Nel giorno seguente, martedì 14 maggio, il sommo pontefice, servito da bellissima carrozza dal Mocenigo, alle ore quindici si recò a celebrare e ad ascoltare la messa nella cappella di S. Antonio, nel magnifico suo tempio. Il Sartori afferma: “[il papa] fu con solenne pompa ricevuto alla porta di quel vastissimo tempio magnificamente ornato e sfarzosamente illuminato con torce, ripieno di nobiltà sì della città che forestiera e di immenso popolo, tutti desiderosi di poter assistere alla santa messa. Da una copiosa e scelta orchestra di voci e di istrumenti mentre entrava in chiesa sua Santità fu cantata l’antifona ‘Ecce Sacerdos Magnus’. La Chiesa era tutta illuminata, come suol farsi nelle maggiori solennità […] il papa […] si inoltrò poi per la navata di mezzo fino all’altare del Santissimo Sacramento e poi […] si avviò all’altare del Santo ed apparatosi a piè dell’altare co’ suoi paramenti celebrò la santa Messa con somma divozione”. E ancora il Sartori continua: “S’incamminò poscia per il presbiterio e lì fu fatto ammirare il Crocefisso, le statue e il parapetto dell’altare maggiore tutto di bronzo e opere dell’insigne artefice Donatello, così pure li fu mostrato il gran candelabro di bronzo [opera del 1515 dello scultore Andrea Briosco detto il Riccio per la sua capigliatura folta e riccia (nato il 1470 e morto il 1532, ndr), situato dalla parte dell’Evangelio, opera veramente meravigliosa (è considerato il più bel candelabro del mondo,ndr), tutto istoriato con fatti dell’uno e dell’altro Testamento”. Alla fine ”si incamminò Sua Santità alla visita delle Sacre Reliquie e intanto dal virtuoso Guadagni si cantò l’antifona ‘O Lingua Benedicta’, accompagnato con istrumenti e ne venerò e baciò e ribaciò la insigne reliquia della lingua incorrotta di s. Antonio [...]. Si portò alla Scola di S. Antonio e ammirò quelle insigni pitture e poscia sopra la loggia quivi eretta diede la santa benedizione al numeroso popolo che stava ansioso ad aspettare”. Una lapide che ricorda l’avvenimento, posta sulla facciata della scuola del Santo o confraternita, così recita: Benedictionis hinc conlatta// Pio VI Pont. Max./post sacrum D. Antonji arcam factum// prid Id May MDCCLXXXII// Monumentum // solidas/ P (Benedizione qui conferita da Pio VI, pontefice Massimo, dopo la santa messa celebrata all’arca del divino Antonio. 14 maggio 1782. La confr aternita pose).
Il Sartori, continuando a descrivere i vari impegni del pontefice nella città di Padova, scrive: “Poi si recò in Cattedrale a venerare il corpo del beato Barbarigo (Gregorio Barbarigo, nato a Venezia nel 1625 e morto a Padova nel 1697, fu nominato cardinale nel 1660, fu vescovo di Padova dal 1664, beatificato da Clemente XIII nel 1761 e canonizzato da Giovanni XXIII nel 1960, ndr) ed in sagrestia diè a baciare il piede all’illustre clero; nel palazzo pubblico e nella sala della Ragione ammise al bacio del piede la nobiltà, e dalla loggia ribenedì il popolo. Nel palazzo dell’Università ammise tutti i professori al bacio del piede”. Il Palazzo della Ragione, secondo G. Cappelletti (presbitero e storico italiano nato il 1802 e morto il 1876), è un ”meraviglioso edificio detto il palazzo della Ragione appunto perché in esso rendevasi pubblicamente ragione ai cittadini”, chiamato dai padovani il Salone (foto) per l’immensa sala del primo piano del palazzo; fu sede di tribunali e uffici finanziari della città fino al 1797, anno della caduta della Repubblica Veneta.
