, specie nel Salento. La popolazione greca era concentrata in Calabria, in Basilicata e ancora nella Terra d’Otranto, mentre quella latina si concentrava nella Puglia settentrionale e anche in Basilicata[14]. Nel 921 in Puglia scoppiò una grossa rivolta contro i bizantini sostenuta dal Principe di Benevento Landolfo I. Presso Ascoli Satriano venne sconfitto lo stratego di Langobardia, Ursoleo, e gli insorti presero quasi tutto il territorio pugliese[15]. Nel frattempo nell’Italia meridionale erano ricominciate le incursioni saracene. Tutta la Sicilia passava sotto il controllo della dinastia araba dei Fatimidi. Nel 918 vi fu la presa di Reggio e l’istaurazione del dominio arabo su buona parte del territorio calabrese. Nel 922 venne occupata Oppido Mamertina e nel 925 fu attaccata Taranto. Da qui gli invasori procedettero nell’interno fino ad Oria dove venne catturato il medico e sapiente ebreo Shabbatai Donnolo, riscattato poi a Taranto qualche mese dopo, mentre i genitori vennero venduti in Africa[16]. Shabbĕtay Donnolo,autore di un commento al Sēfer ha-Mirqāḥōt e soprattutto del Sēfer ha-Ḥakmōnī, la sua opera maggiore, fu un importante erudito di origine ebraica. Catturato appunto dai Saraceni e poi riscattato a Taranto, ebbe una formazione di eccellenza divenendo uno dei più importanti dotti dell’epoca. Viaggiò in tutta l’Italia meridionale bizantina. Probabilmente fu anche ad Otranto: «A lui, infatti, sembra riferirsi una lettera inviata presumibilmente dalla comunità ebraica di Bari, retta dal medico Abrāhām ben Sāssōn, al celebre medico andaluso Ḥasdāy ibn Shaprū-ṭ, visir dell’umayyade ‛Abd ar-Raḥmān III. Fra i notabili di Otranto scampati a una persecuzione che rifletterebbe localmente misure antigiudaiche adottate da Romano I Lecapeno nel 943-44, il documento (dalla Gĕnīzāh del Cairo: New York, Jewish Theological Seminar, ms. Adler 2156r, l. 20 s.) include infatti un “R. Shabbĕtay | [bar A]brāhām bar…”, forse identico a Donnolo»[17]. Egli oltre all’ebreo conosceva il greco e il latino e le sue nozioni sulla scienza degli astri ebbero un influsso notevolissimo sugli studi venuti dopo, in particolare «vennero poi utilizzate e fatte proprie dai hasidim aschenaziti e dai cabalisti dei secoli XII e XIII, quando il Sēfer Ḥakmōnī sembrò eguagliare il prestigio del Ma‛ăsēh Merkābāh o delle stesse Hēkālōt (“Templi” o “Palazzi’” equivalenti ai “sette cieli” o “pianeti”), e il “Commento” di Donnolo fu reputato parte originale del Sēfer Yĕṣīrāh, il mitico “Libro della creazione” attribuito al patriarca Abramo (composto con buona probabilità fra i secoli III e VI d.C.)»[18]. Ad Oria fu fatto prigioniero dagli Arabi anche il rabbino ben Palṭī’ēl che ebbe la stessa sorte e venne deportato in Africa ma, grazie alle sue grandi competenze di astronomia ed astrologia, divenne consigliere del califfo al-Muīzz di Qayrawān (952-975). Discendente di questo ben Paltiel, è quell’Achimaz sopra citato, ovvero il rabbino Aḥīma‛aṣ, sempre di Oria, che nel 1054 compose l’opera SēferYūḥāsīn (Libro delle Genealogie), una cronaca famigliare molto importante per la storia degli ebrei oritani[19]. In termini generali, Oria, fra VIII e IX secolo, si poteva considerare proprio la roccaforte della presenza ebraica pugliese.
L’imperatore di Costantinopoli Romano I Lecapeno (920-944) concluse una trattativa col califfo fatimida Ubayd Allàh al-Mahdi che prevedeva il pagamento di un tributo per la liberazione dei territori occupati, ma già nel 926 l’emiro di Sicilia si impossessò di Taranto, compiendo un eccidio e proseguendo fino ad Otranto. La presa di Otranto fu sventata solo per un’epidemia che contagiò la guarnigione araba, come riferisce l’annalistica barese. Venne inoltre presa Siponto e saccheggiata dai pirati slavi con cui gli arabi si erano alleati; poi fu la volta di Termoli. Nel 927 vi fu una ripresa delle ostilità da parte dei Longobardi che occuparono la Puglia per circa sette anni. I Bizantini fecero un’alleanza col Re d’Italia Ugo di Provenza e inviarono dei contingenti che riuscirono ad avere la meglio nel 934. Nel 947 in tutto il tema della Langobardia vi fu una invasione da parte degli Ungari, secondo Lupo Protospatario[20]. Nel 976-977, gli Arabi attaccarono Gerace e l’esercito bizantino battè in ritirata rifugiandosi ad Otranto. Nell’anno 977 le stesse fonti coeve riferiscono di un ulteriore saccheggio ad Oria[21].
Ebrei erano stanziati in molti comuni salentini, dediti prevalentemente alle attività mercantili, essendo loro precluse le cariche civili. Il Guillou dice che, quando i Saraceni espugnarono Oria nel 925, strapparono agli israeliti fra l’altro «drappi di seta con disegni e colori, dei gioielli e delle monete»[22], il che fa pensare che dovevano essere i produttori di questa preziosa stoffa di seta. Molti gli intellettuali. Proprio nella comunità ebraica di Otranto fiorì il poeta Menachem Corizzi, nel X secolo[23]. Durante le persecuzioni ebraiche avviate dall’Imperatore Romano I, una fonte abbastanza lacunosa informa che anche ad Otranto la persecuzione fu molto violenta, durò due giorni, siamo nel 943-944, e molti capi della comunità ebraica come rabbi Jesa’ja, rabbi Menachem ed Elia, si diedero la morte per non cadere in mano dei carnefici, non prima di aver salvato i libri sacri[24].
Con l’avvento dei Normanni, Houben, rifacendosi al Palmieri[25], parla di un clima generalmente persecutorio nei confronti degli ebrei e cita a conferma come fonti la Storia dei Normanni di Amato di Montecassino, il Tractatus de Passione Domini di Pescara del 1062 e un documento del 1191 in cui si menziona l’espulsione degli ebrei da Lanciano avvenuta nel 1156, e quindi passa in rassegna una serie di episodi locali di violenza ed abuso[26]. In realtà, analizzando la situazione soprattutto della Sicilia sotto il regno di Ruggero II (1130-1154), lo studioso ne ricava che il periodo fu caratterizzato da una sostanziale tolleranza nei confronti degli ebrei (dimostra infatti la falsità di alcuni dei documenti succitati) come delle altre minoranze etniche presenti sull’isola in cui convivevano cristiani e musulmani, etnie latine e greche, arabe ed ebraiche. Riportando minuziosamente molti documenti coevi, Houben conclude che nel Mezzogiorno normanno svevo fu un’epoca di relativa tranquillità per gli ebrei i quali, pur essendo considerati dei gruppi sociali inferiori, non patirono particolari restrizioni rispetto ai tempi precedenti o a quelli successivi. Il clima iniziò a cambiare con Federico II (1198-1250). Per esempio, in uno Statuto della città di Palermo, gli ebrei erano nominati insieme con le prostitute, i “tabernari” e i “bucherii”. Il cronista Riccardo di San Germano menziona un decreto di Federico II del 1221 contro giocatori, prostitute, giocolieri ed ebrei[27]. Manca però nel Mezzogiorno normanno svevo l’obbligo per gli ebrei di abitare in un loro ghetto. “Le giudecche, attestate in questo periodo in molte città, erano quartieri dove gli ebrei abitavano non costretti a ciò dalle autorità, ma per libera scelta, in quanto in questo modo era più facile conservare la tradizionale forma di vita”[28]. In altri studi[29], Houben conferma che nella prima fase della conquista e della affermazione del dominio normanno nell’Italia meridionale, fino alla morte di Ruggero I (1101), i Normanni favorirono una politica di sostanziale tolleranza nei confronti delle minoranze religiose dei musulmani e degli ebrei presenti in Sicilia e nel continente. Essi furono attenti a rispettare l’elemento greco ortodosso che era preponderante su territori di conquista bizantina. Sicché i nuovi dominatori accolsero non solo la cultura greca cristiana ma anche gli esponenti di questa cultura nei ruoli amministrativi, favorendo in un primo momento i monasteri greci. Anche la religione islamica veniva accettata e anzi Ruggero I, dopo la conquista della Sicilia, inserì nell’esercito regio un cospicuo contingente di musulmani[30]. Sotto Ruggero II continuò il clima di generale tolleranza verso le altre religioni e anzi si rafforzò la diffusione della cultura greca che era fiorente nella corte regia, al pari di quella araba. L’influenza dei costumi musulmani era tanto più forte se si pensi che fra gli eunuchi di palazzo e le donne dell’harem, come riporta la fonte coeva di Ugo Falcando, quella palermitana assomigliava sempre più ad una corte orientale. Del pari, Ruggero II, mecenate delle arti e della cultura, incoraggiava le traduzioni arabe[31]. Egli indossava un manto con decorazioni arabe e un parasole secondo il modello dei Fatimidi egizi come insegna del potere e insomma tutto confermava, spiega Houben, la nota espressione di Michele Amari riferita a Ruggero di un “sultano battezzato”[32]. Ruggero assicurava a tutti i popoli del suo regno libertà di professare il proprio culto e rispetto per le loro consuetudini. Con Guglielmo I e Guglielmo II iniziò una certa inversione di tendenza soprattutto nei confronti dell’elemento arabo, mentre la situazione delle comunità ebraiche restava relativamente buona, il che è riaffermato proprio da Beniamino di Tudela che parla di tante realtà fiorenti. L’Imperatore Enrico VI (1190-1197) confermò ad ebrei e musulmani i loro antichi diritti, come informa Ruggero di Howden nella sua Chronica[33]. Federico II colmò il vuoto lasciato dalle deportazioni dei musulmani rimpiazzando questi ultimi con gli ebrei siciliani arabizzati. Essi si segnalarono soprattutto in campo culturale con le importanti traduzioni dei libri arabi. Ma anche nel campo dell’agricoltura Federico II sostituì i musulmani fuggiti o deportati con ebrei provenienti dall’Africa settentrionale o dalla Spagna[34]. Tuttavia le comunità ebraiche rimanevano dei gruppi sociali svantaggiati. Riccardo di San Germano cita i già menzionati provvedimenti emanati da Federico II contro giocatori d’azzardo, prostitute, giocolieri ed ebrei, e poi il provvedimento secondo cui gli ebrei dovevano indossare indumenti particolari per farsi riconoscere[35]. Le Costituzioni melfitane permettevano agli ebrei di prestare il denaro con un tasso di interesse fino al 10%. Questo segna una tappa fondamentale nella loro storia perché da quel momento, essendo il prestito di denaro un’attività proibita ai cristiani, essi ne detenevano il monopolio, il che avrebbe portato poi alle note accuse di usura. Tommaso d’Aquino, nel De regimine Judaeorum, scrive che per impedire che gli ebrei fossero dediti solo all’usura, occorreva metterli nelle condizioni di guadagnarsi da vivere con il lavoro[36]. È nella seconda metà del 1200 che si accentua l’odio antiebraico e nell’Italia meridionale avvengono molte conversioni forzate. A causa dei francescani e dei domenicani poi, fra Trecento e Quattrocento, si giungerà ai noti eccessi[37]. Houben riporta diversi documenti che riguardano denunce fatte da comunità ebraiche in merito a soprusi, ovvero ricatti, furti, scassi commessi dai funzionari nei loro confronti, fra Napoli, Agrigento, Gravina[38], Trani, Nicotera[39].
Tuttavia, come detto, nel periodo normanno le comunità ebraiche si mostrano ancora sostanzialmente integrate localmente, stando anche all’Abulafia[40]. Come sottolinea Filena Patroni Griffi, le giudecche erano sotto la giurisdizione vescovile[41].
Nell’XI secolo giunsero dalla Spagna araba e cristiana e dalla Francia meridionale moltissimi intellettuali nell’Italia del sud come il filosofo Abraham ibn Ezra di Toledo, dotto esegeta, astrologo, medico e poeta, che soggiornò a Salerno, intorno al 1140, così come il suo discepolo, Shelomoh ibn Parchon di Calatayud, autore di un vocabolario di lingua ebraica, qualche anno dopo[42]. A Siponto, viveva il poeta Anan bar Marinos[43]. Questa città, scrive Colafemmina, “occupava in quel tempo un posto di rilievo nella cultura ebraica. Fiorivano in essa poeti e commentatori dei testi sacri e legislativi. L’impulso per gli studi giuridici veniva dalle lontane rive del Tigri, dove diversi ebrei sipontini si erano recati per ascoltare, all’accademia Pumbedita, le lezioni di R. Hai Gaon (998-1038). Tra i poeti si distinse, alla fine dell’XI secolo, R. Anan ben Marinos”. Cita poi Ysaac ben Meichisedeq (c. 1090-1160), il padre di R.Yudah, “il primo italiano che abbia commentato la Mishna”[44]. Numerose le testimonianze di presenze di ebrei documentate da vari atti nelle città calabresi e campane mentre a Lecce una presenza ebraica certa si attesta solo dalla metà del XIV secolo[45]. Tuttavia il Guerrieri parla di una presenza ebraica a Lecce già in età normanna[46].
Fiorente la comunità ebraica di Salerno, fin dalla fine del X secolo[47].
Anche a Napoli, fra XI e XII secolo era una fiorente comunità ebraica[48], così come a Benevento[49]. La testimonianza più antica sulla presenza ebraica a Trani è proprio quella di Beniamino di Tudela[50].
Diverse attestazioni riguardano altre comunità minori come Gaeta[51], Melfi, Ascoli Satriano, Candela, oltre a Taranto[52] e Brindisi dove Beniamino segnala la presenza di una tintoria[53]. In effetti l’attività artigianale pare fosse molto diffusa, anzi fosse quella prevalente nel periodo di cui ci stiamo occupando. “Nel XII secolo, la presenza ebraica nel Mezzogiorno peninsulare prende significato essenzialmente dalla diffusione degli insediamenti, già sensibile, benché a volte con nuclei minori, e dal lavoro artigianale. La tintura dei panni, praticata in quasi tutte le località, rappresentava un contributo economico concreto nelle realtà locali, e appare come la forma più effettiva della partecipazione ebraica alla vita meridionale”[54]. Scrive Houben: “Nell’Italia meridionale e in Sicilia gli ebrei erano per lo più impiegati nell’artigianato, nel commercio, nell’agricoltura, nell’arte medica. Nel Mezzogiorno normanno le tintorie e la produzione dei tessuti erano probabilmente interamente in mano agli ebrei”[55]. Sono inoltre attestati “ebrei orciolai, produttori di otri e proprietari di vigneti. Non mancarono naturalmente i medici […] Infine troviamo ebrei che lavorano come carpentieri”[56].
A Venosa sin dal IV secolo d.C. vi era una fiorente comunità ebraica che viveva pacificamente accanto ai Cristiani[57].
La comunità ebraica di Melfi, di cui parla Beniamino di Tudela, è attestata per la prima volta nel 1093 quando il duca Ruggero Borsa donò alla chiesa di Melfi, fra l’altro, omnes Judeos[58]. “Dato che la grande comunità ebraica della vicina Venosa dopo il secolo IX non è più attestata”, scrive Houben rifacendosi a Colafemmina[59], “si potrebbe ipotizzare che gli ebrei di Venosa, forse espulsi dalla città nell’ambito della persecuzione degli ebrei nell’Italia meridionale dopo l’avvento al trono di Basilio I (867-886), sopravvissero in qualche maniera nel secolo X, per poi insediarsi, nel secolo XI, a Melfi”[60].
Sacche di intolleranza insomma restarono sempre ben presenti. Le conversioni forzate degli ebrei furono portate avanti in tutti i territori dell’Impero[61]. Ne parla proprio il rabbino Aḥīma‛aṣ, nell’opera SēferYūḥāsīn (Libro delle Genealogie)[62], il quale racconta che gli inviati di Basilio I si imbarcarono da Otranto per promulgare il decreto imperiale in tutto l’Impero. “A Rabbi Shefatiah, antenato dell’autore, avrebbero portato una crisobolla, ovvero un invito a recarsi a Costantinopoli dove egli avrebbe dovuto sostenere un duello retorico con l’Imperatore stesso di confronto fra cristianesimo ed ebraismo. Il dotto Shefatiah uscì vincitore dal confronto e per questo l’Imperatore gli diede l’incarico di liberare la figlia da una possessione diabolica. Shefatiah riuscì nell’impresa e per gratitudine Basilio I con un crisobolla esentò la città di Oria, unica in tutta l’Italia meridionale, dalla persecuzione antiebraica”[63].
A Bari il quartiere ebraico venne saccheggiato e dato alle fiamme dai seguaci del partito filo-bizantino nella primavera del 1051[64].
Nel 1062 a Pescara la sinagoga venne trasformata in chiesa e gli ebrei furono costretti a fuggire[65]. Landolfo VI principe di Benevento avviò una intensa campagna di conversioni forzate nei suoi territori[66]. Potremmo citare altri esempi ma ci fermiamo qui.
