di Mario Spedicato
Filippo Giacomo Cerfeda ci ha lasciati anzitempo, prima che il suo straordinario talento di ricercatore potesse pienamente produrre i frutti più maturi. Chi ha seguito la sua incessante attività di docente ed archivista si convince che nella sua breve esistenza abbia seminato e raccolto molto, certamente di più di quanto si può attendere da uno studioso che ha dovuto fare i conti per lungo tempo con una malattia subdola e menomante. Pochi amici e colleghi si sono accorti dalla sequenza cronologica dei suoi studi pubblicati che dietro la loro ideazione e redazione vi era una battaglia per la sopravvivenza combattuta con animo non rassegnato, ma con energica determinazione di vincerla. Filippo non ha mai messo in vetrina i suoi problemi di salute, non ha mai cercato compassione, neppure nelle ultime settimane di vita, quando non potendo più comunicare verbalmente, ha voluto onorare tutti gli impegni, completando e consegnando puntualmente i suoi lavori per consentire l’approdo ai diversi progetti scientifico-editoriali a cui aveva assicurato la sua partecipazione.
Nonostante questo straordinario e irripetibile contributo fornito alla ricerca storica siamo convinti che Filippo non ha avuto il tempo necessario per esprimere tutte le sue potenzialità, quelle che per la lunga esperienza di archivista e di collaudato ricercatore avrebbero potuto rendere ancora più visibili e nello stesso tempo più prospettici i suoi interessi di studio. Ha dovuto. gioco-forza, limitare e parcellizzare gli ambiti della ricerca a mirate, e spesso eterogenee, sollecitazioni provenienti dal territorio, cercando più di non deludere la fiducia e le aspettative riposte in lui dalle istituzioni di riferimento e trascurando l’obiettivo di perseguire un organico progetto di studio, autonomamente elaborato e fuori dai condizionamenti imposti dai ruoli esercitati all’interno degli ambienti culturali di cui è stato un indiscusso protagonista. Filippo, insomma, non ha trovato il tempo di pensare a sé stesso, di elaborare e realizzare in età matura un ambizioso e, per certi aspetti, atteso programma di ricerca, avendo dovuto rincorrere e soddisfare una domanda diversificata, a cui non ha saputo e neppure voluto sottrarsi. Ha preferito mettere le sue competenze di ricercatore al servizio delle comunità salentine piuttosto che isolarsi per dare sostanza ad un percorso scientifico-editoriale di più alto profilo, più volte auspicato da autorevoli accademici che lo hanno conosciuto ed apprezzato.