Mercoledì 15 maggio il Papa ascoltò la messa in S. Giustina, e poi “salì in carrozza del Pubblico nostro Rappresentante Alvise Mocenigo, fece col seguito di trenta carrozze in circa, un giro per tutto il gran Prà della Valle e scortato dalle carrozze a cavallo e col suono delle campane della città […] e, giunto al Portello ascese in nobile burchiello per recarsi a Venezia, ammettendovi i due procuratori di S. Marco (Alvise Contarini 1721-1786) e Lodovico Manin (1726 -1802, ultimo doge dal 1789 al 1797, ndr), dalla Repubblica deputati ad accompagno, il Mocenigo, il prelato Marcucci, i nunzi di Vienna e Venezia, ed altri prelati del seguito, passando il rimanente in altri burchielli”. Il Burchiello è la rinomata imbarcazione per il trasporto dei passeggeri, usata dai nobili veneziani per raggiungere le loro ville in terraferma direttamente da Venezia. Il Portello (foto) è un porto fluviale sul canale del Piovego costruito per mettere in comunicazione il fiume Bacchiglione e il fiume Brenta e arrivare così direttamente a Venezia senza passare per Chioggia.
G. Dini, prefetto delle cerimonie pontificie che seguì il papa nel suo viaggio a Vienna, scrive: “Domenica 19 maggio Pio VI, da Venezia per la laguna di Fusina, indi per terra, ritornò ad un’ora di notte a Padova che trovò sfarzosamente illuminata. Asceso nell’appartamento di s. Giustina, dalla loggia del monastero benedì il popolo, tra le più vive acclamazioni, indi donò una preziosa corona con indulgenze a Pollisena Contarini moglie del Mocenigo al quale fece le sue più affettuose dimostrazioni di gradimento e di benevolenza”.
Il lunedì 20 maggio, ascoltata la messa in s. Giustina, partì verso le ore 13 con tutto il suo seguito per Ferrara passando per Rovigo e ”giungere all’Alma città di Roma a sedere nella santa sua Sede” (Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica da San Pietro sino a nostri giorni. Dal Cavaliere Gaetano Moroni Romano, secondo aiutante di camera di Sua Santità Pio IX, vol. I tipografia emiliana, Venezia 1851, pp. 120-121.
Il comune di Padova fece collocare una lapide per ricordare l’ingresso di Pio VI nel Palazzo della Ragione.
“Tornato a Roma il Papa ebbe a lodarsi del viaggio a Vienna, ma poco ottenne dall’imperatore, sicuro almeno di aver accresciuto nei luoghi in cui passò l’attaccamento alla religione e alla s. Sede; poco servì il fatto che l’imperatore andò incontro al papa, che accolse il pontefice nella sua carrozza e che entrarono insieme nella città di Vienna. I discorsi del papa mitigarono solo la volontà riformistica dell’imperatore Giuseppe II e molti videro in quel viaggio un fine politico e lo definirono una Canossa alla rovescia” (Gaetano Moroni).