Ci chiediamo a questo punto quale fosse più dettagliatamente la situazione ad Otranto. Per quanto riguarda le vicende storiche della città, diciamo che quella intorno ad Otranto era zona ellenofona. In tutta la Terra d’Otranto, l’elemento greco si presentava molto più radicato rispetto al resto della Puglia. Alla maggioranza greca della popolazione si univano tante diverse etnie e cioè, oltre a quella longobarda, quella albanese e quella ebrea. La dominazione bizantina permeava buona parte del territorio pugliese, con un processo di assimilazione della cultura greca che coinvolgeva anche Otranto. Con l’avvento al potere di Basilio I e la dinastia macedone, questa predominanza divenne schiacciante. L’elemento latino-longobardo in questi secoli era ancora fragile e la convivenza fra chiesa greca e chiesa latina molto difficile. Costantinopoli non tollerava l’arroganza del Pontefice romano che si proclamava unica guida di tutta la cristianità; il Papa era considerato solo un primus inter pares fra i vari patriarchi e del tutto ingiustificate parevano le sue pretese di supremazia. Con il Patriarca Fozio si sfiorò lo scisma, nella polemica sul cosiddetto filioque. Tuttavia la questione fu sospesa in seguito alla destituzione di Fozio decisa dal Concilio di Costantinopoli dell’869-870. Fu l’Imperatore Basilio I a spingere per una soluzione di compromesso salvaguardando così l’unione delle due chiese. Marco, arcivescovo di Otranto, nell’879 fu l’unico prelato pugliese a partecipare al concilio di Costantinopoli convocato da Fozio. Un altro Marco, poeta e successivo arcivescovo di Otranto, quand’era nel monastero di S. Mocio a Costantinopoli, fu protagonista di un episodio eroico in quanto salvò la vita all’Imperatore Leone VI (886-912) da un attentato ordito contro di lui e fu per questo merito che venne promosso ad arcivescovo di Otranto. Ce ne informa la von Falkenhausen riportando come fonte Cesaretti[67], e portando a conferma della notizia anche un passo dell’opera del teologo Nilo Doxapatres, Taxis ton patriarkikon Tronon, del 1142-43, dedicata a Ruggero II di Sicilia[68]. Nel periodo bizantino la diocesi di Otranto, come quella di Gallipoli, apparteneva direttamente al patriarcato di Costantinopoli. Nell’830, scrive Jacob, Otranto è già diocesi bizantina, il cui titolare è fautore dell’iconoclastia[69]. In seguito ai tentativi dell’Imperatore d’Occidente Ottone I (962-973) di conquistare anche l’Italia centro-meridionale e quindi alle numerose insurrezioni dei dignitari locali (su tutte quella del principe longobardo Pandolfo I di Capua) contro il potere bizantino, l’Imperatore d’Oriente Niceforo II (963-969) sostituì il tema di Longobardia con il Catepanato d’Italia e nell’ambito della nuova politica ecclesiastica il patriarca di Costantinopoli promosse l’arcivescovo di Otranto (forse all’epoca Pietro) a metropolita[70], e siamo nel 968, poiché Otranto era in quel momento la città più importante della Puglia appartenente alla giurisdizione del patriarca di Costantinopoli (all’epoca, Polieucto). La notizia viene data da Liutprando di Cremona, legato di Ottone I, il quale nel 968, di ritorno dalla sua missione a Costantinopoli presso l’Imperatore Niceforo II, venendo da Naupatto, sbarcò ad Otranto[71]. Diocesi suffraganee di Otranto, stando a Liutprando, erano Matera, Gravina, Acerenza, Tricarico, Tursi[72]. La documentazione su Otranto in età bizantina, resta comunque molto scarsa, come sottolinea la von Falkenhausen[73].
In questo periodo, per le sue possenti fortificazioni e per il suo porto, Otranto doveva svolgere un ruolo primario in quanto base delle più importanti rotte commerciali dell’Adriatico e testa di ponte fra Occidente ed Oriente. Il porto otrantino rivestiva dunque una funzione non solo strategico-militare ma anche commerciale[74]. La città viene infatti menzionata nel trattato geografico di Paolo Diacono: De Terminatione provinciarum Italiae[75], e nella successiva redazione De provinciis Italiae seu Catalogus provinciarum Italiae[76]. Inoltre nella sua opera maggiore, Historia Langobardorum (II, 21), in cui parlando dell’Apulia, dice: “Ha città molto opulente, come Lucera, Seponto, Canosa, Agerenza, Brindisi, Taranto e, sul corno sinistro dell’Italia, che si estende per cinquanta miglia, Otranto, centro di commerci”[77].
Terra di transito, Otranto è toccata da viaggiatori, pellegrini, diplomatici e regnanti nel corso dei secoli.
Nell’800, il monaco bizantino Gregorio Decapolita passò da Otranto nel suo viaggio dalla Sicilia alla Grecia e qui, scrive, incontrò dei soldati saraceni dai quali si salvò miracolosamente[78].
Nell’opera di Ibn Hauqal, La configurazione della terra[79], del 977, Otranto non è menzionata ma sulla carta geografica del Golfo dei Veneziani (vale a dire il Mar Adriatico), sono indicate Butritto, in Albania, e Otranto[80].
Nel 968 il già citato Liutprando da Cremona, sbarca ad Otranto[81]. Lo studioso arabo Edrisi, presente alla corte di Ruggero II di Sicilia, compilò fra il 1139 e il 1154 un’opera geografica sul Regno di Ruggero e sull’intera penisola italica[82]. Nella sua narrazione, Otranto si presenta come “città di antiche vestigia, molto popolosa”, con “mercati frequentati e vivo commercio”[83].
Con il passaggio alla dominazione normanna, non si eradicarono la lingua ed il costume greci né ad Otranto né nel vasto enclave di rito greco in cui la città si collocava. Anzi, l’influenza bizantina era favorita dal massiccio afflusso sulle nostre coste di religiosi orientali di rito greco genericamente definito basiliano[84]. Ciò è evidente dalla cospicua bibliografia sulla produzione letteraria locale di quei tempi, tutta fortemente improntata alla cultura greca, ed è confermato dalla fondazione del Monastero di Casole ad opera del monaco Giuseppe nel 1098-99[85], dalla fondazione della Cattedrale di Otranto, consacrata nel 1088, sotto il pontificato di Urbano II (1088-1099), ed edificata su committenza dell’arcivescovo Ugo e del successore Guglielmo, e ancor più dallo spettacolare pavimento musivo commissionato dal metropolita Gionata, attestato tra il 1163 e il 1179. Il Monastero di Casole, con il suo Scriptorium, la scuola e la Biblioteca, divenne un centro culturale importantissimo nel Salento bizantino tanto che si creò intorno a questo monastero un alone di leggenda che lo ha accompagnato fino ad oggi in quanto un po’ enfaticamente considerato anello di congiunzione fra la cultura greca e quella latina, un luogo in cui si realizzò una mirabile fusione fra Oriente ed Occidente. Sul monastero di Casole vi è stata infatti una messe di studi abbondante[86], almeno quanto quella sul mosaico pavimentale[87]. L’edificio più emblematico dell’influenza bizantina ad Otranto comunque resta la Basilica di San Pietro, gioiellino incastonato fra le mura della città vecchia[88].
Secondo Guglielmo di Puglia, Otranto riconobbe subito il dominio dei nuovi conquistatori, con Unfredo d’Altavilla[89]. Tuttavia Houben si affretta a smentire il poeta, considerando che le città di Oria e di Brindisi soltanto nel 1062 furono conquistate dai Normanni per tornare subito sotto il dominio bizantino[90]. Nel 1051 fece il suo ingresso in città Argiro, figlio di Melo di Bari, nuovo Catepano bizantino per l’Italia meridionale, sotto il regno dell’Imperatore Costantino IX (1042-1055)[91]. Secondo il Chronicon Breve Northmannicum, la prima conquista di Otranto da parte dei Normanni sarebbe avvenuta già nel 1055 e la città sarebbe poi stata riconquistata dai Bizantini nel 1060[92]. In realtà Otranto fu conquistata nel 1064 da un conte di nome Goffredo, probabilmente Goffredo di Taranto, ne parla l’Anonymus Barensis[93], ma la cosa fu di breve durata e poi venne riconquistata da Roberto il Guiscardo nel 1068[94], quando i Normanni espugnarono la città con un assedio molto duro e gli abitanti furono costretti a capitolare per la fame.
Bisogna poi ricordare che in seguito alla rivolta di Giorgio Maniace, Otranto fu anche sede, sia pure per un brevissimo periodo, fra il 1042 e il 1043, del Basileus, ovvero dello stesso Maniace che si era autoproclamato nuovo Imperatore d’Oriente[95].
Sotto Roberto il Guiscardo, Otranto ebbe un ruolo importante specie per via del suo porto, come confermano Goffredo Malaterra e Anna Commena[96]. Fu proprio da Otranto che Roberto partì nel 1081 per la sua spedizione contro Bisanzio e ad Otranto ritornò nel 1082 per reprimere la rivolta sorta contro di lui in Puglia[97]. Il cuore e le viscere di Roberto il Guiscardo, morto il 17 luglio 1085 a Cefalonia, furono sepolte proprio ad Otranto invece che nella SS. Trinità di Venosa, mausoleo della famiglia degli Altavilla, e ciò perché nel viaggio di ritorno la nave fu colpita da una terribile mareggiata e naufragò, cosa che spinse la vedova Sichelgaita a decidere di deporre le spoglie del marito, già in avanzato stato di decomposizione, ad Otranto[98]. Come informa Goffredo Malaterra, durante il primo soggiorno del Guiscardo ad Otranto, fra il 1070 e il 1071, prima della spedizione in Sicilia, il condottiero normanno fece radere al suolo una asperità del terreno che rendeva difficoltoso per l’equipaggiamento delle navi il percorso dalla città al porto[99]. Il porto in quel tempo non era abbastanza sicuro, come informa Guglielmo Apulo, che riferisce della spedizione del 1084 del Guiscardo a Corfù contro i Bizantini appoggiati dai Veneziani[100]. Il Guiscardo, secondo il poeta, preferì il porto di Brindisi che assicurava una navigazione più tranquilla rispetto poiché le tempeste autunnali rendevano molto pericoloso il canale d’Otranto, nonostante quel tratto di mare fosse relativamente più breve[101]. Secondo Anna Commena invece il Guiscardo avrebbe preferito Otranto per la minore distanza[102] e così anche secondo Malaterra la spedizione sarebbe partita da Otranto[103].
Durante l’età normanna la città beneficiò del generale clima di avanzata economica che coinvolgeva tutto il regno di Sicilia, ovvero “in quel grande spazio economico euromediterraneo dell’Occidente”, come scrive Poso[104], fondato sull’integrazione etnica, sociale, religiosa, che visse l’Italia meridionale sotto Ruggero II. Otranto, con l’età delle Crociate, era uno degli scali commerciali più importanti del Meridione, specie nei suoi legami con Antiochia in Siria, sotto la signoria di Boemondo d’Altavilla il quale, oltre ad essere titolare di un vasto dominio feudale nell’Apulia, che comprendeva Bari, Taranto e Gallipoli, era il signore del Principato di Antiochia, uno degli stati crociati formatisi in Oriente[105]. Grazie ai restaurati buoni rapporti con Venezia, dopo che questi si erano interrotti a causa dell’aiuto prestato dai Veneziani all’imperatore Alessio Comneno nella guerra fra Normanni e Bizantini del 1081-1085, ora Otranto diventava l’ultimo approdo per i traffici commerciali domestici della potente repubblica marinara[106].
In occasione dello scisma del 1054, l’arcivescovo metropolita di Otranto, Ipazio, si trovava a Costantinopoli, unico prelato italiano di fede bizantina, quando il patriarca Michele Cerulario firmò la famosa bolla contro il papa Leone IX (1049-1054)[107].
L’importanza di Otranto, oltre che dal porto, era data dalla solida fortificazione che circondava la città. Sulle mura di cinta di Otranto si intrattiene Poso il quale ricorda l’aneddoto riferito da Cecaumeno, autore dello Strategicon, sull’attacco normanno del 1064 allorquando, cingendo i Normanni d’assedio la città, difesa da una guarnigione di Russi e di Variaghi, Otranto venne conquistata e sottratta ai Bizantini con uno stratagemma: “essi, infatti riuscirono ad introdursi di nascosto all’interno dell’abitato, passando attraverso l’abitazione di proprietà della nipote del comandante bizantino, che era stata edificata direttamente a ridosso della mura”[108]. Dell’espugnazione di Otranto ad opera del conte normanno Goffredo di Taranto parla anche la cronaca dell’Anonimo Barese[109]. Otranto era difesa dal comandante Malapezza. Questi, quando si accorse che non c’era più niente da fare, fuggì, lasciando in mano ai nemici la moglie e la figlia[110]. “Benché si tratti ovviamente di uno stratagemma da manuale (secondo Amato di Montecassino, un altro contemporaneo, la città fu presa con le armi e per fame), la storia rispecchia l’antica fama di Otranto di essere una fortezza inespugnabile”[111].
Ruggero II per la sua campagna militare contro la Grecia si imbarcò proprio da Otranto nell’autunno del 1147, come sostiene Romualdo Salernitano, mentre secondo Niceta Coniata la flotta normanna partì da Brindisi[112].
Con il successore di Roberto il Guiscardo al trono, ovvero Ruggero Borsa, Otranto perdette la centralità che precedentemente aveva avuto, a favore di Brindisi. Il centro più importante divenne Lecce, certamente per la sua più favorevole posizione geografica. Lecce diventò contea con Tancredi, figlio illegittimo del duca Ruggero e nipote di Ruggero II, re di Sicilia, e che succederà poi a Guglielmo II sul trono dal 1190 al 1194[113]. Dopo la morte di Tancredi nel 1194, il regno di Sicilia passò a Costanza d’Altavilla ed Enrico VI Honestaufen e il regno fu unito al Sacro Romano Impero. Il papa Innocenzo III (1198-1216), reggente per il giovane Federico II, avverso alla cosiddetta unio regni ad imperium, si alleò con Gualtieri di Brienne, genero di Tancredi, che rivendicava la contea di Lecce e il principato di Taranto. Ma nel 1203 Otranto, come Matera e Brindisi, si ribellò al Brienne.
Nonostante il rilievo commerciale di Otranto in questo periodo la città dal punto di vista politico la città comincia a perdere peso. L’attività commerciale è comunque testimoniata dalle numerose monete bizantine del X e XI secolo ritrovate durante le varie campagne di scavi. Il porto di Otranto è inserito nel Liber de existencia riveriarum et forma maris nostri Mediterranei, una carta nautica di origini pisane redatta fra il 1160 e il 1200[114] e inoltre in due note fonti del Duecento, cioè l’Iter de Londinio in Terram Sanctam, in cui è raffigurata la mappa riguardante l’itinerario pugliese, redatto intorno al 1253 da Matteo Paris, monaco di Sant’Albano, che indica Otranto come la prima città portuale toccata dai pellegrini che ritornavano da Acri in Puglia[115]; e la relazione di un anonimo viaggiatore inglese in Terra Santa che parte da Avignone nell’ottobre 1344 ed è costretto ad una lunga sosta forzata ad Otranto a causa della presenza di pirati[116]. Ma con queste opere, andiamo oltre i confini temporali del saggio.
Il già citato viaggiatore Edrisi, o Al Idrisi, al servizio di Ruggero II, parla di Otranto nella sua cronaca di viaggio[117]. Scrive El Edrisi “È Otranto città di antiche vestigia, molto popolosa: ha mercati frequenti e vivo commercio. Il mare ne lambisce le mura da tre lati, essendo unita al continente da tramontana. Ha un fiume che venendo da tramontana ne trapassa da vicino la porta, corre lungo il Golfo dei Veneziani [Mare Adriatico] verso la città di .’br.ntis’, o, come altri dice, .’br.ndis’ [Brindisi] che ne è lontana quaranta miglia, ed ivi mette foce”[118]. Edrisi compilò la sua opera geografica intorno al 1152[119]. Dello stesso anno è l’opera Il compasso da navigare[120]. Il Compasso contiene un portolano ad uso dei naviganti, una carta nautica del Mediterraneo e un dettagliata descrizione delle coste della Puglia e del Mediterraneo, fornendo le distanze fra i vari punti di approdo e le indicazioni per eseguire le manovre di entrata nel porto e di sbarco, inoltre le rotte da seguire per tutto il Mediterraneo. Le due opere consentono di individuare il sistema stradale nel quale Otranto era immersa nel periodo normanno-svevo su cui però, come già detto, esiste una scarsissima documentazione[121]. Si possono così ricostruire i percorsi già romani su cui insistevano le varie città pugliesi e salentine, le distanze, le principali direzioni nonché la loro forma urbana[122]. Per Otranto se ne trae che la città fosse in una posizione davvero favorevole perché “al centro di un sistema di comunicazioni che la collegavano con il nord della regione, con l’entroterra del paese verso occidente in direzione di Taranto e dei centri della Lucania, e con la Grecia per la via naturale dell’Adriatico. Posizione ideale ancora non solo dal punto di vista economico, dei traffici, ma anche culturale, in quanto sede metropolitica greca con un ampio distretto di circa centocinquanta circoscrizioni minori (fra chiese e parrocchie)”[123].
Durante le Crociate, appunto, Otranto riveste una funzione fondamentale per l’imbarco verso Durazzo o Valona dei pellegrini diretti in Terrasanta. Per l’imbarco dei pellegrini verso Gerusalemme, l’inglese Sevulfo nella Certa relatio de situ Ierusalem[124], riferisce il suo viaggio a Gerusalemme compiuto negli anni 1102-1103. Secondo il viaggiatore i pellegrini che si dirigevano in Terra Santa avevano la possibilità di imbarcarsi a Bari, Barletta, Siponto, Trani oppure Otranto, che era l’ultimo porto della Puglia[125]. Così anche per l’imbarco dei crociati provenienti dalla Francia, Roberto Monaco menziona Otranto[126]. Secondo l’anonimo autore dei Gesta Francorum, gli scali maggiormente utilizzati per i crociati erano Bari, Brindisi e Otranto[127].
