“Sì, è vero – sembra interloquire Guido Piovene -, Lecce conserva una qualità signorile, quasi di salotto distinto dai servizi del circondario. Se si entra nella parte vecchia, le molte chiese barocche e i palazzi barocchi, ora di faccia, ora di sghembo, in piazzette e stradine, e disposti tra loro in angoli dal gusto scenico, si direbbero una serie di piccoli teatri. Tutto sembra disposto e ornato per un lieve gioco teatrale; una commedia di Goldoni non vi stonerebbe; facciate di chiese, palazzi e i loro effetti combinati, tramandano attraverso i secoli un animo squisitamente provvisorio, quasi dovessero durare una sera sola, ma una sera che conta, forse definitiva. “Alla fine, chi smonta un po’ tutto questo quadretto idilliaco è proprio un…leccese. “Sì, d’accordo, va tutto bene – interviene Vittorio Bodini, – se parliamo di museo. Ma questa è una città che deve pulsare di vita, invece tutto è immobile, secoli di storia e di vento, gli alberi sono tempo, gli uomini sono pietre, un lungo infinito sonno di morte”, ovvero quel “quietismo” meridionale che il poeta aveva sempre odiato. E, per finire, io che ho da dire? Io sono un innamorato di Lecce, mi piace da morire, ma capisco anche il pensiero bodiniano. Stavolta me la cavo con un “no comment”.
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