Nel 1800 Padova ospitò un altro papa, Pio VII, successore di Pio VI che era morto in prigione il 29 agosto 1799 nella fortezza di Valenza (regione sud-orientale della Francia), all’età di circa 82 anni e dopo 24 anni di pontificato. Egli aveva disposto che si togliesse dal suo dito il prezioso anello, dono della regina Clotilde di Savoia, e si consegnasse al suo successore; inoltre, aveva stabilito che il conclave, eleggente il suo successore, fosse convocato in una città dove si trovasse la maggioranza dei Cardinali. Essendo in quell’anno Roma occupata dai Francesi di Napoleone e poiché la maggior parte dei Cardinali si era trasferita a Venezia sotto la protezione austriaca, si pensò che il conclave venisse fatto nella città lagunare con la “serenità che esige tale avvenimento” e quindi i Cardinali si riunirono a Venezia, nell’isola di san Giorgio sotto la protezione dell’Austria. Venezia era già divenuta città dell’Impero Austriaco con il trattato di Campoformido del 17 ottobre 1797. L’imperatore d’Austria Francesco II mise a disposizione dei Cardinali 3000 ducati per sostenere le spese di quella cerimonia religiosa; e poneva una condizione: il veto per tutti i cardinali originari di Francia, Spagna, Napoli, Genova, Sardegna. Il conclave iniziò il primo dicembre e il 12 dicembre l’imperatore voleva che fosse eletto il romano Cardinale Mattei a cui la Spagna si oppose. Alla fine, il 14 marzo 1799, i cardinali elessero Luigi Barnaba Chiaramonti che si chiamò Pio VII, in onore del suo predecessore Pio VI, suo concittadino e grande amico a cui doveva la nomina a vescovo di Imola (1782) e la porpora cardinalizia (1785) (Rendina). “Indi narrano i nostri maggiori com’egli nel recarsi al conclave visitasse la Basilica di s. Antonio e promettesse che, non appena andasse questo disciolto, sarebbe venuto ad offrire azioni di grazie alla tomba del Taumaturgo”[…]. La notizia della sua elezione giunse a Padova la mattina dopo e fu accolta con giubilo; la sera fu festeggiato con fuochi artificiali: uno di questi, acceso sul campanile dei Carmini, cadde sulla sottostante cupola bruciandola completamente, incendio ripetutosi 117 anni dopo per la bomba nemica, come purtroppo tutti abbiamo visto la sera del 30 dicembre 1917”. Alla notizia della sua elezione esultarono i padri benedettini del monastero di santa Giustina “sentendo eletto al trono pontificio un loro confratello e per di più un alunno della loro Scuola e […] venne organizzato un grandioso spettacolo pirotecnico”. Don Felice Giacometti nel suo libro ‘Pio VIl a Padova’ (1992) dice: “Il giorno dopo l’elezione (15 marzo, ndr) l’abate con altri padri di S. Giustina si recò a Venezia per ossequiare il neoeletto. Vennero subito accolti e trattenuti in familiare conversazione”. E aggiunge: “E’ probabile che durante questo incontro sia stato progettato il soggiorno di Pio VII a Padova prima di portarsi a Roma” .
Il nuovo papa era nato a Cesena il 14 agosto 1742 e a 14 anni entrò nel monastero dei Benedettini di Santa Maria del Monte della sua città natale prendendo il nome di Gregorio. I suoi superiori, resisi conto delle capacità del giovane, lo inviarono prima a Padova (qui rimase fino al 1763) e poi a Roma perché si perfezionasse nello studio della teologia. Eletto Pontefice, l’imperatore Francesco II chiese le delegazioni di Bologna, Ferrara, Imola e Ravenna che appartenevano allo Stato Pontificio; Pio VII rispose negativamente alle pretese imperiali e decise peraltro di conservare il titolo di vescovo di Imola. Francesco II, contrariato, vietò l’incoronazione del pontefice nella Basilica di San Marco; incoronazione che avvenne comunque il 21 marzo, giorno di San Benedetto, nella Basilica di San Giorgio Maggiore “con grande concorso di fedeli”. (Giacometti)
Il 28 marzo 1800 giungeva a Padova l’arciduchessa Marianna Ferdinanda, sorella dell’Imperatore d’Austria Francesco II. La sovrana, abbadessa del Nobile Capitolo delle Canonichesse di San Giorgio in Praga, trovò ospitalità presso il collegio delle Nobili Dimesse a Padova. Veniva alloggiata nell’ampia camera prospiciente l’orto, già adibita ad infermeria, e qui rimase per due mesi e dieci giorni, dal 28 marzo al 7 giugno, come ricorda una apposita iscrizione presso il nobile collegio padovano. La sovrana riuscì ad avere un primo incontro con il papa il 31 marzo a Venezia per chiedere l’approvazione di fondare un nuovo suo Istituto per l’educazione delle ragazze.
