di Fabrizio Centofanti
Augusto Benemeglio, è un poeta, ma anche un drammaturgo originale, un regista, un appassionato della scena teatrale che lui stesso considera un suo mondo, uno spazio che gli appartiene come un paesaggio interiore, necessario e vitale. E’ un artista che ha fatto della sorpresa, dello scarto dalla norma, della rivelazione inaspettata, la sua ragione di vita; un uomo che ha conosciuto il mare, avendo fatto il marinaio per trent’anni della sua vita, (è stato Capitano di Vascello della Marina Militare), e ha conosciuto il mondo nei suoi molteplici viaggi. E’ uno che sa inquadrare al primo impatto le persone e leggere le situazioni intorno a sé, uno che sa rievocare con struggimento, ma anche con sottile ironia, tutti gli arrembaggi e naufragi della sua vita, reali o immaginari che siano, come ha fatto mirabilmente con questo “Arrembaggi e Naufragi”, edizione Youcaprint, 2023, un libro-mondo, in cui entra a contatto ravvicinato, faccia a faccia, con i più grandi personaggi della storia del mare e ne traccia rapidamente il profilo. Dall’Odissea di Omero all’Isola del tesoro di Stevenson; da “Il vecchio e il mare” di Hemingway all’Uomo e il mare di Baudelaire; da “Cuore di tenebra” di Conrad, ai grandi navigatori della storia come Amerigo Vespucci , o grandi Ammiragli come Andrea Doria, Enrico Dandolo, Horace Nelson, che viene rievocato nella battaglia di “Trafalgar”, in cui trovò la morte. E poi c’è la mitica impresa di Luigi Rizzo, che affondò una corazzata austriaca col suo Mas 15, conservato al Sacrario delle Bandiere del Vittoriano di Roma. E infine l’incredibile impresa del “Donchisciotte del mare”, il Comandante Salvatore Todaro, che, dopo aver affondato , in pieno Atlantico, una nave, il “Kabalo”, si preoccupa dei 26 naufraghi della stessa e li trae in salvo, prendendoli a bordo del suo sommergibile, stipandoli nella falsa torre, e dopo tre giorni di navigazione in superfice, per centinaia e centinaia di miglia, riesce a depositarli nella cala di Santa Maria, nelle Azzorre, tutti indenni. Richiamato dall’ammiraglio tedesco Doenitz per il suo comportamento non consono alle esigenze della guerra, Todaro rispose: “Gli altri comandanti non hanno, -come me-, duemila anni di civiltà sulle spalle”. E poi c’è l’Ulisse di Dante, l’Infinito di Leopardi; la Tempesta di Shakespeare. I riferimenti mitici e letterari sono tanti, infiniti, o quasi, ma fin dal suo primo racconto, “Niente Bagagli, siamo Gabbiani”, Benemeglio cimette in contatto con il suo mondo amato: gli oceani, i gabbiani, la natura, i fari, le navi, il Salento, il Sudafrica, il cinema (da Hitchcock a Woody Allen), il teatro (Cechov), ma anche la pittura, la musica, e la società di oggi, con le sue apocalissi quotidiane e il kitsch imperante, e le memorie dolorose come quella di Capo Matapan, in Grecia, con 2300 marinai morti per assideramento.
A partire dalla “letteratura”, che “è il pensiero che accede alla bellezza nella luce”, di cui Augusto è intessuto, (ogni cosa in lui si fa poesia) ai “grandi navigatori, ai grandi scrittori di mare”, e poi “il mito”, “la storia”, “l’arte”, “la famiglia”, il Salento, questo libro di 500 pagine si configura come un lungo viaggio verso l’ignoto , l’altrove , ricordando che – come disse Melville – “il mondo è una nave al suo viaggio di andata, non un viaggio completo”. Che cosa rimane alla fine , dopo cinquant’anni di “arrembaggi” e “naufragi”? Non si sa, bisogna aspettare il “ritorno”. Ma in una folla di volti e figure, a noi note e meno note, un volto solo rimane, una sola figura, invisibile: l’anima.