di Rosario Coluccia
«Sono quella stronza della Meloni, come sta?». Non voglio parlare della frase, millanta volte ritrasmessa dai media, con cui la Presidente del Consiglio dei Ministri si rivolge al Presidente della Regione Campania in una situazione ufficiale, nella quale autorità statali e regionali inaugurano un centro sportivo a Caivano, località dominata dalla camorra, teatro di efferatezze e di stupri su bambine dodicenni. Me ne servo per sottolineare quanto sia frequente, nel linguaggio usato da esponenti politici di primo piano e di diverso schieramento, il ricorso al turpiloquio, spesso accompagnato da messaggi denigratori e intolleranti. Segno dei tempi, potremmo banalmente concludere, con una nota di sconsolata deprecazione.
Invece non è così semplice. Il linguaggio della politica, istituzionalizzato e variamente legittimato fin dai tempi più antichi, si avvale di elaborate strategie finalizzate, a seconda dei momenti e dei protagonisti, a convincere razionalmente e a persuadere emotivamente; tecniche accorte, che hanno lo scopo di favorire l’adesione dei cittadini alle proprie tesi, a un certo progetto, a uno specifico programma. I cittadini sono destinatari di messaggi ben studiati, dove formule a effetto e parole chiave vengono usate per stabilire legami fiduciari tra politico ed elettore, specialmente in occasione di campagne elettorali, nazionali, europee, amministrative, referendarie. Forme di spettacolarizzazione e non messaggi razionali, come desidereremmo per una crescita consapevole della coscienza civile collettiva.
S’intitola La lingua della neopolitica. Come parlano i leader, un bel libro di Michele A. Cortelazzo appena uscito (maggio 2024) per Treccani Libri. Cortelazzo è professore emerito di Linguistica italiana all’università di Padova. Da anni, ogni quindici giorni, analizza su un sito un termine emergente della neopolitica. Neopolitica perché nel 2013 la vita politica italiana ha vissuto una vera e propria rivoluzione, quando nelle aule parlamentari è entrato un numero rilevante di eletti che avevano scarsissima esperienza specifica: si misuravano quindi con un mondo nuovo e per certi versi semisconosciuto. Le ripercussioni sul piano linguistico sono state enormi: la lingua un po’ forbita e ideologizzata (l’ideologia, correttamente vissuta, non è negativa) della cosiddetta Prima Repubblica entra in crisi già nel 1994, con l’avvento della Seconda Repubblica, che instaura un linguaggio più immediato e più vicino a quello dell’uso; poi, nel 2013, irrompe nella vita degli italiani il linguaggio dei social, spezzettato e con frasi brevi, che trascina con sé le consuetudini più deteriori del modo di comunicare tipico della rete. Sul palcoscenico del marketing politico la tecnologia determina le modalità della comunicazione, fondamentali per il successo e per l’insuccesso del messaggio.