L’arciduchessa Maria Anna Ferdinanda Leopoldina Carlotta Giuseppa Giovanna d’Asburgo – Lorena era nata a Villa di Poggio Imperiale il 21 aprile 1770. Era figlia del granduca di Toscana Pietro Leopoldo e futuro imperatore Leopoldo II e di Maria Luisa di Borbone Spagna. Pietro Leopoldo, a sua volta, era figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e di Francesco I di Lorena. L’arciduchessa fu dal 1971 principessa badessa del Capitolo delle Nobili Dame di Praga fino al suo ritiro nel 1800. La sua carica, dopo quella del cancelliere, la rendeva persona di più alto grado nel regno di Boemia e come badessa aveva il diritto di incoronare le regine boeme. Durante un viaggio in Transilvania morì il 1° ottobre 1809 per una polmonite, all’età di 39 anni, a Neudorf (Arad).
Le Dimesse o Figlie di Maria Immacolata sono una congregazione religiosa fondata a Vicenza nel 1579 con il nome di Compagnia delle Dimesse (umili, piccole) da padre Antonio Pagani, al secolo Marco, frate francescano minore (1526-1589). La Compagnia, tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XVII secolo, si diffuse in varie località venete tra cui Padova. Con la soppressione napoleonica del 1810 sopravvissero solo le Compagnie di Padova ed Udine (www. la vecchia padova.it visita del papa Pio VII ai padovani. (Foto Dimesse).
Dopo l’incoronazione, il papa ricevette altre personalità tra cui l’ambasciatore austriaco, marchese bolognese Ghislieri, al quale fu imposto di risiedere a fianco del gerarca di s. Chiesa.
Don Felice Giacometti nel suo libro ‘Pio VII a Padova’ scrive: “Intanto a Padova prendeva sempre più consistenza la speranza di una probabile visita del Papa suffragata da vari motivi: tornare a rivedere quel Monastero che lo accolse giovane studente e che godeva di grande importanza come sede di quell’Ordine di cui si sentiva orgoglioso figlio. Venerare quel Santo, verso cui continuava a coltivare una speciale devozione e la cui tomba si trovava ora tanto vicina. Onorare quella città, recentemente visitata dal suo predecessore (Pio VI e la visita a Padova nel 1782, ndr) a cui si sentiva doppiamente legato e per parentela e per essere stato da lui ordinato Cardinale. Altri dicono che la visita di Pio VII a Padova fu dovuta al fatto che una delegazione padovana si recò a Venezia per invitare il papa a venire a Padova, cosa che avvenne il 25 maggio 1800”.
G. Cappelletti (1802-1876), presbitero e storico italiano scrive: “Il papa mosse alla volta di Padova per visitare il santuario del taumaturgo Lusitano. Navigò sul Brenta, percorse il canale delle Zattere e della Giudecca fiancheggiato da gondole, da battelli e da peote cariche di persone intente ad onorare con atti di spontanea devozione il pastore universale della Chiesa. Attraversò la laguna entro un nobile ed adorno burchiello; e giunto a Fusina, montò nella carrozza e trovò un distaccamento di cavalleria imperiale. Arrivò poco dopo il mezzo giorno alla Porta del Portello, vi giunse puntuale fra prolungate esplosioni di festa della folla. Lo accolsero alcuni monaci invitandolo a salire sulla carrozza dell’Abbazia. Il papa gradì il gesto, ma preferì rimanere nella carrozza della Cavalleria, splendidamente addobbata, trainata da sei cavalli, e ricevuta in dono a Dolo dall’arciduchessa Marianna e con questa carrozza entrò in Padova addobbata a festa”.
Giacometti sostiene: “Alloggiò nel convento di Santa Giustina, dove lo attendevano tre cardinali e l’abate superiore; nel convento gli era stato preparato un sontuoso appartamento addobbato coi migliori mobili, quadri e tappeti prestati dalle più ricche famiglie. Anche i monaci di Santa Giustina tanto anelavano d’essere onorati d’un Ospite, figlio, anch’egli un giorno dello stesso Santo loro istruttore, ed ora Capo Visibile di tutta la Chiesa Cattolica.