La potenza di Otranto si accrebbe col privilegio ottenuto da Federico II nel 1219 che, oltre a confermare i già cospicui beni della mensa arcivescovile idruntina, concesse i casali di Uggiano, Quattro Macine, Giuggianello, Miggianello. Gli arcivescovi di Otranto erano fra i più ricchi prelati di Puglia[128]. La città ospitò il soggiorno di Federico II e sua moglie Iolanda di Brienne nell’agosto-settembre 1227, dato confermato da tutte le fonti, come Riccardo di Sangermano[129].
La situazione sotto Manfredi, successore di Federico II, morto nel 1250, e di Corrado IV, morto nel 1254, si fece invece difficile. Manfredi era avversato dal papa Innocenzo IV (1243-1254) e da buona parte dei territori da lui controllati dove esplosero delle ribellioni antisveve. In Puglia insorse prima Brindisi, poi Otranto, Lecce, Oria e Mesagne[130]. Solo Nardò rimase fedele allo svevo ma dovette soccombere quando nel 1255 venne attaccata dalle truppe brindisine, cui si erano aggiunti gli otrantini insieme ad altre milizie antisveve, che riportarono una cruenta ma importante vittoria sulla città neretina menando violenta strage. Quasi tutta la Puglia quindi restò con il papa Alessandro IV (1254-1261). Ad Otranto vennero assegnati nel 1256 una serie di territori dell’entroterra in feudo e fu inviato un amministratore di nomina papale, Baldovino de Viczo de Soana, con funzioni di podestà. In generale i papi furono prodighi di concessioni nei confronti delle città che erano rimaste a loro fedeli ritenendo il territorio pugliese come tutto il Regno dell’Italia meridionale rientrante nei domini pontifici. Allo stesso modo, i pontefici conferivano i titoli feudali e dispensavano benefici pretendendo anche il rispetto degli obblighi cui le città meridionali erano tenute[131]. Dopo la sconfitta e la morte di Manfredi a Benevento nel 1266, la corona di Sicilia passò a Carlo I D’Angiò, incoronato dal papa Clemente IV (1265-1268). Con l’arrivo in Italia di Corradino di Svevia nel 1267, molta parte dell’Italia meridionale, a cominciare dalla Sicilia, insorse contro il D’Angiò. In Puglia, insieme a Lecce, Gallipoli, Taranto, Brindisi, si sollevò anche Otranto, sottoposta poi a dura repressione da parte di Carlo D’Angiò che sconfisse Corradino, il quale fu processato e giustiziato il 29 ottobre 1268.
Anche sotto gli Angioini, Otranto, nonostante avesse partecipato alle sollevazioni del 1268, mantenne il suo status di città demaniale e il suo ruolo di città episcopale e non si arrestò la crescita economica, sempre favorita dal porto per il quale, anzi, un provvedimento di Carlo I D’Angiò prevedeva dei lavori di ammodernamento[132]. Il D’Angiò infatti ordinò lavori essenziali di ampliamento e ristrutturazione anche dei porti di Brindisi, Manfredonia e Trani, “in considerazione della posizione strategica che i porti della Puglia meridionale potevano avere nella navigazione con l’Oriente, uno dei principali obbiettivi politici del sovrano, ma anche per evidenti ragioni commerciali e fiscali”[133].
Ritorniamo ora al viaggio di Beniamino nell’Italia Meridionale.
A Salerno, all’epoca celebre scuola di medicina, Tudela incontra importanti personalità della comunità giudaica. Parla di circa seicento famiglie, menzionando al primo posto R. Yudah, figlio di R. Ysaac ben Melchisedeq[134]. Da Salerno passa ad Amalfi in cui ammira i grandi vigneti, i deliziosi giardini, oltre alla bellezza della costiera.
Dopo Benevento, giunge a Melfi, in territorio pugliese. È nota l’importanza storica di Melfi, che era stata la prima capitale del regno normanno nell’Italia meridionale. Melfi, oltre a quella politica, rivestiva una grandissima importanza commerciale, essendo città mercantile dove erano presenti contingenti di pisani, veneziani, genovesi, ecc. Numerosa quindi anche la presenza ebraica attirata naturalmente dalle possibilità degli scambi. Beniamino menziona R. Achimaz, R. Nathan e R. Ysaac[135]. Dopo Melfi raggiunge Ascoli Satriano, comunità in cui sono presenti una quarantina di famiglie ebraiche “alla cui guida si trovano R. Qonsoli, R. Zenach, suo genero, e R. Yosef”. A due giorni di cammino è Trani, città importantissima all’età dei Normanni soprattutto per il suo porto che la rendeva uno scalo commerciale di prim’ordine ed una tappa obbligatoria per l’imbarco verso il Vicino Oriente. È normale quindi che fosse punto di confluenza di pellegrini e crociati diretti in Terra Santa. Circa duecento famiglie ebree sono presenti in città, in prevalenza commercianti, artigiani e prestatori di denaro, una fiorente comunità dunque – che fu posta sotto la giurisdizione del vescovo, anche dal punto di vista intellettuale, con la presenza di numerosi letterati, commentatori delle Sacre Scritture e poeti. “Guidano la comunità R. Elia, R. Nathan il Predicatore e R. Yacob”. In città erano presenti ben quattro sinagoghe poiché il numero degli ebrei ivi stanziati era in continua crescita. “La costruzione di ben quattro sinagoghe e la fioritura di uomini come Isaiah ben Malii e Isaiah ben Elia da Trani (sec. XII-XIII), commentatori insigni del Talmud e poeti, attestano l’amore per la pietà e lo studio degli ebrei in questa città”[136]. Non si ferma a Bari poiché la città era stata distrutta da Guglielmo di Sicilia nel 1156 come punizione per il suo passaggio ai bizantini. “Colo di Bari, la grande città che il Re Guglielmo di Sicilia ha distrutto. Al presente non vi abitano israeliti, né gentili a causa della sua distruzione”, scrive Tudela[137]. Non vi si potevano cioè trovare comunità ebraiche e se questa era la motivazione principale del viaggio, chiaro che la città di San Nicola, sulla cui storia si sofferma Colafemmina nel suo dotto commento[138], non presentasse interesse per Beniamino. Bari infatti giaceva fra le rovine, se si esclude la basilica e l’area circostante[139]. Di fatto, «Bari non esiste più», scrive Licinio. «Esiste invece la città di san Nicola. Bari è san Nicola: “Colo di Bari” la chiama l’ebreo Beniamino di Tudela, che vi fa tappa in quegli anni»[140]. Colafemmina parla poi della conversione all’ebraismo dell’arcivescovo di Bari Andrea. Le fonti cristiane passano sotto silenzio la conversione, che è invece attestata dalle fonti giudaiche. Secondo queste ultime, Andrea, condotto da Dio all’amore della Legge, avrebbe lasciato 1a sua patria, il suo grado sacerdotale e le sue cariche onorifiche per abbracciare la fede d’Israele. Egli si sarebbe fatto circoncidere a Costantinopoli verso i1 1066[141].
Dunque Beniamino giunge a Taranto, certamente la città più importante dal punto di vista commerciale dove dimorano trecento famiglie ebraiche. La città bimare, già fiorente centro longobardo, era passata poi ai Bizantini e in città convivevano il rito greco e quello latino, così come i due idiomi bizantino e longobardo insieme a quello ebraico e, in minima parte, anche arabo. Successivamente la città passa sotto il dominio dei Normanni. Beniamino dice che Taranto si trova “sotto il regno di Calabria”, con un evidente errore topografico poiché questo termine indica soltanto l’antico paese dei Bruzzi[142]. Le numerose epigrafi latino-ebraiche e greco-ebraiche in città testimoniano la presenza di una fiorente comunità giudaica. Colafemmina svolge una attenta disamina documentaria sulle suddette epigrafi riportando una ricca bibliografia sulla presenza ebraica a Taranto, attestata da molti secoli[143]. Vi sono circa trecento famiglie, a capo delle quali si trovano R. Meier, R. Nathan e R. Israel. Anche la comunità ebraica di Taranto è sotto la giurisdizione del vescovo. Beniamino giunge a Brindisi, probabilmente percorrendo l’antica Via Appia. A Brindisi è presente una modesta comunità ebraica, una decina di famiglie, che si occupavano dell’arte della tintoria, una delle attività maggiormente praticate dagli ebrei. “Questa citta ci ha tramandato tre epigrafi dei sec. VIII-IX in cui sono presenti brani dell’antichissimo rituale palestinese[144]. Nei primi decenni del II sec. fu a Brindisi il grande R. Aqiba ben Yosef, il quale, insieme con altri illustri maestri, ritornava in Palestina da uno dei viaggi che soleva intraprendere in cerca di sussidi e appoggi per gli ebrei della madrepatria per confortare nella fede i fratelli della Diaspora”[145].
L’ultima tappa salentina del viaggio è Otranto, dove vivevano ben cinquecento famiglie ebraiche, cosa che fa di Otranto la terza comunità per numero di abitanti dopo Palermo (con millecinquecento famiglie) e Salerno (seicento famiglie)[146]. A capo della comunità erano R. Menachem, R. Caleb, R. Meeir, R. Mali. Fin dai primi tempi dell’era volgare è attestata la presenza di ebrei ad Otranto. Colafemmina ricorda la dura repressione scatenata dall’Imperatore Romano Lecapeno e l’intermediazione di Hisdai ibn Shraput, medico e consigliere personale del califfo di Cordova Abd al-Rahman III, che pose fine alla persecuzione[147]. La convivenza fra cristiani ed ebrei ebbe lunghi periodi felici alternati a momenti di intolleranza. Colafemmina sottolinea il grande ruolo culturale svolto da Otranto e che era noto in tutta l’Europa giudaica[148] ed è confermato dalla celebre frase del rabbino Jacob ben Meir Tam (1100-1171): “da Bari proviene la Legge (Torah), e da Otranto la parola del Signore”[149], un elogio «non modesto, se si pensa che è una parafrasi di Isaia 2, 3, dove si profetizza il magistero universale della Città Santa alla fine dei tempi, quando “da Sion uscirà la Legge e la parola di Dio da Gerusalemme”», come scrive Houben riportando le parole di Colafemmina[150]. La presenza ebraica ad Otranto è attestata anche da un passo della Vita di San Nicola Pellegrino, opera del XII secolo, Vita beati Nicolai peregrini (B.H.L. 6223), citata dallo stesso Houben, che scrive: “a Otranto il santo viene assalito dagli abitanti in processione con un’immagine della Vergine per aver salutato con particolare deferenza un anziano ebreo. L’episodio potrebbe essere un indizio di un rapporto non privo di tensioni tra cristiani ed ebrei, ma generalmente nel Mezzogiorno normanno-svevo i rapporti tra le due comunità erano buoni”[151], e ricorda l’epigrafe sepolcrale bilingue, greco ed ebraico, rinvenuta sul Colle della Minerva dedicata ad una donna di nome Glika, e riportata dal Colafemmina[152]. Quest’ultimo parla anche di un poeta ebraico, Anatoli, che ad Otranto compose la sua opera nel XIII secolo[153].
Tuttavia non si conoscono il peso e l’effettivo dinamismo di questa comunità ebraica stanziata ad Otranto. Non sappiamo cioè, come evidenzia Poso, se questi ebrei fossero nel settore del credito oppure svolgessero attività manifatturiera e quale: se l’attività tessile, in particolare la tintura, così diffusa in altri luoghi, oppure altre attività artigianali[154]. Lo stesso Poso ricorda la relazione di viaggio di Jacopo da Verona, del 1335, il quale rimarcava, evidentemente molto tempo dopo Tudela, la consistente presenza ebraica a Otranto[155].
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Da Otranto Beniamino si imbarca per la Grecia raggiungendo Corfù. Nel corso di tutto il suo itinerario mette in evidenza resti fisici, frammenti, rovine e monumenti. Certamente attratto dalle comunità ebraiche ma, a differenza dei classici pellegrinaggi del Medioevo che portavano i cristiani nei luoghi santi, nel viaggio di Benjamin, la Terra d’Israele è inserita in un itinerario più ampio. “Si muove da ovest a est lungo un percorso circolare in cui Gerusalemme non è la destinazione finale, ma è solo un punto del cammino”[156]. Questo rende il suo viaggio unico, differenziandolo dal pellegrinaggio. Beniamino si concentra sulla propria religione, l’ebraismo, ma non mostra separatezza né alcuna ostilità rispetto alle altre religioni -cristiani, Musulmani, i già citati Drusi -quando descrive le loro tradizioni e modi di vita[157].
Conosciamo il grande fenomeno della letteratura di viaggio iniziata nel XVIII secolo. Il Settecento letterario è caratterizzato da una enorme produzione di scritture che rientrano nel genere odeporico, cioè resoconti di viaggiatori in terre straniere, in particolare modo in Italia, tanto che la letteratura di viaggio costituisce una delle più importanti fonti per la conoscenza di usi e costumi, economia, politica e religione del nostro territorio nel secolo dei Lumi[158]. Si può, si chiede la studiosa Morère, riportare indietro nel tempo la storia dei viaggi di istruzione e di piacere, giungendo fino ai secoli dell’Alto Medioevo?[159] “Questi testi sono allo stesso tempo reali, immaginari e mitici; alcuni autori hanno addirittura cercato il confine tra il mondo conosciuto e quello sconosciuto. Gli scrittori si sono trasferiti da un posto all’altro per scopi di guerra, commercio, diplomazia e cavalleria, sebbene la motivazione religiosa sia di gran lunga la più comune. Le motivazioni psicologiche, personali e sociologiche alla base della mobilità medievale in questi testi sono aspetti molto presenti, mentre nei secoli precedenti le motivazioni erano più vaghe”[160]. Se si potesse retrodatare l’inizio di un genere letterario al Medioevo, allora senz’altro l’opera di Benjamin rientrerebbe nella letteratura odeporica. Resta però quella commistione fra notizie vere ed inventate a farne un’opera ibrida, non certo un unicum, ma assai singolare. La Morère analizza il viaggio di Beniamino rifacendosi come fonte a Magdalena Nom de Déu, Testimonios arqueológicos del Oriente Próximo testimoniados en el Sefer Masaót de Benjamín de Tudela (Siria-Palestina, Mesopotamia y Egipto)[161].
Fatto sta che l’opera di Beniamino venne utilizzata come fonte primaria da tutti gli storici medievali. La prima edizione a stampa dell’Itinerario apparve a Costantinopoli in ebraico nel 1543, e successive edizioni ebraiche furono pubblicate a Ferrara (1556), Friburgo (1583), Leida (1633), Amsterdam (1698), Altdorf (1762), Sulzbach (1782) e Berlino (1840). Le prime traduzioni, dall’ebraico al latino, furono fatte da Arias Montanus ad Anversa nel 1575 e da Constantine L’Empereur a Basilea e Leida nel 1633. Ulteriori edizioni latine apparvero a Helmstadt nel 1636 e a Lipsia nel 1674; entrambe erano ristampe della traduzione di Montanus dell’Itinerarium Beniamini Tudelensis. Traduzioni inglesi, con due eccezioni dal latino, apparvero nel 1625, 1744, 1784, 1808, 1840 e1904; le traduzioni in francese furono pubblicate nel 1729, 1734,1735 e 1830. Una versione olandese da quella latina di L’Empereur apparve nel 1666 e nel 1698. Le traduzioni giudaico-tedesche (yiddish) apparvero solo nel 1691 e nel 1711, anche queste derivavano dal testo latino di L’Empereur e non da quello originale ebraico di Benjamin. Una traduzione tedesca ancora si ebbe nel 1903[162]. La prima traduzione in latino dunque fu quella di Benito Arias Montano (1527-1598), un eminente studioso spagnolo che ebbe un’importante carriera ecclesiastica. Zur Shalev, che si occupa dell’Itinerario di Beniamino da Tudela, che “è stato a lungo riconosciuto come una fonte unica per la storia ebraica e mediterranea”, si concentra proprio “sulla prima traduzione latina (Anversa, 1575), preparata dal biblista spagnolo Montano. Nella sua dedica e prefazione, Montano presenta Benjamin come un eminente membro della illustre tradizione spagnola di esploratori e geografi. Inoltre, vede nell’Itinerario un documento che può essere significativo per la comprensione della Scrittura. La concettualizzazione di Montano ci permette di comprendere le complessità della traduzione come un processo culturale – ovvero i tentativi di collegare le barriere linguistiche, religiose e cronologiche che separavano Benjamin dai suoi primi lettori moderni”[163]. La fortuna critica dell’opera, le sue numerosissime ristampe, testimoniano in maniera lampante il grande successo di questo libro nel corso dei secoli.