Appena smontato di carrozza entrò nella Chiesa, donde fatta prima una divota e fervorosissima adorazione all’Altare del Santissimo Sacramento, passò al destinatogli appartamento, ove ammise al bacio del piede quella festosa ed esultante Comunità Religiosa. Dopo di ciò diede udienza a diversi distinti personaggi, che vi si erano portati per complimentarlo del di Lui suo felice arrivo”. […] Nel dopo pranzo del giorno stesso del suo arrivo, si portò a visitarlo S.A.R. Arciduchessa Maria Anna Fernanda d’Austria; si trattenne con la prelodata Principessa in un lungo discreto colloquio con Sua Santità, ed indi introdotte alcune Dame del suo seguito, non che qualche Cavaliere, furono tutti ammessi al bacio del piede e della mano”. […] Partita l’Arciduchessa, sua Santità volle appagare l’immensa folla di persone di ogni ordine, impartendo l’Apostolica sua Benedizione da una loggia appositamente eretta nel Monastero e riguardante il Prato della Valle, vagamente apparato; dopo di ché si recò a consolare colla sua presenza le Religiose del vicino Monastero della Misericordia che furono benignamente ammesse al bacio del piede, e rimasero piene di spirituale contento per la di Lui affettuosa degnazione (Paolo Faccio, Blogger.com parte I).
Rientrato in S. Giustina, accolse l’omaggio di molti personaggi tra cui il marchese Ghislieri e il tenente maresciallo Baron di Monfrault che lo seguiranno per tutto il soggiorno.
Don Felice Giacometti scrive: “Il giorno lunedì 26 maggio verso le ore 9 sua Santità scese dal suo appartamento, passò a celebrare la Santa Messa nella Chiesa di Santa Giustina, alla quale assistettero diversi cardinali, vescovi, e prelati, sua Eccellenza Maresciallo Mounfrault e sua Eccellenza Marchese Ghisilieri unitamente a molte nobiltà”. Dopo aver impartito l’apostolica benedizione si “trasferì con numeroso seguito di carrozze al Nobil Ritiro delle Dimesse, a render la visita a S.A.R. Arciduchessa Maria Anna Ferdinanda, che lo accolse nel suo appartamento. Dopo di esser trattenuto con essa in privato colloquio, la Santità ammise al bacio del piede tutta quella Comunità”. Dall’archivio del Collegio delle Dimesse, in ‘Memorie scritte dalla Nobil Elisabetta Candi’, madre superiora: “sembra che questo nostro Istituto le piacesse perché ho sentito io con le mie proprie orecchie queste parole proferite da uno dei suoi assistenti: se questa signora Marianna d’Austria assumesse questo Istituto il Santo Padre ne sarebbe persuaso, ma che voglia impegnarsi a farne uno da nuovo non lo acconsentirà giammai”.
Ritornò verso le ore 12 al Monastero di Santa Giustina; poi incontrò la Nobile Deputazione Rappresentante il Generale Consiglio della Città, vestiti con le consuete formalità in mantello nero listato d’oro, accompagnata da numerose persone della nobiltà cittadina. Poi gli furono presentati “gli illustrissimi Signori Professori di questa celebre Regia Università, vestiti con le consuete loro toghe”,…..poi la nobile Presidenza della Venerabile Arca del Santo e qualche altro capo: tutti ebbero l’onore di rendere i tributi di omaggio e riverenza a Sua Santità, essere accolti tutti con paterno affetto”.
Giacometti: “Verso le ore 6 del 26 si recò il Santo Padre al Monastero di Santa Sofia, ove dopo fatta la consueta visita alla chiesa, vi si trattenne per lungo tempo ed esternò la sua divozione verso le sacre spoglie della Beata Beatrice Estense, dalle quali colle sue proprie mani staccò un dito per memoria, e venerazione di una tale Beata. Passò poi alla visita della Chiesa delle R. R. Monache Francescane della Beata Elena, dove ritrovavasi superiora la sorella di Mons. Illustrissimo e Reverendissimo vescovo di Adria don Arnaldo Speroni degli Alvarotti dell’ordine cistercensi e con le proprie mani mise l’anelo in dito a quella meritatissima Superiore onorandola con quelle che gli succederanno al governo, del titolo di Abbadessa”.
Il 27 maggio “essendo dedicato al glorioso S. Antonio, volle il Santo Padre celebrare la messa all’altare dell’arca di un tanto Taumaturgo. Il tempio del Santo […] era tutto illuminato, come nelle più solenni funzioni e ripieno d’ogni ordine di persone disposte secondo i ranghi, specialmente in luogo distinto il ceto nobile tanto della città, che delle vicine, concorso in gran numero. All’ingresso della santità sua, e per quanto durò l’adorazione all’Altare del Santissimo Sacramento, fu cantata dai musici della Cappella l’antifona ‘Ecce Sacerdos Magnus’ (antifona gregoriana che si canta nell’accoglienza in Chiesa di un vescovo/cardinale/papa, ndr); e nel frattempo della preparazione della santa messa furono suonate delle scelte sinfonie. Volle essere presente alla messa anche Sua Altezza Reale l’arciduchessa Maria Anna Fernanda sorella dell’imperatore. […] Assistettero alla messa tre eminentissimi cardinali Livizzani, Borgia, Braschi Onesti, oltre a molti vescovi, e prelati. Terminata la S. Messa, ed ascoltata quella d’un suo cappellano segreto, si trasferì a visitare il Santuario unitamente alla R. Arciduchessa, e suo nobil seguito, e venerò l’insigne Reliquia della lingua del Santo, dove poi salito su maestoso trono, ammise al bacio del piede molte Dame, e persone. S’incamminò poscia alla Sagrestia, dove la benignità del Santo Padre, a soddisfazione della pietà di molte altre persone, ammise pur queste al bacio del piede. Dopo esser stato servito all’interno del Convento di scelto rinfresco, passò a visitare la Veneranda Arca o Confraternita del Santo, situato nella Piazza del Preminente Tempio, e salito sopra una loggia a tale oggetto preparata, impartì l’Apostolica Benedizione alla moltitudine concorsavi: ammise poi al bacio del piede quei confratelli ed alle altre persone intervenutevi”.
Di questo evento esiste una lapide sulla parete esterna della sede della Veneranda Arca che recita così:
Pio VII Pont. Max
sacro ad aram D. Antonii peracto eodem ritu Hinc benedicenti
VI kal iunii MDCCC
Soliditas P. (posuit) Lapide messa 30 dicembre MCMXVIII
(A Pio VII Pontefice Massimo, compiuta la santa Messa presso l’arca del Divino Antonio, da qui benedicendo 27 maggio 1800. La lapide fu eretta il 30 dicembre 1918).
Giacometti scrive: “Dopo pranzo alle 6 circa la Santità Sua ci andò alla Chiesa Cattedrale, ch’era tutta piena di popolo, vagamente e riccamente addobbata, e illuminata sfarzosamente, anche con molte copie di lampadari di cristallo. Cantata dal coro dei musici con instrumenti al suo ingresso in Chiesa l’Antifona ‘Ecce Sacerdos Magnus’ orò lungamente all’altare dell’Altissimo Sacramento, passò quindi all’Altar Maggiore ad adorare la Santa Croce che v’era esposta, indi si portò nella sagrestia de’ Monsignori Canonici, dove ammise al bacio del piede tutto quel Capitolo, ove fu servito colle solite formalità di squisito rinfresco, come pure il suo Seguito, e Corte Nobile. Ritornato poi in Chiesa visitò l’altare del Beato Gregorio Cardinale Barbarigo e venerò l’incorrotto suo corpo.
Dopo la cattedrale, nel far ritorno a Santa Giustina visitò il Monastero delle R.R. M.M. canoniche Lateranensi dell’Ordine Agostiniano dette di Betlemme. Ivi si trattenne per qualche tempo e lasciò piene di consolazione quelle pie religiose, che furono ammesse al bacio del piede.