Beniamino, figlio di Giona, di Tudela nella regione della Navarra, è festeggiato oggi come un grande, se non il più grande, viaggiatore ebreo. L’Itinerario è l’unica fonte biografica che ci dia notizie su Beniamino, che molto probabilmente lasciò la Spagna nel 1167 e vi ritornò nel 1173. Benjamin era probabilmente un commerciante con tempo a disposizione, anche se entro certi limiti. In Terra Santa, allora sotto il dominio dei crociati, si comportò più come un pellegrino ebreo. La sua lingua è chiara, eppure lungo il percorso mostra grande interesse per gli studiosi e le scuole rabbiniche. Benjamin è abbastanza coerente nel descrivere le comunità ebraiche che incontra, ma lui spesso fornisce resoconti generali accattivanti delle città che attraversa, in particolare dei maggiori centri politici e culturali dell’epoca: Roma, Costantinopoli e Baghdad. Il suo percorso inizia in Spagna e attraversa la Provenza fino all’Italia, Costantinopoli, Palestina, Siria, Baghdad, poi attraverso l’Arabia fino all’Egitto, alla Sicilia e di nuovo in Spagna. Benjamin menziona località in Persia, India, Cina, Francia e Germania, che molto probabilmente non ha mai visitato. Nei secoli successivi il testo fu abbastanza conosciuto negli ambienti dotti ebraici, ma esso fu stampato solo nel 1543. Nel 1583 uscì a Brisgau una ristampa leggermente modificata. Un’altra, migliorata, edizione era apparsa a Ferrara nel 1556. Montano apparentemente non ne era a conoscenza quando stava lavorando alla sua traduzione
Così scrive Shalev a proposito della traduzione di Benito Arias Montano e riporta la copertina dell’Itinerarium Beniamini Tudelensis (Antwerpiae, Ex officina Chistophori Plantini, 1575)[164].
Per quanto riguarda le edizioni moderne del libro di Beniamino, al primo posto va collocata la traduzione che ne fece M.N. Adler, The Itinerary of Benjamin de Tudela, London, Oxford University Press, 1907; inoltre, I. González Llubera, Viajes de Benjamin de Tudela 1160-1173, Madrid: Junta de Ampliación de Estudios, Centro de Estudios Históricos, 1918; J. Vernet Ginés, Benjamín de Tudela, in «Príncipe de Viana», 23, 86-87, 1962, pp. 201-212; J.R. Magdalena Nom de Déu, Libro de viajes de Benjamín de Tudela, Barcelona: Biblioteca Nueva Sefarad, Ríopiedras ediciones, 1982; G. Busi, Binyamin da Tudela. Itinerario (Sefer Massa’ot), Rimini, Luisè, 1988; e il già citato Magdalena Nom de Déu, Testimonios arqueológicos del Oriente Próximo testimoniados en el Sefer Masaót de Benjamín de Tudela.
Robert Hess nella sua opera del 1965 scrive:
Sessant’anni fa Marcus N. Adler rintracciò ed esaminò tre copie manoscritte complete dell’Itinerario e frammenti di altri due manoscritti[165]. Il British Museum possiede un manoscritto del XIII secolo. Presso la Biblioteca Casanatense di Roma è stato fatto eseguire un manoscritto non databile, con una calligrafia italo-ebraica, mentre un collezionista privato possedeva a Vienna un manoscritto sul quale era impresso l’imprimatur del censore di fra Luigi da Bologna e la data ‘luglio 1599’. Il manoscritto di Vienna era quasi identico all’edizione a stampa ferrarese del 1556. I frammenti di due altri manoscritti erano allora ospitati nell’Oppenheim Collezione nella Biblioteca Bodleiana. Uno può essere del quattordicesimo o quindicesimo secolo, di origine spagnola; l’altro è del Medio Oriente del XVIII secolo. Si conoscono inoltre numerose edizioni a stampa dell’Itinerario. I principali commentatori moderni sono stati Marcus N. Adler (1904) e Carlo Conti Rossini (1912). La grande impresa del XIX secolo fu l’edizione imprecisa ma utile di A. Asher[166]. Ci sono molti studi di minore importanza di studiosi ebrei come Leopold Zunz e Joachim Lelewel[167].
Nel 2018 viene pubblicato: Binyamin da Tudela, Itinerario (Sefer massa‘ot), a cura di Giulio Busi, dall’editore Giuntina di Firenze, per iniziativa del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e con il sostegno della Fondazione Ebraica Marchese Guglielmo De Lévy[168]. È scritto nella Prefazione
L’iniziativa di ripubblicare in italiano l’Itinerario di Binyamin da Tudela è nata a seguito del successo che la figura del viaggiatore ebreo medievale ha avuto nella mostra inaugurale del MEIS “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni” e dell’importanza di questo libro di viaggio per conoscere la storia dell’ebraismo d’Italia. Sono stati proprio i visitatori a chiedere al Museo di poter acquistare una copia del diario di Binyamin dopo aver imparato dalle numerose edizioni storiche in mostra (come il manoscritto contenente il Sefer massa‘ot del 1428, conservato alla Biblioteca Casanatense di Roma, l’edizione a stampa di Ferrara del 1555 proveniente dalla Bodleian Library di Oxford, l’edizione ebraico-latina di Anversa, 1575, conservata presso l’Orientale di Napoli), e dalla suggestiva installazione con i disegni di Lele Luzzatti, quanto l’ebreo di Navarra avesse raccontato sulle comunità ebraiche da lui visitate durante il viaggio intrapreso verso la Terra di Israele, e poi di ritorno, negli anni tra il 1159 e il 1173. Il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah ha quindi deciso di dar vita a questo volume affidandolo all’ebraista Giulio Busi, lo studioso che aveva tradotto il testo trenta anni fa e che in mostra ha raccontato in video ai visitatori chi fosse Binyamin da Tudela (è suo anche il saggio sul catalogo MEIS “Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni”, Electa 2017). È all’esperto Busi dunque che lasciamo illustrare, in una ricca introduzione al testo, i dettagli, e anche i segreti, di questo straordinario racconto, capace ancora oggi di disegnare un affresco vivo e completo dell’Italia ebraica medievale. Un ebraismo particolarmente florido e attivo nel Sud della Penisola, in quelle regioni, come la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia, dove era fiorito e prosperato, ma da dove i governanti spagnoli lo cacciarono senza deroghe, poco più di tre secoli dopo il passaggio di Binyamin. La sparizione improvvisa, cinquecento anni fa, del mondo ebraico dall’Italia meridionale, e la nascita di una nuova consapevolezza in quelle terre circa il loro passato ebraico, costituiscono una ragione in più per portare alle stampe questo Itinerario, dove sono appunto descritte quelle comunità strappate alla storia con un colpo di spugna antisemita. Il racconto di Binyamin ce ne descrive i personaggi, le tradizioni, le mode, i numeri, restituendoci in modo candido, seppure da un lontano passato, un capitolo della storia del nostro Paese[169].
Quanto alle motivazioni del viaggio, come già riportato, diversi studiosi vedono nel Medioevo la nascita della letteratura di viaggio a causa del numero significativo di documenti conservati. “In effetti vari sono i parametri che definiscono il turismo nel mondo antico: il contesto urbano, la domanda, il desiderio di viaggiare, il contesto economico, l’attrattività, ossia il fascino esercitato dai luoghi, le destinazioni”[170]. Il nostro viaggiatore era alla ricerca delle vestigia del passato, delle tracce della grandezza della storia. Ma quale la motivazione intrinseca? Ce lo dicono forse le bellissime parole di Giorgio Busi:
La lunghissima peregrinazione, che lo porta – nella sesta decade del XII secolo -da Tudela sino al limitare dell’Oriente estremo, ai confini del mare periglioso «su cui domina Orione», è vissuta nel libro come una necessità, quasi un dovere ineludibile. Privo di ogni notazione personale, l’Itinerario, che quasi mai indulge alla lusinga del racconto in prima persona, ci trasmette la profonda convinzione dell’autore: non si poteva non compiere quel viaggio. Binyamin ha un’idea, ripercorrere la trama complicata della diaspora della sua gente. È un’idea allo stesso tempo astratta e concretissima. Israele è disperso tra i popoli, i frammenti dell’antica unità sono stati scagliati lontano, negli angoli più riposti della terra, nei siti più impensabili. Per ricostruire l’immagine complessiva del popolo ebraico non v’e allora che un’unica via. Occorre ricostruire l’immagine del mondo. È necessario percorrerlo tutto, con pazienza e ostinazione[171].
A noi, suggestionati da tanta letteratura
popolare e gothic noir, piace pensare che egli fosse figura dell’ebreo errante,
destinato a vagare per il mondo fino alla fine dei tempi e cioè fino alla
seconda venuta di Gesù con la parusia.
Non abbiamo immagini di Beniamino ma, se davvero egli fosse El
Judío Errante, come vogliamo immaginare, allora le sue fattezze
sarebbero quelle della celebre illustrazione di Gustav Doré. E Benjamin continuerebbe
a viaggiare ancora oggi, personificazione e allegoria di quella diaspora
infinita che ha colpito gli ebrei.
[1] Benjamin of Tudela, in https://www.jewishvirtuallibrary.org/benjamin-of-tudela
[2] Ibidem.
[3] C. Colafemmina, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, in «Archivio Storico Pugliese», n. 28, 1975, p.82.
[4] J. Shatzmiller, Jews, Pilgrimage, and the Christian Cult of Saints: Benjamin of Tudela and His Contemporaries, in After Rome’s Fall: Narrators and Sources of Early Medieval History, Toronto, University of Toronto Press, 1998, p. 338.
[5] Sulla motivazione del viaggio, Shatzmiller non esclude che questa potesse essere la visita in Terra Santa, sebbene il giudaismo non conoscesse il culto dei luoghi santi e il cammino di penitenza, come accadeva invece in Europa, alla volta di Roma, San Michele Garganico, Santiago de Compostela, Santa Maria di Leuca, ecc. Shatzmiller afferma che all’epoca di Tudela gli studiosi non rabbinici, in particolare i caraiti, condannavano severamente il culto degli ebrei verso i luoghi santi, considerandolo una forma di idolatria. E comunque, quando i pellegrinaggi non fossero preclusi, certamente non erano prescritti dalla cultura ebraica del tempo. Il fatto che Beniamino fosse un ebreo rabbinico lascia aperto il campo e nutre il dubbio che egli, attratto dai santuari europei, potesse essere attirato anche dai santuari del vicino Oriente. J. Shatzmiller, Jews, Pilgrimage, and the Christian Cult of Saints: Benjamin of Tudela and His Contemporaries, cit., pp. 339-340.
[6] Benjamin of Tudela, in https://www.jewishvirtuallibrary.org/benjamin-of-tudela
[7] Come per esempio, R. Di Tucci, Beniamino da Tudela e il suo viaggio, in «Bollettino della Regia Società Geografica Italiana», n.78, 1941, pp. 496-517, cit. in C. Colafemmina, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, cit., pp.81-82, nota 2. Lo studioso però aggiunge subito dopo che è probabile che “le scarne note di viaggio siano state in seguito arricchite per trasformarle in un’opera letteraria corrispondente ai gusti del tempo”. Ibidem.
[8] G. Busi, Introduzione, in Binyamin da Tudela, Itinerario (Sefer massa‘ot), a cura di Giulio Busi, Firenze, Giuntina, 2018, p. 9. Sulla commistione fra elementi reali ed immaginari, nella letteratura di viaggio e fantastica, sia permesso rinviare a P. Vincenti, La mia isola, in L’osceno del villaggio, Novoli, Argomenti, 2015, pp. 89-92.
[9] B. Ligorio, Sapere e denaro, da Shabbatai Donnolo a Federico II, Taranto, Artebaria Edizioni, 2010, p. 21. Il libro cui si riferisce Ligorio è: Ahima‘az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze. Vicende di una famiglia ebraica di Oria nei secoli IX-XI, a cura di Cesare Colafemmina, Cassano Murge, Messaggi, 2001.
[10] A. Toaff, Mostri Giudei. L’immaginario ebraico dal medioevo alla prima età moderna, Bologna, Il Mulino,1996, pp. 20-21, cit. in B. Ligorio, Sapere e denaro, da Shabbatai Donnolo a Federico II, cit., p. 21.
[11] B. Ligorio, Sapere e denaro, da Shabbatai Donnolo a Federico II, cit.,p. 22.
[12] G. Ravegnani, I bizantini in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004 (nuova edizione 2018), pp. 167-168.
[13] Il tema di Lucania è testimoniato da un unico atto, una sentenza del novembre 1042, emessa da Eustazio Skepides, che ivi si definisce, appunto, stratego di Lucania: S. Cosentino, Storia dell’Italia bizantina (VI-XI secolo). Da Giustiniano ai Normanni, Bologna, BUP, 2008, p.144. La von Falkenhausen parla di tre themata, ovvero Calabria, con capitale Reggio, Lucania con capitale Tursi, e Longobardia con capitale Bari: V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’Italia meridionale dal IX all’XI secolo, Bari, Ecumenica Editrice, 1978, p. 30.
[14] G. Ravegnani, I bizantini in Italia, cit., p. 168.
[15] Ivi, p. 170. Sugli avvenimenti storici del periodo, inoltre, fra la cospicua mole di studi, si rimanda a: Corso di storia diretto da Giuseppe Galasso, Medioevo, a cura di Giovanni Vitolo, Milano, Bompiani Editore, 1997; C. Diehl, La civiltà bizantina, Milano, Garzanti, 1962; P. Brezzi, La civiltà del Medioevo europeo, vol. I, Roma, Eurodes, 1978; G. Ravegnani, La storia di Bisanzio, Roma, Jouvence, 2004: passim.
[16] M. Amari, Biblioteca arabo-sicula. Versione italiana, Torino-Roma, 1880-81, 1, pp. 412, 2, pp. 128, 191; Annales Barenses, ed. G.H. Pertz, Hannover, 1844 (in M.G.H. Scriptores, 5), p. 52.
[17] VoceShabbĕtay Bar Abrāhām Donnolo, a curadi Gianfranco Fiaccadori, in Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 41, 1992 (on line).
[18] Ibidem.
[19] Ahima‘az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze. Vicende di una
famiglia ebraica di Oria nei secoli IX-XI, a cura di Cesare Colafemmina,
cit., p. 33. Si veda inoltre: Sefer Yetzirà. Libro della Formazione. Secondo il manoscritto di
Shabbatai Donnolo. Con il commentario Sefer Chakhmonì (libro Sapiente) di
Shabbatai Donnolo, a cura di Rav D. Sciunnach, traduzione di P. Mancuso,
Milano, Lulav, 2001. Sulla importante figura di Donnolo e su altre figure di
dotti oritani, si vedano: N. Ferorelli, Gli Ebrei nell’Italia
meridionale dall’età romana a Carlo Borbone, in «Archivio storico della
provincia di Napoli», n. XXXIII, 1908, pp. 145-149; Idem, Gli Ebrei
nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, Torino, 1915, pp.
31-35 (ristampato da Forni, Bologna, 1966); 193-203; G. Nebbia, Donnolo,
medico e sapiente di Oria in provincia di Brindisi nel 1050° anniversario della
nascita, in «Atti e Relazioni dell’Accademia Pugliese delle Scienze», n.
s., 21, 1963, II, pp. 22-24; C. Colafemmina, Gli epitalami
di Meiuchas e Shabbetai da Otranto, in
«Brundisii res», n. 9, 1977, pp. 45-67; Idem, Una poesia liturgica di Shefatiah ben
Amittai da Oria, in Studi in onore di
Mario Marti, Vol. I, Galatina, Congedo Editore, 1981, pp. 325-329;
Idem, Un epitalamio
di Amittai da Oria, in Familiare‘82.
Studi offerti per le nozze d’argento a Rosario Jurlaro e Nunzia Ditonno,
Brindisi, Amici della “A. De Leo”, 1982, pp. 85-89; Idem, La Puglia in una
cronaca ebraica altomedievale (Sepher Yosephon), in «Cenacolo», n.
11-12, 1981-82, pp. 63-67; Idem, Valenza sacrificale della circoncisione in
un inno di Shabbatai da Otranto, in Sangue e
antropologia. Riti e culto. Atti della V Settimana (Roma, 26 novembre-1
dicembre 1984), a cura di F. Vattioni, Roma, 1987, I, pp. 925-931; Idem,
Una zemirah di Amittai ben Shefatiah da Oria,
in «Nicolaus. Rivista di Teologia ecumenico-patristica», n. 21, 1994, pp.
61-66; Idem, La contesa fra la vite e gli alberi
di Amittay ben Šefatyah da Oria, in Percorsi di
storia ebraica. Atti del convegno AISG (Cividale del Friuli – Gorizia
2004), a cura di Pier Cesare Ioly Zorattini, Udine, Forum, 2005, pp. 389-96;
Idem, Un medico ebreo di Oria alla corte dei Fatimidi, in Atti del XIX Congresso
internazionale dell’AISG, Siracusa, Residence “Alla Giudecca” 25-27 settembre
2005, “L’ebraismo dell’Italia meridionale nel contesto mediterraneo. Nuovi
contributi”, a cura di Mauro Perani,
pubblicati in «Materia Giudaica», Bollettino
dell’associazione italiana per lo studio del giudaismo, Firenze, Giuntina,
XI/1-2, 2006,
pp.
5-12; Idem, Donnolo Shabbetay e la preparazione dei farmaci, in Farmacopea antica e medievale.
Atti del Convegno Internazionale di Studio (Salerno 30 novembre – 3 dicembre
2006), Salerno, 2008, pp. 71-80; G. Sermoneta, Il
neoplatonismo nel pensiero dei nuclei ebraici stanziati nell’Occidente
medievale (Riflessioni sul “Commento al Libro della Creazione” di Rabbi
Shabbatai Donnolo), in Gli ebrei nell’Alto Medioevo. Settimane
di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo. XXVI (Spoleto 30
marzo-5 aprile 1978), Spoleto, 1980, II, pp. 867-925; R. Bonfil, Tra
due mondi. Prospettive di ricerca sulla storia culturale degli Ebrei
dell’Italia meridionale nell’alto Medioevo, in Italia Judaica. Atti del I Convegno internazionale (Bari, 18-22 maggio
1981), Roma, 1983, pp. 135-158; Fabrizio Lelli, La “Megilla” di Ahimaz ben Palti’el da Oria e la narrazione midrasica
nella letteratura ebraica, in Raccontare
nel Mediterraneo, a cura di M. G. Profeti (“Secoli d’oro” 34), Firenze,
2003, pp. 31-51; Idem, Note in margine ad
alcune recenti edizioni di fonti letterarie dell’ebraismo salentino, in
«Itinerari di ricerca storica», Università del Salento, Dipartimento di Studi
Storici dal Medioevo all’Età contemporanea, n. XVIII, 2004, pp. 293-303; V.