Quella sera fu replicata l’illuminazione della città tutta, ma anche la grande facciata della chiesa di Santa Giustina e la parte esteriore del Monastero che riguarda il Prato della Valle. Una scelta Banda d’instrumenti da fiato con armoniosi concerti rendea ancor più brillante lo spettacolo che riuscì tanto più grato allo stesso Santo Padre. Dopo il papa comparve sulla loggia della Benedizione e impartì al numerosissimo popolo, che copriva una gran parte del Prato della Valle, e che non cessava di prorompere in gestevoli e divote acclamazioni” (Giacometti).
“Il mercoledì 28 maggio il Papa si portò con il suo seguito presso il collegio delle Dimesse, su invito dell’arciduchessa Marianna d’Austria, assistito da vari prelati, celebrò la santa messa e comunicò la stessa sovrana; ornavano l’altare sei magnifici candelieri d’argento con relativo crocefisso, donati dalla principessa, essendo stati derubati i precedenti. Alla fine, il papa partecipò a un lauto rinfresco offerto a tutte le persone convenute. Nel pomeriggio visitò altri monasteri femminili e la sera, al rientro al convento di s. Giustina, dopo la benedizione dalla loggia ai molti fedeli raccolti davanti al monastero, rientrò nel suo appartamento. Il 29 maggio si concesse una mattinata di riposo; verso mezzogiorno l’arciduchessa d’Austria venne a porgergli gli auguri di buon viaggio sapendo che il giorno dopo avrebbe lasciato Padova. Nel pomeriggio completò la visita ai monasteri femminili esistenti in città e anche alle “monache eremite compiacendosi dell’edificante vita condotta da tutta la comunità”. Infine “per l’ultima sera gustò l’immensa marea di luci che inondavano la città, beandosi poi del fantastico scenario offerto dal monastero […] ascoltò la Banda che “ogni serra lo attendeva per la buona notte”. Durante la giornata aveva incaricato a manifestare al Generale Consiglio della Città la piena soddisfazione per tutte le premure e le particolari attenzioni prestate nei confronti della sua Persona e questo gesto magnanimo venne ricambiato dalla Nobile Deputazione chiedendo l’apostolica benedizione sull’intera città di Padova “perché si conservasse sempre nella religione cattolica senza mai cedere a qualunque maligna insidia”. Il papa toccato da questo devoto atteggiamento espresse la sua volontà di recarsi, prima di tornare a Venezia, alla sala della Ragione.
Con magnifico seguito di dignitari si recò il 30 maggio nella sala della Ragione gremita dal clero, dall’Università e dai notevoli cittadini di Padova e d’intorni. Il Palazzo della Ragione, chiamato dai padovani il Salone, fu sede dei tribunali della città fino al 1797, anno della caduta della Repubblica Veneta. Dalla Loggia verso Piazza delle Erbe impartì la benedizione al popolo. Partì il giorno stesso per Venezia imbarcatosi su un Burchello seguito da molte altre barche e acclamato dal popolo lungo le sponde fino a Fusina. “Lasciò la Santità Sua tutti i cuori de’ Padovani commossi per quella sua maestosa sì, ma affabile sacra presenza“ (‘Memorie compendiose sull’arrivo, soggiorno e partenza dalla città di Padova della Santità del Sommo Pontefice Pio VII’, Padova 1800, a spese di Paolo Faccio). Il nuovo pontefice si trattenne in Veneto per alcuni mesi durante i quali visitò quasi tutte le chiese e ricevette l’omaggio di tutte le congregazioni religiose. Gaetano Giucci (1803-1976), storico italiano scrive: “Per il protratto soggiorno a Venezia, cominciava ad accreditare la voce, che l’imperatore austriaco volesse impegnarlo a fermarsi in quella città, o forse ancora a trasferirsi a Vienna. Pio VII però che aveva in cuore il ritorno alla città eterna avvisava a tutti i mezzi di dar coinvolgimento al suo voto e che avrebbe tentato il mare sopra un piccolo legno se la corte d’Austria, vistolo determinato a partire, non avesse avvisato ai mezzi di usar seco lui i riguardi dovuti al sublime grado. Posero gli Imperiali a sua disposizione la Bellona fregata austriaca forte di quaranta cannoni ed altri legni minori. Eragli dai commissari austriaci chiusa la via delle Legazioni (esse comprendevano parte dell’Emilia, la Romagna e parte delle Marche), perché queste soggette ancora alla dominazione straniera e si evitò che Pio VII sbarcando dovesse trovarsi in mezzo ai suoi sudditi.