Putzu, ‘Whoever kills a human being, it is as if he destroys the entire
world’: the humanism of Šabbetay Donnolo between mysticism and science, in Gli ebrei nel Salento. Secoli IX-XVI, a cura di Fabrizio Lelli, Galatina,
Congedo, 2013, pp. 145-164; G. D’Amico,
La comunità ebraica orietana e il suo
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Hayman, Sefer Yesira, editio, translation and text-critical commentary, Tubingen,
2004; P. Mancuso, Il Sefer
Hakmony nella biblioteca degli Hasidei Askenaz. L’esempio del commento alle
Tefillot di El’azar da Worms, in Atti del
XIX Congresso internazionale dell’AISG, Siracusa, Residence “Alla Giudecca”
25-27 settembre 2005, “L’ebraismo dell’Italia meridionale nel contesto
mediterraneo. Nuovi contributi”, a cura di Mauro Perani, pubblicati in «Materia
Giudaica», cit., pp. 25-46; Idem, Shabbatai
Donnolo. Sefer Ḥakhmoni. Introduzione, testo critico e traduzione italiana
annotata e commentata, Firenze,
Giuntina, 2009; G. M. Cuscito,
Il Sefer ha-yaqar di Šabbeṯay Donnolo:
traduzione italiana commentata, in «Sefer Yuḥasin ספר יוחסין | Review for the History of the Jews in South
Italy. Rivista Per la Storia degli Ebrei nell’Italia Meridionale», n.
2, Università degli Studi di
Napoli L’Orientale, 2018, pp. 93-106, https://doi.org/10.6092/2281-6062/5568;
J. Dan, La cultura ebraica nell’Italia medievale: filosofia, etica, misticismo,
in Gli ebrei in Italia. Dall’alto
Medioevo all’età dei ghetti (Storia d’Italia, “Annali”, 11), a cura di C.
Vivanti, Torino, 1996, pp. 341-346;
Federica Finisguerra, L’uomo microcosmo nel Sefer Hakmoni di Sabbetai Donnolo: termonilogia
e cultura tra scienza e fede, in
«Itinerari di ricerca storica», n. XXII-XXV, 2008-2011, pp. 27- 54; Laura De
Padova, Le origini bibliche di Roma nella
rivisitazione midrasica del Sefer Ha-Yasar, in Ivi, pp. 55-88; F. Burgarella,
Shabbettai Donnolo nel bios di San Nilo
da Rossano, in Gli Ebrei nella
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Colafemmina (Rende, 21 maggio 2013), a cura di Giovanna De Sensi Sestito,
Soveria Mannelli, Rubettino, 2013, pp. 47-60; E. G. Rosato, L’uomo
microcosmo e la circolazione dei luidi in Shabbetai Donnolo, in Ivi, pp. 61-88. P. Mancuso, Il
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annotata e commentata, in L’umanità dello scriba. Testimonianze e studi
in memoria di Cesare Colafemmina, a cura di P. Cordasco, F. Pappalardo e N.
Surico, Cassano delle Murge, Messaggi Edizioni, 2015, pp. 103-143.
[20] Lupo Protospatario, Annales, a cura di G. H. Pertz, Hannover, 1844 (M.G.H. Scriptores, 5), p. 54, riferito da V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente: Otranto in epoca bizantina, in Otranto nel Medioevo tra Bisanzio e l’Occidente, a cura di Hubert Houben, Galatina, Congedo, 2007, p. 40.
[21] V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente: Otranto in epoca bizantina, cit., p. 40.
[22] A. Guillou, La Puglia e Bisanzio, in La Puglia tra Bisanzio e l’Occidente, Venezia, Electa, 1980, p.16.
[23] I. Sonne, Alcune osservazioni sulla poesia religiosa ebraica in Puglia, in «Rivista degli studi orientali», n.14, 1933-1934, pp. 68-77, cit. in V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente, cit., p. 45, nota 123.
[24] U. Cassuto, Una lettera ebraica del secolo X, in «Giornale della Società asiatica italiana», n. 29, 1918-1920, pp. 97-110, cit. in V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente, cit., p. 45, nota 125.
[25] S. Palmieri, Le componenti etniche: contrasti e fusioni, in Storia del Mezzogiorno, diretta da Giuseppe Galasso, 3, Napoli, 1990, pp. 43-72, cit. in H. Houben, Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, Napoli, Liguori, 1996, p. 481.
[26] H. Houben, Gli ebrei nell’Italia Meridionale, in Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, cit., p. 194. Il saggio di Houben era stato già pubblicato in «Itinerari di ricerca storica» (Università di Lecce), n. VI -1992, Galatina, 1993, pp. 9-28, e poi in L’Ebraismo dell’Italia meridionale peninsulare dalle origini al 1541: società, economia, cultura. IX Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana per lo studio del Giudaismo (Potenza, 20-24 settembre 1992), a cura di C.D. Fonseca, M. Luzzati, G. Tamani, C. Colafemmina (Università degli Studi della Basilicata, “Atti e Memorie” 17), Galatina, Congedo, 1996, pp. 49-65.
[27] Riccardo di San Germano, Chronica, a cura di C.A. Garufi, Bologna, 1938, in Rerum Italicarum Scriptores, VII, 2, pp. 94ss., cit. in H. Houben, Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, cit., p. 486.
[28] H. Houben, Gli ebrei nell’Italia Meridionale, in Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, cit., p. 210.
[29] Idem, Possibilità e limiti della tolleranza religiosa, in Ivi, pp. 213-242.
[30] Ivi, p. 217.
[31] Ivi, p. 224.
[32] M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di C. A. Nallino, III, 2, Catania, 1938, p. 372, cit. in H. Houben, Possibilità e limiti della tolleranza religiosa, cit., p. 225, nota 81. Sul re siciliano si veda H. Houben, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano fra Oriente e Occidente, Roma-Bari, Laterza, 1999.
[33] Rogeri de Hoveden, Chronica, ed. F. Liebermanni, in M.G.H. Scriptores, XXVII, Hannoverae, 1885, pp. 170ss., cit. in H. Houben, Possibilità e limiti della tolleranza religiosa, cit., p. 235, nota 132.
[34] H. Houben, Possibilità e limiti della tolleranza religiosa, cit., p. 238.
[35] Riccardo di San Germano, Chronica, cit., p. 96, cit. in Ivi, p. 239, nota 159.
[36] Tommaso d’Aquino, De regimine principium ad regem Cypri et de regimine Judaeorum ad ducissam Brabantiae, ed. J. Mathis, Torino, 1971, p. 100, cit. in Ivi, p. 240, nota 169.
[37] H. Houben, Possibilità e limiti della tolleranza religiosa, cit., p. 241.
[38] Si veda D. Nardone, Episodi relativi ad una cacciata di Ebrei dimoranti in Gravina di Puglia alla fine del XV secolo, in «Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 8 novembre 1938.
[39] H. Houben, Nuove fonti per la storia degli ebrei e dei musulmani Regno di Sicilia (1275-1280), in Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, cit., pp. 243- 266.
[40] D. Abulafia, Il Mezzogiorno peninsulare dai bizantini all’espulsione (1541), in Gli ebrei in Italia. Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, cit., pp. 5-44.
[41] F. Patroni Griffi, Gli ebrei nel Mezzogiorno peninsulare nel XII secolo, in Tancredi Conte di Lecce Re di Sicilia, Atti del Convegno internazionale di studio, Lecce, 19-21 febbraio 1998, a cura di Hubert Houben e Benedetto Vetere, Galatina, Congedo, 2004, p. 207. Si veda anche S. Tramontana, Qualche considerazione su aspetti, anche religiosi, della questione ebraica nell’età di Roberto il Guiscardo, in Roberto il Guiscardo e il suo tempo. Atti delle prime giornate normanno-sveve (Bari, maggio 1973), Roma, 1975 (Fonti e Studi del Corpus membranarum italicarum, 11), rist. Bari, 1991 (Centro studi normanno-svevi, Università degli Studi di Bari, Atti 1), p. 268.
[42] C. Colafemmina, La cultura nelle giudecche e nelle sinagoghe, in Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle dodicesime giornate normanno-sveve. Bari, 17-20 ottobre 1995, a cura di Giosuè Musca, Bari, Dedalo Edizioni, 1997, pp. 100, 104, cit. anche in F. Patroni Griffi, Gli ebrei nel Mezzogiorno peninsulare nel XII secolo, cit., p. 209, nota 13.
[43] C. Colafemmina, La cultura nelle giudecche e nelle sinagoghe, cit., pp. 97-99.
[44] C. Colafemmina, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, cit., p. 83. Si veda anche Idem, Un inno di Rabbi Anan Bar Marinos ha-Coen da Siponto in onore del profeta Elia, in Decimo convegno sulla preistoria-protostoria e storia della Daunia (San Severo, 17-18 dicembre 1988), San Severo, 1989, p. 269. “È possibile che sipontini fossero maestri celebri come Rabbi Leon ben Elhanan, Menahem ha-Coen e Rabbi Yehudah”, scrive Iorio. Raffaele Iorio, Siponto, Canne, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo Atti delle decime giornate normanno-sveve, 1991, a cura di Giosuè Musca, Bari, Dedalo edizioni, 1993, p. 397.
[45] F. Patroni Griffi, Gli ebrei nel Mezzogiorno peninsulare nel XII secolo, cit., p. 210.
[46] G. Guerrieri, Gli ebrei a Brindisi e a Lecce (1409-1497). Contributo alla storia dell’usura nell’Italia meridionale, Torino, 1900, p. 7, ripubblicato in «Studi senesi», n. 17, 1901, pp. 225-52. Sulla presenza ebraica a Lecce, fra gli altri: N. Ferorelli, Abramo de Balmes ebreo di Lecce e i suoi parenti, in «Archivio Storico della Provincia Napoletana», n. 31, 1906, pp. 632-54; Idem, Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, 1915, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli,1990; C. Colafemmina, La giudecca di Lecce nei secoli XV e XVI, in Attività economiche e sviluppo urbano nei secoli XIV e XV. Atti dell’Incontro di Studi, Barcellona, 19-21 ottobre 1995, Archivio Storico del Sannio, n.s. 1, Napoli, ESI,1996, pp. 313-332; C. Massaro, Ebrei e città nel Mezzogiorno tardomedievale: il caso di Lecce, in «Itinerari di ricerca storica», n. V, 1993, pp. 9-49; M. R. Tamblè, Antisemitismo e infanzia abbandonata: un singolare connubio nella Lecce bassomedievale, in «Sefer Yuḥasin», nn. 16-17, Bari, 2000-2001, pp. 31-46.
[47] C. Carucci, Gli Ebrei a Salerno nei secoli XII e XIII, in «Archivio Storico della Provincia di Salerno», n. I, 1921, pp. 74-91; F. Cerone, Sei documenti inediti sugli ebrei di Salerno dal 1125 al 1269, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli, ITEA, 1926, pp. 59-73; Codice Diplomatico Salernitano del secolo XIII, a cura di Carlo Carucci, Subiaco, 1931, passim; A. Marongiu, Gli ebrei di Salerno nei documenti dei secoli X-XIII, in «Archivio Storico delle Province Napoletane», n.s., 23, 1937, pp. 238-266; J. Starr, The mass conversion of Jews in Southern Italy (1290-1293), in «Speculum», n. 21, 1946, pp. 203-211; N. Tamassia, Stranieri ed ebrei nell’Italia meridionale dall’età normanna all’età sveva, in Studi sulla storia giuridica dell’Italia meridionale, a cura di C.G. Mor, Società Storia Patria per la Puglia, Bari,1957, pp. 114-162; N. Pavoncello, Epigrafe ebraica nel Museo del Duomo di Salerno, in «IONA», n. 18, 1968, pp. 198-203; M. Benincasa, Amalfitani ed Ebrei, in Guida alla storia di Salerno e della sua provincia, a cura di A. Leone – G. Vitolo, Salerno, 1982, pp. 183-191; C. Colafemmina, Documenti per la storia degli ebrei in Campania (IV), in «Sefer Yuhasin», n.7,1991, pp. 17-42; Idem, Ebrei e cristiani novelli in Puglia. Le comunità minori, Bari, 1991, pp. 137ss; Idem, Gli ebrei nel Salernitano (sec. IV-XVI), in Documenti e realtà nel Mezzogiorno italiano in età medievale e moderna. Atti delle giornate di studio in memoria di Jole Mazzoleni (Amalfi, 10-12 dicembre 1993), Centro di Cultura e Storia Amalfitana, 1995, (Atti 6), pp. 167-193; M. Galante, Tre nuovi documenti sui cristiani novelli a Salerno nei secoli XIII-XIV, in «Sefer Yuhasin», n.9, 1993, pp. 3-14; R. Davico, Cultura araba ed ebraica nella Scuola Medica Salernitana, in I. Gallo, Salerno e la sua scuola medica, Salerno, Salerno Capitale, 1994, pp. 53-85; C. Gambardella – P. Gallo, Gli ebrei a Salerno, in Architettura judaica in Italia: ebraismo, sito, memoria dei luoghi, Palermo, Flaccovio, 1994, pp. 269-283.
[48] F. Patroni Griffi, Gli ebrei nel Mezzogiorno peninsulare nel XII secolo, cit., pp. 212-214.
[49] Sulla comunità di Benevento, si consultino: A. Zazo, I primi e gli ultimi ebrei di Benevento, in «Samnium», 48, 1975, n. 1-2, pp. 1-13; E. Galasso, L’antica Comunità israelitica di Benevento. Saggi di storia beneventana, Benevento, 1963, pp. 85-102; C. Colafemmina, Cultura ebraica nel Sannio nel secolo XV, in «Archivio Storico del Sannio» n.s., 2, n. 1, 1997, pp. 31-40; Idem, Gli ebrei in Benevento, in Italia Judaica. Gli ebrei nello Stato Pontificio fino al Ghetto (1555), Atti del 6º Convegno internazionale (Tel Aviv, 18-22 giugno 1995), Roma, Pubblicazioni degli Archivi di Stato (“Saggi”, 47), 1998, pp. 204-227; D. Zampelli, Usura, ebrei e disciplinamento canonico nell’enclave beneventana, in «Rivista Storica del Sannio», n.s., 3, n. 5, 1996, pp.177-204; G. Luongo Bartolini, Ebrei in Benevento secoli XII-XVI: da Via della Giudecca al Serralium alla Shoah, Benevento, Realtà Sannita, 2000.
[50] Si vedano, fra gli altri, A. Quagliati, Tombe ebraiche medievali in Trani, in «Gazzetta del Mezzogiorno», 26 gennaio 1929; C. Colafemmina, Un’iscrizione ebraica inedita di Trani, in «Augustinianum», n. 13, 1973, pp. 339-343; Idem, Iscrizioni romane di Brindisi a Trani, in «Brundisi res», n. 6, 1974, pp. 277-294; Idem, Documenti per la storia degli ebrei a Trani nel secolo XV, in «Sefer Yuhasin», n. 1, 1985, pp. 17-24; Idem, Documenti per la storia degli ebrei a Trani nei secoli XV-XVI, in «Sefer Yuhasin», n.3, 1987, pp. 93-104; Idem, Gli ebrei nel mezzogiorno d’Italia, in Architettura judaica in Italia: ebraismo, sito, memoria dei luoghi, cit., pp. 249ss.; Idem, Momenti di vita ebraica tranese nei secoli XV-XVI, in Aspetti della storia degli Ebrei in Trani e in Bisceglie e vicende tranesi dal sec. IX. Contributi di Cesare Colafemmina e Luigi Palmiotti, CRSEC/Trani, Trani, 1999, pp. 35-55; E. Gianolio, Gli ebrei a Trani e in Puglia nel Medioevo, Trani, 2000; Sonia Vivacqua, Un inno per Yom Kippur di Isaia ben Elia di Trani, in «Sefer Yuhasin», n. 23, 2007, pp. 57-62; M. Mascolo, Documentazione sugli ebrei a Trani nella Chiave d’oro de’ beneficii di Vincenzo Manfredi, in «Sefer Yuhasin», n.27, 2011, pp. 53-84; Una rilettura dell’epigrafe ebraica del 1246/47 per la dedicazione della sinagoga Scola Grande di Trani, a cura di Mauro Perani e Mariapina Mascolo, CeRDEM – MiBACT, Bari, 2013, pp. 23-31; C. Colafemmina, Ebrei a Trani, Fonti documentarie, a cura di Mariapina Mascolo, Bari, CeRDEM, 2013.
[51] L. Ianniti, Una scuola ebraica a Gaeta, in «Eco di S. Giacomo di Gaeta», n. 4, 1981, p. 3.
[52] Sulla presenza ebraica a Taranto: F. Trinchera, Syllabus Graecarum Membranarum, Napoli, Cattaneo, 1865, pp. 29-31, doc. XXVI; pp. 36-37, doc. XXXI; N. Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, cit., pp. 55, 189; G. Antonucci, Medioevo Salentino: 1) Per la storia degli Ebrei in Taranto, in «Rinascenza Salentina», n.s. 3, 1935, pp. 103-107; N. Vacca, Per la storia degli ebrei in Taranto: 1) Un tumulto antisemita nel 1411. 2) Usura nel 1474, in «Rinascenza Salentina», n.s. 4, 1936, pp. 221-239;C. D’Angela, Lucerne tardo-antiche e cristiane di Taranto, in «Vetera Christianorum», n. 8, 1971, pp. 168-169, nn. 49-51; C. Colafemmina, Di alcune iscrizioni giudaiche di Taranto, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, a cura di Michele Paone, Galatina, Congedo Editore,1972, I, pp. 233-242; Idem, Epigrafi ebraiche di Taranto, in «Cenacolo», n.2, 1972, pp. 203-207; Idem, Gli ebrei a Taranto nella documentazione epigrafica (secc. IV-X), in La Chiesa di Taranto, I: Dalle origini all’avvento dei Normanni, a cura di C.D. Fonseca, Galatina, Congedo Editore, 1977, pp. 109-127; Idem, Copisti ebrei a Taranto nel secolo XV, in «Cenacolo» n.s. 7, 1995, pp. 53-62; Idem, Gli Ebrei a Taranto. Fonti documentarie, Bari, Società di Storia Patria per la Puglia, “Documenti e monografie”, vol. LII, 2005; Idem, Un nuovo frammento di epigrafe ebraica a Taranto, in «Sefer Yuhasin», n. 28, 2012, pp.113-116.
[53] F. Patroni Griffi, Gli ebrei nel Mezzogiorno peninsulare nel XII secolo, cit., p. 216. Sulla presenza ebraica a Brindisi: G. I. Ascoli, Iscrizioni inedite o mal note greche, latine, ebraiche di antichi sepolcri giudaici del Napolitano, Torino, 1880, pp. 64-67; G. Guerrieri, Gli Ebrei a Brindisi e a Lecce (1409-1497). Contributo allo studio dell’usura nell’Italia meridionale, cit.; N. Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, cit., pp. 59, 235-236; R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, 1922, pp. 300-301, 303; G. Nebbia, Donnolo, medico e sapiente di Oria in provincia di Brindisi nel 1050° anniversario della nascita, cit.; Codice Diplomatico Brindisino, a cura di Michela Pastore, vol. II, Trani,1964, doc.94, pp.242-244; C. Colafemmina, Iscrizioni ebraiche a Brindisi, in «Brundisii res», n.5, 1973, pp. 91-106; Idem, Iscrizioni romane di Brindisi a Trani, cit.; Idem, L’iscrizione brindisina di Baruch ben Yonah e Amittai da Oria, in «Brundisii res», n.7, 1975, pp. 295-300; A. Frascadore, Gli ebrei a Brindisi nel ‘400. Da documenti del codice diplomatico di Annibale De Leo, a cura di Cesare Colafemmina, Galatina, Congedo, 2002.
[54] F. Patroni Griffi, Gli ebrei nel Mezzogiorno peninsulare nel XII secolo, cit., p. 216.
[55] H. Houben, Possibilità e limiti della tolleranza religiosa, cit.,p. 221.
[56] Idem, Gli ebrei nell’Italia meridionale, cit., p. 206.
[57] Sulla comunità ebraica di Venosa, fra gli altri: R. Garrucci, Cimitero ebraico di Venosa in Puglia, in «La Civiltà Cattolica», Roma, S. XII, 1,1883, pp. 707-20; U. Cassuto, Nuove iscrizioni ebraiche di Venosa, in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», n. 4, 1934, pp. 1-9; Idem, Ancora nuove iscrizioni ebraiche di Venosa, in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», n. 5, 1935, pp. 129-34; C. Colafemmina, Apulia cristiana. Venosa. Studi e scoperte, Bari, Ecumenica Editrice,1973; Idem, Nova e vetera nella catacomba ebraica di Venosa, in Studi storici, a cura di Cesare Colafemmina, Molfetta, Ecumenica Editrice, 1974, pp. 87-94; Idem, Nuove iscrizioni ebraiche a Venosa, in Studi in memoria di p. Adiuto Putignani, Società di storia patria per la Puglia, Sezione di Taranto, Cassano M., Ecumenica Editrice, 1975, pp. 41-46; Idem,Insediamento e condizione degli Ebrei nell’Italia meridionale e insulare, in Gli ebrei nell’Alto Medioevo. Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo. XXVI, cit., pp.202-216 (anche cit. in H. Houben, Melfi e Venosa, in Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, cit., p. 321, nota 3);Idem, Un’iscrizione venosina inedita dell’822, in «La Rassegna Mensile di Israel», n. 43, 1977, pp. 261-263; Idem, Nuove scoperte nella catacomba ebraica di Venosa, in «Vetera Christianorum», n. 15, 1978, pp. 369-381, con tavole; Idem, Tre iscrizioni ebraiche inedite di Venosa e Potenza, in «Vetera Christianorum», n. 20,1983, pp. 443-448; Idem, Tre nuove iscrizioni ebraiche a Venosa, in «Vetera Christianorum», n. 24, 1987, pp. 201-209.
[58] H. Houben, Melfi e Venosa, in Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, cit., p. 327. Il saggio è stato anche pubblicato in H. Houben, Melfi, Venosa, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle decime giornate normanno-sveve, cit., pp. 311-321.
[59] C. Colafemmina, Insediamento e condizione degli Ebrei nell’Italia meridionale e insulare, cit., p. 216, cit. in H. Houben, Melfi e Venosa, cit., p. 327, nota 51.
[60] H. Houben, Melfi e Venosa, cit., p. 327.
[61] G. Dragon, Le traité de Grégoire de Nicée sur le bapteme des Juifs, in «Travaux et mémoires», n.11, 1991, pp. 347-357 e F. Cicolella, Basil I and the Jews: two poems of the ninth century, in «Medioevo greco. Rivista di storia bizantina», 0, 2000, pp. 69-94: cit. in V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente: Otranto in epoca bizantina, cit., p. 36, nota 84.
[62] Ahima‘az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze. Vicende di una famiglia ebraica di Oria nei secoli IX-XI, cit., pp. 87-103. Sull’opera di Donnolo, si vedano ancora: A. Sharf, The universe of Shabbatai Donnolo, Warminster, 1976: G. Lacerenza, Il sangue fra microcosmo e macrocosmo nel commento di Shabbatai Donnolo al Sefer Iesirah, in Atti della VII Settimana “Sangue e antropologia nella teologia medievale” (Roma 27 novembre- 2 dicembre 1989), Roma, 1991, pp. 389-417; Sabbetai Donnolo, Scienza e cultura ebraica nell’Italia del X secolo, a cura di G. Lacerenza, Napoli, 2004.
[63] V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente: Otranto in epoca bizantina, cit., p. 36, nota 84.
[64] Storia di Bari. Dalla conquista normanna al ducato sforzesco, a cura di G. Musca e F. Tateo, Bari, Laterza, 1990, p. 245.
[65] H. Houben, Gli ebrei nell’Italia meridionale tra la metà dell’XI e l’inizio del XIII secolo, in L’Ebraismo dell’Italia meridionale peninsulare dalle origini al 1541, cit., pp. 48ss.
[66] C. Colafemmina, Gli ebrei in Benevento, in Italia Judaica. Gli ebrei nello Stato Pontificio fino al Ghetto, cit., pp. 209ss.
[67] P. Cesaretti, Da ‘Marco d’Otranto’ a Demetrio. Alcune note di lettura su poeti bizantini del Salento, in «Rivista di studi bizantini e neoellenici», n. 37, 2000 (ma 2001), pp. 184-194, cit. in V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente: Otranto in epoca bizantina, cit., p. 38, nota 91.
[68] N. Doxapatres, Taxis ton patriarkikon Tronon, a cura di F.N. Finck, Marburg, 1902, p. 28, in Ivi, p. 39, nota 93. Nel suo trattato, Nilo Dossopatre sosteneva il primato di Costantinopoli, “nuova Roma” da quando nel 330 la capitale dell’impero era stata trasferita nella città su Bosforo, nonché, conformemente alle disposizioni del Concilio di Calcedonia del 451, il conseguente primato del patriarca bizantino su tutta la chiesa.
Secondo Pietro Marti invece si tratterebbe dello stesso Marco, arcivescovo di Otranto, e valente innografo. P P. Marti, Origine e fortuna della Coltura salentina (Dallo Stabilimento delle Colonie Greche fino a tutto il secolo XVI), Lecce, Tipografia Cooperativa, 1893, p. 59.
[69] A. Jacob, Gallipoli bizantina, in Paesi e figure del Vecchio Salento, a cura di Aldo de Bernart, Volume Terzo, Galatina, Congedo, 1989, p. 281.
[70] V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina, cit. pp. 163-164.
[71] Relatio de legatione Constantinopolitana, in Liutprandi Cremonensis Opera Omnia, a cura di Paolo Chiesa (Corpus Christianorum, Continuatio Medievalis 156), Turnhout, Brepols, 1998, c. 58, p. 213.
[72] V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente, cit., p. 47, che però informa che secondo fonti più accreditate suffraganea di Otranto fosse la sola Tursi.
[73] Eadem, Tra Occidente e Oriente, cit., pp. 13-60.
[74] C. D. Poso, Immagine e forma urbana di Otranto dai Normanni agli Angioini, in Otranto nel Medioevo, cit., p. 100.
[75] De terminatione provinciarum Italiae, a cura di F. Glorie, in Corpus Christianorum, Series Latina CLXXV, Brepols, Itineraria et alia geographica, Turnhout, 1965, Vol. I, p. 359.
[76] De provinciis Italiae seu Catalogus provinciarum Italiae (CPL 2340), a cura di F. Glorie, in Ivi, p. 368. La monumentale opera, in tre volumi, contiene anche: Iulianus Toletanus (pseudo)- De nominibus locorum vel cursu ribulorum (CPL 1265) – ed. P. Geyer, O. Cuntz, A. Franceschini, R. Weber, L. Bieler, J. Fraipont, F. Glorie; Anonymus Burdigalensis – Itinerarium Burdigalense (CPL 2324) – ed. P. Geyer, O. Cuntz; Egeria – Itinerarium (CPL 2325) – ed. P. Geyer, O. Cuntz; Eucherius (pseudo) – De situ Hierosolimae ( CPL 2326 ) – ed. J. Fraipont; Anonymus – Breviarius de Hierosolyma ( CPL 2327 ) – ed. R. Weber; Theodosius – De situ terrae sanctae ( CPL 2328 ) – ed. P. Geyer; Antoninus Placentinus (pseudo) – Itinerarium ( CPL 2330 ) – ed. P. Geyer; Adomnanus abbas Hiensis – De locis sanctis (CPL 2332, CHL 568) – ed. L. Bieler; Beda Venerabilis – De locis sanctis (CPL 2333) – ed. J. Fraipont; Itineraria romana – Notula de olea sanctorum martyrum qui Romae corpore requiescunt (CPL 2334) – ed. F. Glorie; Itineraria romana – Cimiteria totius Romanae Urbis (CPL 2335) – ed. F. Glorie; Itineraria romana – Notitia ecclesiarum Urbis Romae (CPL 2336) – ed. F. Glorie; Itineraria romana – Itinerarium Malmesburiense (CPL 2337) – ed. F. Glorie; Itineraria romana – Itinerarium Einsidlense (CPL 2338) – ed. F. Glorie; Itineraria romana – De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis Romae (CPL 2339) – ed. F. Glorie; Geographica – Versum de Mediolano civitate (CPL 2341) – ed. F. Glorie; Geographica – Notitia provinciarum et civitatum Galliae (CPL 2342) – ed. F. Glorie; Geographica – De urbibus Gallicis (CPL 2343) – ed. F. Glorie; Geographica – Parochiale Suevum (CPL 2344) – ed. F. Glorie; Geographica – Provinciale Visigothicum seu Nomina Hispanarum sedium (CPL 2345) – ed. F. Glorie; Geographica – De nominibus locorum vel cursu ribulorum (CPL 2346) – ed. F. Glorie; Geographica – Mappa mundi e cod. Albig. 29 (CPL 2346a) – ed. F. Glorie; Geographica – Mappa mundi e cod. Vat. Lat. 6018 (CPL 2346b) – ed. F. Glorie; Geographica – Versus de Asia et de universi mundi rota (CPL 2347) – ed. F. Glorie.
[77] Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di Antonio Zanella, con un saggio di Bruno Luiselli, testo latino a fronte, Bur classici greci e latini, Milano, Mondadori, 2018, p. 261.
[78] G. Makris, Ignatios Diakonos Und Die Vita Des Hl. Gregorios Dekapolites, Byzantinische Archiv,De Gruyter, 1997, pp. 96-98.
[79] Ibn Hauqal, Configuration de la Terre (Kitab surat al-ard), a cura di J. H. Krames e G. Wiet, 1, Beirut-Parigi, 1969, carta 1, nn. 37-39, carta 4, e p. 61, nn.158sg, carta 8, p. 189, nn.101-103, in V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente: Otranto in epoca bizantina, cit., p. 35, nota 82.
[80] V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente, cit., p. 35. Butritto e Otranto sono anche menzionati nella Expositio mappe mundi, un testo del XII secolo: Ivi, p. 35, nota 83.
[81] Liutprandi Cremonensis Opera Omnia, cit.
[82] Edrisi, Libro del Re Ruggero, a cura di M. Amari e G. Schiaparelli, in «Atti dell’Accademia dei Lincei», vol. VIII, Roma, 1883, pp. 76, 135, cit. in H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno-sveva, cit., p. 65, nota 22. Edrisi chiama la Puglia buliah: B. Vetere, Puglia e Lucania in epoca normanna, in «Itinerari di ricerca storica», n. X, Galatina, Congedo Editore, 1996, p. 9.
[83] Edrisi, Libro del Re Ruggero, cit., p.76, cit. in B. Vetere, Puglia e Lucania in epoca normanna, cit., p. 11.
[84] Il monachesimo italo greco è spesso definito basiliano. In realtà, come afferma la von Falkenhausen, il termine non è appropriato in quanto i canoni della santità monastica greca si basavano piuttosto sugli ideali eremitici dei padri del deserto fra i quali in primis S. Antonio Abate. “L’ordo sancti Basilii è una creazione occidentale, inventata, a quanto pare, nella cancelleria di papa Innocenzo III per distinguere i monasteri greci dell’Italia meridionale e della Sicilia da quelli che erano ordinis sancti Benedicti”. V. von Falkenhausen, in I bizantini in Italia, a cura di Guglielmo Cavallo, Vera von Falkenhausen, Milano, Garzanti-Scheiwiller, 1982, p. 116.
[85] H. Omont, Le typicon de Saint Nicolas di Casole prés d’Otrante, in «Revue des études grecques», n. 3, 1980, p. 384.
[86] Il Marciano scrive: “Quivi poco infra terra, si vede sopra la schiena del Monte Idro l’antico monastero di S. Nicola di Casole, edificato nei tempi di Teodoro Imperatore”. G. Marciano, Descrizione, Origine e Successi della Provincia di Otranto, Napoli, 1855, p. 375. “Gli studiosi hanno pensato per molto tempo, impressionati dalla profonda cultura di Nicola Nettario, igumeno del monastero di S. Nicola di Casole a partire dal 1219-1220, che quel monastero fosse stato il centro dal quale si era irradiata tutta la cultura, compresa quella profana, nel Salento”, scrive Philippe Hoffmann: P. Hoffmann, Aspetti della cultura bizantina in Aradeo dal XIII al XVII secolo, in Paesi e figure del Vecchio Salento, a cura di Aldo de Bernart, Volume Terzo, cit., p. 68. In realtà, prosegue il bizantinista, “Vedere l’articolo «emblematico» di A. e O. Parlangeli, Il monastero di San Nicola di Casale, centro di cultura bizantina in Terra d’Otranto, cit.. Vedere anche Marco Petta, Codici greci della Puglia trasferiti in biblioteche italiane ed estere, in «Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata»,n.s. 26, 1972, p. 124 e Guglielmo Cavallo, La cultura italo-greca nella produzione libraria, in Aa. Vv., I bizantini in Italia, a cura di Guglielmo Cavallo, Vera von Falkenhausen, cit., p. 602: il cenno del De situ Japigiae di Antonio de Ferrariis ha contribuito non poco ad una sopravalutazione del ruolo culturale del monastero (questo testo è commentato con prudenza da Nigel G. Wilson, The libraries of the Byzantine World, studio ripreso in Griechische kodikologie und Textiiberlieferung, raccolta pubblicata da D. Harlfinger, Darmstadt 1980, vedere pp. 295-299”: Ivi, p. 85, nota 37.
[87] Sul mosaico di Pantaleone, tra gli altri: C. Settis-Frugoni, Per una lettura del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo e Archivio Muratoriano», n. 80, Roma, 1968, pp. 213-256; Eadem, Il mosaico di Otranto, modelli culturali e scelte iconografiche, Ivi, n. 82, 1970, pp. 243-270; Eadem, Il mosaico della cattedrale di Otranto, in La Puglia fra Bisanzio e l’Occidente, a cura di P. Belli D’Elia, Milano, Electa, 1980, pp. 197ss; C.A. Willemsen, L’enigma di Otranto. Il mosaico pavimentale del presbitero Pantaleone nella Cattedrale, Galatina, Congedo, 1980; L. Pasquini, Una nuova lettura iconografica del presbiterio di Otranto alla luce delle fonti scritte: notizie preliminari, in Aiscom, Atti del IX Colloquio dell’Associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico, Aosta 20-22 febbraio 2003, a cura di C. Angelelli, Ravenna, Edizioni del Girasole, 2004, pp. 529-540: M. Castineiras, L’Alessandro anglonormanno e il mosaico di Otranto: una ekprasis monumentale?, in «Troianalexandrina», n. 4, 2004, pp. 41-86; C. Gelao, Un capitolo sconosciuto di arte decorativa. «Tecta depicta» di chiese medievali pugliesi, Bari, s.d. (ma 1982), pp. 33ss.; oltre ai numerosi lavori di Grazio Gianfreda.