La fregata austriaca Bellona con le insegne papali e di Venezia era comandata da Silvestro Dandolo (1766-1847) che accettò l’incarico che gli valse dal papa la nomina a cavaliere dell’ordine di Cristo. Salpò da Venezia il 6 giugno, ma fuori della laguna uscì solo l’11 giugno perché il comandante vedeva che il tempo era troppo brutto per andar verso l’Adriatico. Il marchese Ghislieri accettò di far trasferire il papa a Roma, ma non attraverso le Legazioni che sarebbero state la normale via di terra, ma per mare da Venezia a Pesaro. Il Pontefice raggiunse Roma seguendo il percorso della via Flaminia. A Fano rese omaggio alle spoglie della madre nel convento di Santa Teresa. “A Pesaro fu commovente l’incontro che ebbe coi fratelli, nepoti e congiunti venuti da Cesena per inchinarlo. Giucci scrive: “A Recanati incontrò l’arciduchessa Marianna che inchinavasi novellamente al pontefice quando da parte dell’Imperatore d’Austria presentavasi al papa il commissario de Cavallar per partecipargli che Cesare restituivagli il governo politico di quella parte delle provincie, che dipendevano dagli imperiali commissari di Perugia e Ancona” . […] Penso che anche l’arciduchessa Marianna abbia influito positivamente sul rapporto nei rapporti tra l’Austria e il Papa Il Giucci scrive “ affrettavansi tutti, tutti fissavano anziosi lo sguardo sul volto mansuetissimo di Pio VII, che entrato in Roma alle quattro pomeridiane del dì ventidue giugno passando benediceva e sorrideva al popolo lungo le strade plaudente”.
In realtà il pontefice fece ingresso a Roma il 3 luglio 1800, accolto dalla nobiltà romana e dal popolo in tripudio. Probabilmente la data del 22 giugno riportata dal Giucci fa riferimento al fatto che il 22 giugno il governo provvisorio napoletano di Roma, in nome di Ferdinando IV, proclamò la restituzione al papa di Roma e delle sue province, annunziando l’imminente arrivo di Pio VII.
Bibliografia Essenziale
Archivio Sartori, Documenti di storia e arte francescana. Basilica e convento del Santo, vol.I, a cura di padre G. Luisetto, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983, pp 937-939;
Archivio del Collegio Dimesse, Memorie della Nobil Elisabetta Cardi poi superiora, citata da Giacometti, 1992;
G. Cappelletti, Storia di Padova dalla sua origine sino al presente, Editrice Sacchetto, 1876, pp. 294-296;
G. Dini, Diario pieno e distinto del viaggio fatto a Vienna dal sommo Pontefice Pio Papa Sesto, Roma, Stamperia della Rev. Camera Apostolica, 1782, pp 44-46;
F. Giacometti, Pio VII a Padova, Padova e il suo territorio, Fasc. 35, febbraio 1992, pp 11-13;
Id., Pio VII a Padova, 1992;
G. Giucci, Storia della vita e del pontificato di Pio VII, Vol. I, Roma, Tipografia Gaetano Chiassi,1857, pp. 53-60;
Memorie compendiose sull’arrivo, soggiorno, e partenza dalla città di Padova della Santità del Sommo Pontefice Pio VII, Padova 1800, nel Seminario con spese di Paolo Faccio, inserito nell’appendice del libro F. Giacometti “Pio VII a Padova”. pp. 1-24;
G. Moroni Romano, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da san Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, Tipografia Emiliana, 1851, vol. LIII, pp. 121-123;
C. Rendina, I papi: da San Pietro a papa Francesco, Roma, Newton Compton, 2013, pp 608- 617.