[88] Sull’edificio: E. Bertaux, L’Art dans l’Italie meridionale, Paris, 1904; L. Maroccia, L’Edicola Bizantina di S. Pietro in Otranto, Lecce, 1925; G. Gianfreda, Basilica bizantina di San Pietro. Storia e Arte, Galatina, Editrice Salentina, 1985; L. Safran, San Pietro ad Otranto. Arte bizantina in Italia meridionale, Roma, Edizioni Rari Nantes, 1992.
[89] Guillaume de Pouille, Le geste de Robert Guiscard, a cura di M. Mathieu, Palermo, 1961, p. 148, vv. 293-296, riportato da H. Houben in Comunità cittadina e vescovi in età normanno sveva, in Otranto nel Medioevo, cit., p. 61, nota 1.
[90] Houben si rifà a Lupo Protospatario: Lupo Protospatario, Annales, a cura di G. H. Pertz, Hannover, 1844 (M.G.H. Scriptores, 5), pp. 52-63 poi ristampato in G. Cioffari, R. Lupoli Tateo, Antiche cronache di Terra di Bari, Bari, 1991 (Centro Studi Nicolaiani, “Memorie e Documenti”, 5), pp. 263-275, cit. in H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno sveva, cit., p. 61.
[91] V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina, cit., p, 97.
[92] H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno sveva, cit., pp. 61-62. Si veda Chronicon Breve Northmannicum, a cura di L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, 5, Milano, 1724, p. 278, un documento ritenuto autentico da E. Cuozzo e un falso da A. Jacob: Ivi, p. 61, nota 3.
[93] Anonymus Barensis, Chronicon, a cura di L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, 5, Milano, 1724, pp. 147-156, ristampato in G. Cioffari, R. Lupoli Tateo, Antiche cronache di Terra di Bari, cit., pp. 174-184, cit. in H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno sveva, cit., p. 61, nota 5.
[94] Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese, a cura di V. De Bartholomaesis, Roma, 1935 (Fonti per la Storia d’Italia, 76), V. 26, p. 247; Leone Marsicano, Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, Hannover, 1980 (in M.G. H. Scriptores, 34), III, 15, p. 378: cit. in H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno sveva, cit., p.63, nota 9.
[95] Per un primo approccio alla sua figura, si consulti Francesca Luzzati Laganà, Giorgio Maniace, in Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, Volume 69, 2007 (on line).
[96] Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Sicilae comitis et Roberti ducis fratris eius, a cura di E. Pontieri, Bologna, 1928 (Rerum Italicarum Scriptores, 5), II, 43, cit. in H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno sveva, cit., p. 63, nota 10, e Anna Commena, Alexiade, a cura di B. Leib, Paris, 1967, p. 51, cit. in Ivi, p. 63, nota 13. Sui traffici commerciali verso l’Oriente che si convogliavano nel porto idruntino, in particolare verso l’Albania, si veda L. Imperiale, Ceramiche e commerci nel Canale d’Otranto tra X e XI secolo. Riflessioni sulla cultura materiale bizantina tra Salento e Albania meridionale, in Ricerche archeologiche in Albania. Atti dell’incontro di studi (Cavallino-Lecce 29-30 aprile 2011), a cura di Gianluca Tagliamonte, Roma, Aracne Editrice, 2014, pp. 327-342. Sull’attività dei porti pugliesi e sull’intensa attività commerciale fra Puglia e Campania fra X e XII secolo, si veda C. Massaro, La “politica economica” di Tancredi, in Tancredi Conte di Lecce Re di Sicilia, Atti del Convegno internazionale di studio, Lecce, 19-21 febbraio 1998, a cura di Hubert Houben e Benedetto Vetere, Galatina, Congedo Editore, 2004, pp. 175-191.
[97] H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno sveva, cit., p. 63.
[98] Ivi, p. 64.
[99] Goffredo Malaterra, De Rebus gestis, cit., p. 51, cit. in B. Vetere, Brindisi, Otranto, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, cit., p. 436, nota 48.
[100] Guillermi Apuliensis, Gesta Roberti Wiscardi, ed. M. Mathieu, Palermo, 1961, 1, V, vv. 130-138, cit. in B. Vetere, Brindisi, Otranto, cit., p. 437, nota 52.
[101] B. Vetere, Brindisi, Otranto, cit., p. 437, nota 52.
[102] Anna Commena, Alexiade, p. 51, in B. Vetere, Brindisi, Otranto, cit., p. 437, nota 50.
[103] Goffredo Malaterra, De Rebus gestis, pp. 81-82, in Ivi, p. 437, nota 51.
[104] C. D. Poso, Immagine e forma urbana di Otranto dai Normanni agli Angioini, in Otranto nel Medioevo, cit., p. 102.
[105] Ivi, p.104. Su Boemondo si veda almeno: Boemondo. Storia di un principe normanno. Atti del Convegno di Studio su Boemondo, da Taranto ad Antiochia a Canosa. Storia di un principe normanno, Taranto-Canosa, maggio-novembre 1998, a cura di F. Cardini, N. Lozito, B. Vetere, Galatina, Congedo, 2003.
[106] Ivi, p.105.
[107] V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente, cit., p. 47. Come già detto ad Otranto, la tradizione e la religiosità bizantina permanevano più forti e radicati rispetto ai costumi e al rito latini, con i quali comunque convivevano. Girgensohn ha parlato di uno scisma locale: D. Girgensohn, Dall’episcopato greco all’episcopato latino nell’Italia meridionale, in La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo. Atti del Convegno storico interecclesiale (Bari, 30 aprile-4 maggio 1969), Vol. 1, Padova, 1973, p. 38. Ma Houben sostiene che non si trattò di uno scisma ma che più semplicemente dalla conquista normanna in poi gli arcivescovi otrantini furono latini mentre il clero rimase prevalentemente greco. H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno-sveva, cit., p. 74. Sul passaggio dal dominio bizantino al dominio normanno e sul tema della convivenza fra rito greco e latino, una vasta bibliografia. Tra gli altri, P. Herde, Il papato e la Chiesa Greca nell’Italia meridionale dall’XI al XIII secolo, in La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, cit., pp. 213-255; N. Kamp, Vescovi e diocesi nell’Italia meridionale nel passaggio dalla dominazione bizantina allo stato normanno, in Il passaggio dal dominio bizantino al dominio normanno nell’Italia meridionale. Atti del secondo Convegno internazionale (Taranto-Mottola, 31 ottobre – 4 novembre 1973) (Convegni di studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia, 2), Taranto, 1977, pp. 165-187, ecc.
[108] Cecaumeni Strategicon et incerti scriptoris de officiis regiis libellus, a cura di B. Wassilievsky – V. Jernstedt, St. Petrsburg, 1896, ristampa Amsterdam,1965, pp. 29-30, cit. in C.D. Poso, Immagine e forma urbana di Otranto dai Normanni agli Angioini, cit., p. 111, nota 32.
[109] Anonymus Barensis, Chronicon, a cura di L. A, Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, 5, Milano, 1724, p. 152, cit. in C.D. Poso, Immagine e forma urbana di Otranto dai Normanni agli Angioini, cit., p. 112, nota 33.
[110] Cecaumeno, Raccomandazioni e consigli di un galantuomo, a cura di M. D. Spadaro, Alessandria, 1998, pp. 114-117, in V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente, cit., p. 50, nota 148.
[111] V. von Falkenhausen, Tra Occidente e Oriente, cit., pp. 50-51.
[112] Romualdo Salernitano, Chronicon, ed. C.A. Garufi, Città di Castello, 1935 (RIS VII, 1), p. 227; Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio (narrazione cronologica), Vol. I, a cura di A. P. Kazhdan, R. Maisano, A. Pontano, Milano, 1994, p. 169, cit. in C.D. Poso, Immagine e forma urbana di Otranto dai Normanni agli Angioini, cit., p. 148, nota 159.
[113] Su Tancredi, si veda il già citato Tancredi Conte di Lecce Re di Sicilia.
[114] P. Gautier Dalché, Carte marine et portulan au XII° siècle. Le «Liber de existencia riveriarum et forma maris nostri Mediterranei» (Pise, circa 1200), Roma, 1995 (Collection de l’École francaise de Rome 203), pp. 155-156, in C.D. Poso, Immagine e forma urbana di Otranto dai Normanni agli Angioini, cit., p. 152, nota 169.
[115] G. B. Parks, The English traveler to Italy, I, The Middle Ages (to 1525), Roma, 1954, pp. 179-185, fig. 8b; e anche D. K. Connolly, Imagined Pilgrimage in the Itinerary Maps of Matthew Paris, in «The Art Bulletin», n. 81, 1999, p. 616, fig. 15: entrambi in C.D. Poso, Immagine e forma, cit., p. 153 e nota 173.
[116] Itinerarium cuiusdam Anglici Terram Sanctam et alia loca sancta visitantis (1344-1345), in G. Golubovich, Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell’Ordine francescano, 4, Quaracchi, 1923, p. 443, cit. in Ivi, p. 151, nota 167.
[117] Edrisi, Libro del Re Ruggero, cit. Sulle origini di Edrisi e sulla formazione del suo libro si veda anche H. Houben, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente, cit., pp. 132-134, e B. Vetere, Brindisi, Otranto, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, cit.,p. 427.
[118] Edrisi, Libro del Re Ruggero, cit., p. 76.
[119] Per la data di composizione dell’opera: R. Rubinacci, La data della geografia di al-Idrisi, in «Studi Magrebini», III, 1970, pp. 73-77; inoltre B. Vetere, Brindisi, Otranto, cit., p. 427, nota 1.
[120] Bacchisio R. Motzo, Il compasso da navigare. Opera italiana della metà del secolo XIII, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari», vol. VIII, 1947, cit. in B. Vetere,, Brindisi, Otranto, cit., p. 428.
[121] Come lamenta anche V. Boccadamo, L’Archivio diocesano di Otranto, in Terra d’Otranto in età moderna. Fonti e ricerche di storia religiosa e sociale, a cura di Bruno Pellegrino, Galatina, Congedo, 1984, pp. 293-299.
[122] B. Vetere, Brindisi, Otranto, cit., p. 429.
[123] Ivi, p.435.
[124] Saewulfus, Certa relatio de situ Ierusalem, in Itinera Hierosolymitana crucesignatorum (saec. XII-XIII), II, Tempore Regum Francorum (1100-1187), a cura di S. De Sandoli, Jerusalem, 1980, p. 6, cit. in C.D. Poso, Immagine e forma, cit., p. 113, nota 39.
[125] C.D. Poso, Immagine e forma, cit., p. 147.
[126] Robertus Monachus, Historia Hierosolimitana, in Itinera Hierosolymitana crucesignatorum (saec. XII-XIII), I, Tempore primi belli sacri, a cura di S. De Sandoli, Jerusalem, 1978, V, p. 202, cit. in R. Licinio, Bari e la terra, in Itinerari, cit., p. 140, nota 50.
[127] C.D. Poso, Immagine e forma, cit., p. 147.
[128] H. Houben, Introduzione, in Otranto nel Medioevo, cit., p. 7.
[129] Ryccardi de Sancto Germano, Chronica, a cura di C. A. Garufi, Bologna, 1937-38 (RIS, Nuova ed., VII, 2), p. 147, cit. in C.D. Poso, Immagine e forma, cit., p. 123.
[130] Nicolaus de Jasmilla, Historia de rebus gestis Friderici secundi imperatoris eiusque fliorum Conradi et Manfridi Apuliae et Siciliae regum, in Cronisti e scrittori sincroni napoletani, a cura di G. Del Re, vol. 2, Napoli, 1868, pp. 159-160, cit. in Ivi, p. 120, nota 68.
[131] C.D. Poso, Immagine e forma, cit., pp. 120-121.
[132] Ivi, p. 159. Si rimanda a P. Corrao, Arsenali, costruzioni navali e attrezzature portuali in Sicilia (secoli X-XV), in Arsenali e città nell’Occidente europeo, a cura di E. Concina, Roma, 1987, p. 37; inoltre M. Del Treppo, La marina napoletana nel Medioevo: porti, navi, equipaggi, in La fabbrica delle navi. Storia della cantieristica nel Mezzogiorno d’Italia, a cura di A. Fratta, Napoli, 1990, p. 40: anche citati da C.D. Poso, Immagine e forma, cit., p. 158, nota 187.
[133] Ivi, pp. 160-161. Si veda: P. Dalena, Il sistema portuale e la marineria in età angioina, in Mediterraneo, Mezzogiorno, Europa. Studi in onore di Cosimo Damiano Fonseca, a cura di G. Andenna e H. Houben, Bari, Adda Editore, 2004, Vol. 1, pp. 368-372.
[134] C. Colafemmina, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, cit., p. 83.
[135] Ivi, p. 85. Su Melfi, il già citato H. Houben, Melfi e Venosa, in Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, cit., pp. 319-336.
[136] Ibidem.
[137] Ivi, pp. 87-88.
[138] Ibidem.
[139] P. Corsi, Bari e il mare, in Itinerari, cit., p. 114.
[140] R. Licinio, Bari e la terra, in Itinerari, cit., p. 123. Bari, come è noto, si identificava totalmente nel suo protettore. “La basilica, allora in costruzione, custodiva le reliquie del vescovo di Mira, un santo molto venerato sia in Oriente sia in Occidente. I1 suo culto era a Bari assai diffuso ancora prima della traslazione nella città del suo corpo a opera di marinai baresi ne1 1087. La presenza delle reliquie aveva fatto di Bari un centro devozionale rinomatissimo, tanto che il forestiero Beniamino chiama la citta sic et simpliciter «Colo di Bari». I baresi non tardarono a ricostruire la 1oro città, e anche gli ebrei vi tornarono. Essi vi dimoravano dai primi secoli del Cristianesimo, dando vita a un centro culturale, noto sin dal sec. IX. […]”: Ibidem.
[141] C. Colafemmina, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, cit., p. 87. Si rinvia a C. Colafemmina, La conversione al Giudaismo di Andrea, arcivescovo di Bari: una suggestione per Giovanni-Ovadiah da Oppido, in Giovanni-Ovadiah da Oppido, proselito, viaggiatore e musicista dell’età normanna (Atti convegno Oppido Lucano 2004), a cura di Antonio De Rosa e Mauro Perani, Firenze, Giuntina, 2005, pp. 55-65.Ancora sugli ebrei di Bari, Idem, Gli ebrei a Bari nella tarda antichità: l’ipogeo funerario rinvenuto nel 1923, in «Sefer Yuhasin», n. 21-22, 2005-2006, pp. 5-15.
[142] Ivi, p. 89.
[143] Ivi, pp. 90-91.
[144] G. I. Ascoli, Iscrizioni inedite o mal note greche, latine, ebraiche di antichi sepolcri giudaici nel Napoletano, cit., e C. Colafemmina, Iscrizioni ebraiche a Brindisi, cit., in Ivi, p. 92, nota 47.
[145] Ivi, p. 92. Su R. Aqiba: P. Benoit, Rabbi Aqiba ben Yosef, saggio del giudaismo, in Esegesi e teologia, Roma, 1964, pp. 627-284, cit. in Ivi, p. 92, nota 48.
[146] Ivi, p. 92.
[147] Ivi, p. 93. C. Colafemmina, Gli ebrei di Bari e di Otranto in una lettera di Hasdai ibn Shaprut di Cordova, in Bitonto e la Puglia tra tardoantico e regno normanno. Atti del 13 Convegno (Bitonto, 15-17 ottobre 1998), a cura di C.S. Fiorello, Bari, Edipuglia, 1999, pp. 247-256.
[148] Colafemmina cita il poeta Menahem Corizzi (X secolo): I. Sonne, Alcune osservazioni sulla poesia religiosa ebraica in Puglia, cit. Sui poeti e gli intellettuali ebrei presenti ad Otranto, M. Perani, A. Grazi, La “scuola” dei copisti ebrei pugliesi (Otranto?) del secolo XI. Nuove scoperte, in Atti del XIX Congresso internazionale dell’AISG, Siracusa, Residence “Alla Giudecca” 25-27 settembre 2005, “L’ebraismo dell’Italia meridionale nel contesto mediterraneo. Nuovi contributi”, a cura di Mauro Perani, pubblicati in «Materia Giudaica», cit., pp. 13-41.
[149]Jacob ben Meir Tam, Sefer ha- Yashar, cit. da J. Cohen, The Friars and the Jews. The evolution of Medieval Anti-Judaism, Ithaca-London, 1982, p. 85, riportato da H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno-sveva, cit., p. 66, nota 26. Sul santo pellegrino, ritenuto pazzo e dileggiato dagli abitanti dei paesi che toccava: F. Baburi, Una lauda inedita di S. Nicola Pellegrino, in «Il Tranesiere», n. II, 1960, pp. 136-149; Anna Maria Tripputi, I luoghi del sacro dal Gargano al Capo di Leuca, Fasano, Schena editore, 2000, pp. 38-40.
[150] C. Colafemmina, La cultura nelle giudecche e nelle sinagoghe, in Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle dodicesime giornate normanno-sveve (Bari, 17-20 ottobre 1995), a cura di Giosuè Musca, Edizioni Dedalo, Bari, 1997, pp. 93ss., e H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno-sveva, cit., p. 66, nota 27. Si veda anche C. Colafemmina, “Da Bari uscirà la legge e la parola di Dio da Otranto”; la cultura ebraica in Puglia nei secoli IX-XI, in «Sefer Yuḥasin», nn.10-11, 1994–1995, pp. 3-21, riedito in Dagli dei a Dio. Parola sacre e parole profetiche sulle sponde del Mediterraneo, Atti del Convegno internazionale di Biblia (Bari, 13-15 settembre 1991), a cura di Cesare Colafemmina, Cassano Murge, Messaggi, 1997, pp. 131-151.
[151] H. Houben, Comunità cittadina e vescovi in età normanno-sveva, cit., p. 66, nota 28.
[152] C. Colafemmina, Di un’iscrizione greco-ebraica di Otranto, in «Vetera Christianorum», n. 12, 1975, pp. 131-132.
[153] Idem, Un poeta ebraico a Otranto nel XIII secolo: Anatoli, in «Archivio Storico Pugliese», n. 30, 1977, pp. 177-190. Ancora sugli ebrei ad Otranto: Idem, Gli epitalami di Meiuchas e Shabbetai da Otranto, in «Brundisii res», n. 9, 1977, pp. 45-67; Idem, Documenti sullo stato di terra d’Otranto nel 1483, in «Brundisii res», n. 13, 1981, pp. 75-89; Idem, Gli ebrei di Bari e di Otranto in una lettera di Hasdai ibn Shaprut di Cordova, cit.; G. R. Schirone, Giudei e giudaismo in Terra d’Otranto, Cassano Murge, Messaggi, 2001; Eadem, Vita terrena e aldilà nei poeti giudei otrantini (secc. XXIII), in «Quaderni di Studi», n. 2, 2002, pp. 137-164.
[154] C. D. Poso, Immagine e forma urbana, cit., p. 127.
[155] Jacopo da Verona, Liber peregrinationis, a cura di U. Monneret de Villard, Roma, 1950, pp. 14-15, ripubblicata in Pellegrinaggio ai Luoghi Santi. Liber peregrinationis di Iacopo da Verona, presentazione e traduzione di V. Castagna, Verona, 1990, pp. 214.215: C. D. Poso, Immagine e forma urbana, cit., p. 127, nota 95. Si veda anche H. Houben, Nord e Sud: immagini di due città del Mezzogiorno d’Italia (Brindisi e Otranto) in resoconti di viaggiatori (sec. XIV-XVI), in Imago urbis. L’immagine della città nella storia d’Italia. Atti del Convegno internazionale (Bologna, 5-7 settembre 2001), a cura di Francesca Bocchi e Rosa Smurra, Roma, Viella, 2003, pp. 309-322. Per un supplemento bibliografico sulla storia degli Ebrei nell’Italia meridionale e in Terra d’Otranto, oltre a quelli già citati: A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1963; A. Foa, Ebrei in Europa dalla peste nera all’emancipazione, Roma-Bari, Laterza, 2004; A. Toaff, Il vino e la carne, una comunità ebraica nel medioevo, Bologna, Il Mulino, 2007; di C. Colafemmina, Gli ebrei a Vieste, in «Rassegna di Studi Dauni», n. 3, 1976, pp. 49-53; Le giudecche di Bari, Conversano e Barletta alla fine del XV secolo, in «La Rassegna Mensile d’Israel», n.44,1978, pp. 619-629; Donne, ebrei e cristiani, in «Quaderni medievali», n. 8, 1979, pp. 117-125; Presenza ebraica a Bitetto e Palo del Colle nel secolo XV, in «Brundisii res», n.11, 1979, pp. 39-50; Di un’iscrizione biblica (Ps. 125,1) e di altri graffiti, in Il santuario di S. Michele sul Gargano dal VI al IX secolo. Contributo alla storia della Langobardia meridionale. Atti del Convegno tenuto a Monte Sant’Angelo (9-10 dicembre 1978), a cura Carlo Carletti e Giorgio Otranto, Bari, Edipuglia,1980, pp. 337-345; Un’iscrizione paleocristiana e il culto di Santa Aurelia Marcia a Luzzi, in Testimonianze cristiane antiche ed altomedievali nella Sibaritide. Atti del Convegno nazionale tenuto a Corigliano-Rossano l’11-12 marzo 1978, a cura di C. D’Angela, Bari, Adriatica Editrice, 1980, pp. 63-74; La presenza ebraica in Puglia. Fonti documentarie e bibliografiche, a cura di Cesare Colafemmina, Pasquale Corsi, Giuseppe Dibenedetto. Con la collaborazione di M. Capuano, C. De Santis, M. Giovannardi, A. Lafronza, G. Maiorano, M. Memeo, C. Traisci. Presentazione di Fausto Pusceddu. Archivio di Stato di Bari, Bari, 1981; La comunità ebraica di Bari alla fine del XV secolo, in Momenti e figure di storia pugliese. Studi in memoria di Michele Viterbo (Peucezio), a cura di Marco Lanera e Michele Paone, Galatina, Congedo Editore,1981, I, pp. 125-133; Gli ebrei in Leucadia, in Il Basso Salento. Ricerche di storia sociale e religiosa, a cura di Salvatore Palese, Galatina, Congedo, 1982, pp. 71-80; «Tende» di studio della Torah e «fiumi» a Oria nel IX secolo, in Al servizio del Regno. Studi per il 75° di fondazione del Pont. Seminario Regionale Pugliese, a cura di Cesare Colafemmina, Molfetta, Mezzina, 1983, pp. 203-209; Iscrizione ebraica inedita di Lavello, in «Vetera Christianorum», n. 23, 1986, pp. 171-176; Un copista ebreo a Nardò nel 1460, in Studi in onore di mons. A. Garzia (Quaderni dell’Archivio Diocesano di Nardò, 1), Molfetta, Mezzina, 1986, pp. 157-160; La colonia slava di Gioia del Colle nei secoli XV-XVI, in Gioia. Una città nella storia e civiltà di Puglia, a cura di Mario Girardi, Fasano, Schena Editore,1986, pp. 315-355; Dal rito ebraico al rito cristiano, in Segni e riti nella Chiesa altomedievale occidentale. XXXIII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo (Spoleto 11-17 aprile 1985), Spoleto, 1987, pp. 63-104; Ebrei a Lucera nei secoli XV-XVI, in Della Capitanata e del Mezzogiorno. Studi per Pasquale Soccio, a cura di Antonio Motta, Manduria, Lacaita Editore, 1987 (L’Identità 4), pp. 29-40; La Basilica e gli Ebrei, in San Nicola di Bari e la sua Basilica. Culto, arte, tradizione, Milano, Electa, 1987, pp. 206-209; Presenza ebraica a Troia nei secoli XV e XVI, in «Studi Storici Meridionali», n.9, 1989, pp. 161-168; Gli Ebrei di Bari, in Storia di Bari, diretta da Francesco Tateo, vol. I. Dalla preistoria al mille, a cura di Raffaella Cassano, Giosuè Musca e Mario Pani, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 305-313; La comunità ebraica, in Storia di Bari, vol. 2. Dai normanni al ducato, cit., pp. 245-256; Documenti per la storia degli ebrei in Puglia nell’Archivio di Stato di Napoli, Bari, 1990 (Nuova edizione riveduta e ampliata Cassano Murge, Messaggi, 2009); I contributi fiscali ordinari di Terra d’Otranto nel registro del percettore provinciale Gerolamo de Gennaro (1512-1513), in «Cenacolo» n.2, 1990, pp. 13-94; Apocrifo giudeo-cristiano. Il Testamento di Abramo. Introduzione, traduzione e note a cura di Cesare Colafemmina, Roma, Città Nuova Editrice, 1995 (Collana Testi Patristici, 118); Gli Ebrei, la Puglia e il mare, in Andar per mare. Puglia e Mediterraneo tra mito e storia, a cura di Raffaella Cassano, Rosa Lorusso Romito, Marisa Milella. Introduzione di Sabatino Moscati, Bari, Mario Adda Editore, 1998, pp. 307-314;Gli ebrei nella Calabria meridionale, in Calabria Cristiana, a cura di S. Leanza, Soveria Mannelli, Rubettino, 1999, I, pp. 161-190; Hebrew Inscriptions of the Early Medieval Period in Southern Italy, in The Jews of Italy. Memory and Identity. Edited by Barbara Garvin and Bernard Cooperman, University Press of Maryland, Bethesda, 2000 (Studies and Textes in Jewish History and Culture VII), pp. 65-81;Un copista ebreo a Massafra nel 1470, in Alétes. Miscellanea per i settant’anni di Roberto Caprara, Acheogruppo, Massafra, 2000, pp. 165-169; Ebrei e cristiani in Puglia e altrove. Vicende e problemi, Cassano Murge, Messaggi, 2001; Medici ebrei nel Mezzogiorno altomedievale, in La Medicina nel Medioevo, la “Schola Salernitana” e le altre. III Giornate della Scuola Medica Salernitana. Atti della giornata di studio (Salerno, 1 giugno 2002), a cura di A. Leone e G. Sangermano, Salerno, 2002, pp. 67-81; Privilegi ed evasione fiscale nella Manduria del XVI secolo, in Liber amicorum. Miscellanea di studi storici offerti a Rino Contessa, a cura di Giovangualberto Carducci, Manduria, Filo editore, 2003, I, pp. 205-224; Alcuni precedenti di antisemitismo nell’Italia meridionale e in Sicilia, in La memoria e la Storia. Auschwitz 27 gennaio 1945. Temi, riflessioni, contesti. Atti del convegno, Arcavacata di Rende, Università della Calabria, 26 gennaio 2007, a cura di P. Cohen e G. Violini. Con una presentazione di L. Violante, Soveria Mannelli, Rubettino, 2010, pp. 77-94; Il fuoco e gli angeli, in Anima del fuoco. Da Eraclito a Tiziano, da Previati a Plessi, Palazzo Reale, Milano, 2010, pp. 74-77. Inoltre Isaia Sonne, Intorno alla vita di Leone l’Ebreo, in «Civiltà moderna», n. VI, 1934, pp. 5-35; G. Sermoneta, Un glossario filosofico ebraico-italiano del XIII secolo, Roma, 1969; V. Giura, Gli ebrei nel regno di Napoli, in Gli ebrei e Venezia: secoli XIV-XVIII. Atti del Convegno internazionale organizzato dall’Istituto di storia della società e dello stato veneziano della Fondazione Giorgio Cini (Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, 5-10 giugno 1983), a cura di G. Cozzi, Milano, 1987, pp. 771-780; A. Silvestri, Gli Ebrei nel regno di Napoli durante la dominazione aragonese, in «Campania Sacra», n.18/1, 1987, p. 3;R. Bonfil, Cultura ebraica e cultura cristiana nell’Italia meridionale nell’alto Medioevo, in L’Ebraismo dell’Italia meridionale peninsulare dalle origini al 1541: società, economia, cultura, cit., pp. ; Vera Von Falkenhausen, L’Ebraismo dell’Italia Meridionale nell’età bizantina (secoli VI-X), in Ivi, pp. 25-46; G. Sermoneta, La cultura linguistica e letteraria. I testi giudeo-pugliesi, in Ivi, pp. 161-168; Filomena Patroni Griffi, Documenti inediti sulle attività economiche degli Abravanel in Italia Meridionale (1492-1543), in «La Rassegna mensile di Israel», n. LXIII, 1997, pp. 27-38; G. Lacerenza, Lo spazio dell’ebreo. Insediamenti e cultura ebraica a Napoli (secoli XV-XVI), in Integrazione ed emarginazione. Circuiti e modelli: Italia e Spagna nei secoli XV-XVIII, Atti del Convegno (Napoli, maggio 1999), a cura di L. Barletta, Napoli, 2002, pp. 357-427; F. Lelli, Rapporti letterari tra comunità ebraiche dell’impero bizantino e dell’Italia meridionale: studi e ricerche, in «Materia giudaica», n. 91, 2004, pp. 217-230; Abraham David, Jewish Intellectual Life at the Turn-of-the-Sixteenth-Century Kingdom of Naples according to Hebrew Sources, in Atti del XIX Congresso internazionale dell’AISG, Siracusa, Residence “Alla Giudecca” 25-27 settembre 2005, “L’ebraismo dell’Italia meridionale nel contesto mediterraneo. Nuovi contributi”, a cura di Mauro Perani, pubblicati in «Materia Giudaica», Bollettino dell’associazione italiana per lo studio del giudaismo, Firenze, Giuntina, XI/1-2, 2006, pp. 143-151; Brian Ogren, La questione dei cicli cosmici nella produzione pugliese di Yishaq Abravanel, in «Itinerari di ricerca storica», Università del Salento, Dipartimento di Studi Storici dal Medioevo all’Età contemporanea, n. XX-XXI, Primo Tomo, 2006-2007, pp. 141- 161; James Nelson Novoa, La pubblicazione dei Dialoghi d’amore di Leone Ebreo e l’Umanesimo dell’Italia Meridionale, in Ivi, pp. 213-221; Abraham David, Fonti ebraiche relative alla vita intellettuale degli ebrei nel Regno di Napoli tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, in Ivi, pp. 231-249; Fabrizio Lelli, Motivi messianici in un inno sinagogale di Avraham Ben Gavri’el Zafarna (Corfù, XVI-XVII secolo), Ivi, pp. 269- 290; Gli ebrei nel Salento. Secoli IX-XVI, a cura di Fabrizio Lelli, cit.; Gli ebrei e il Salento, circoli di studio dell’ebraico e della Cabbalà nel XVI secolo, a cura di Fabrizio Lelli, Università del Salento, Galatina, Congedo, 2013.
[156] N. Morère, Antiquity in Benjamin of Tudela’s travel narrative:interpretation and meaning within the context of the history of travel, in «Journal of Tourism History», Volume 9, 2017, p. 6 DOI: 10.1080/1755182X.2017.1343396.
[157] Ibidem.
[158] Si vedano fra gli altri, C. De Seta, L’Italia nello specchio del Grand Tour, in Storia d’Italia, 5, Torino, Einaudi, 1982, pp.127-263 e G. Scianatico, Scrittura di Viaggio. Le terre dell’Adriatico, Bari, Palomar, 2007. Si rinvia inoltre a P. Vincenti, Uno svizzero ed un francese, in «Il Filo di Aracne», Galatina, n. 4, ottobre-dicembre 2018, pp. 34-35; Idem, Altri viaggiatori tedeschi, in www.Iuncturae.com, marzo 2019; Idem, Spigolature bibliografiche sul Settecento letterario minore, in «Scuola e ricerca», a cura di Ennio De Simone, Liceo Scientifico Banzi-Bazoli Lecce, n.VI, 2020, pp. 143-156; F. Silvestri, Viaggio pittoresco nella Puglia del Settecento: dal Voyage pittoresque, ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, Milano-Roma, Carlo Bestetti Edizioni d’arte, 1977; P. Lamers, Il viaggio nel Sud del’Abbè de Saint-Non, Presentazione di Pierre Rosemberg, Napoli, Electa, 1992; Jean Claude Richard De Saint-Non, Viaggio Pittoresco, a cura di Raffaele Gaetano, Soveria Mannelli, Rubettino, 2009; P. Vincenti, Un abate molto intraprendente e la genesi di un’opera famosa, in www.Iuncturae.com, gennaio 2021.
[159] N. Morère, Antiquity in Benjamin of Tudela’s travel narrative: interpretation and meaning within the context of the history of travel, cit., p. 3.
[160] Ibidem.
[161] M. Nom de Déu, Testimonios arqueológicos del Oriente Próximo testimoniados en el Sefer Masaót de Benjamín de Tudela (Siria-Palestina, Mesopotamia y Egipto), in «Arbor», CLXXX, 2005, pp. 465-488. La studiosa riporta una completa bibliografia di tutte le edizioni e le traduzioni dell’opera nel tempo.
[162] R. L. Hess, The Itinerary of Benjamin of Tudela: a Twelfth-Century Jewish Description of North-East Africa, in «The Journal of African History», Volume 6, 1965, p. 16, nota 8. doi:10.1017/S0021853700005302
[163] Z. Shalev, Benjamin of Tudela, Spanish explorer, in «Mediterranean Historical Review», Vol. 25, n. 1, p. 17. DOI: 10.1080/09518967.2010.494093
[164] Ivi, p. 19. La copertina dell’opera è riportata anche da Giulio Busi: Binyamin da Tudela, Itinerario (Sefer massa‘ot), cit.,p.112. Della traduzione di Montano stampata a Lipsia nel 1764 venne tratta una riproduzione anastatica a cura di V. Colorni, Bologna, Forni, 1967.
[165] M. N. Adler, The Itinerary of Benjamin of Tudela, in «Jewish Quarterly Review», n. XVI, 1904, pp. 453-455, cit. in R. Hess, The Itinerary of Benjamin of Tudela: a Twelfth-Century Jewish Description of North-East Africa, cit., p.16, nota 4. Un’altra edizione dell’opera è Beniamino di Tudela, Libro dei viaggi, a cura di L. Minervini, Palermo, Sellerio, 1989, la cui traduzione è condotta sull’edizione inglese di Adler del 1907.
[166] Si riferisce a: A. Asher, The Itinerary of Rabby Benjamin of Tudela, I, London -Berlin, 1840.
[167] R. Hess, The Itinerary of Benjamin of Tudela: a Twelfth-Century Jewish Description of North-East Africa, cit., pp. 15-16.
[168] Binyamin da Tudela, Itinerario (Sefer massa‘ot), a cura di Giulio Busi, cit.
[169] Prefazione, in Itinerario (Sefer massa‘ot), a cura di Giulio Busi, cit., pp. 7-8.
[170] N. Morère, Antiquity in Benjamin of Tudela’s travel narrative:interpretation and meaning within the context of the history of travel, cit., p. 3
[171] Itinerario (Sefer massa‘ot), a cura di Giulio Busi, cit., p. 10.
[in Non omnis moriar. Studi in memoria di Giacomo Filippo Cerfeda, a cura di Mario Spedicato, Società Storia Patria Sezione Lecce, Castiglione, Giorgiani Editore, 2024]