Non si può leggere Kafka se non si possiede un’idea e una visione della realtà stabili, compatte, resistenti a qualsiasi sferzata dell’assurdo. Si rischia di non risalire dalla botola, di rimanere nel mondo deformato della scrittura. Non è un mondo che fa paura, quello di Kafka. E’ un mondo che stordisce. Allora bisogna avere una dimensione esistenziale e mentale, una serenità di pensiero, che siano in grado di impedire lo stordimento, la seduzione del silenzio delle sirene che abitano quel mondo. Perché le sirene hanno un’arma ancora più terribile del canto, ed è il loro silenzio, dice. “E’ forse pensabile, sebbene non sia mai successo, che qualcuno possa salvarsi dal loro canto: sicuramente non dal loro ammutolire”.
Per trovare il silenzio delle sirene, comincio a leggere il volume di scritti e frammenti postumi che vanno dal 1917 al 1924, con l’introduzione di Gustaw Herling e la traduzione di Andreina Lavaggetto.
Comincio a leggere e a pagina 28 avverto l’ansia di finire quanto prima questo articolo. In quella pagina ci sono due annotazioni La prima conta 4 righe. Dice: “Il pozzo profondo. Il secchio impiega anni a salire e in un istante precipita, più in fretta di quanto tu possa chinarti; credi ancora di tenerlo tra le mani e già senti il colpo sul fondo, non senti neanche quello”.
La seconda conta undici parole, e dice: “Il settimo giorno egli riposa; e allora noi riempiamo la terra”. Il resto della pagina è bianco.
Non vedo l’ora di finire questo pezzo. Mentre leggo mi rendo conto che sto rischiando di entrare nel mondo sconosciuto (inconoscibile) di Kafka, che è infinitamente lontano da qualsiasi altro mondo, anche da quello di Franz, l’assicuratore. Franz è una creatura umana e fragile. Kafka è uno stregone alieno che vive nel cratere di un vulcano che erutta una tempesta di fantasticheria.
Sto rischiando di entrare in quel mondo assurdo allucinante paradossale avvilente angosciante inquieto deprimente sconvolgente grottesco incomprensibile, e non voglio. In quel mondo soltanto Kafka può sopravvivere. Mi chiedo per quale ragione abbia chiesto a Max Brod di bruciare tutto quello che lasciava dietro di sé, edito o inedito che fosse.
Mi viene da pensare che sapesse perfettamente che il suo mondo avrebbe sconvolto chiunque si fosse trovato ad attraversarlo. Forse anche Franz aveva fatto l’esperienza di sconvolgimento quando si era ritrovato nel mondo di Kafka.
Un’opera come quella di Kafka si può leggere quando si hanno dai venti ai trent’anni. A quell’età il mondo reale mostra orizzonti possibili, concreti, raggiungibili. Prima e dopo quell’età gli orizzonti sono sfocati e allora può accadere che si faccia confusione, che si pensi che il mondo kafkiano sia un mondo reale, che non s’intraveda la finzione straniante della scrittura, l’azzardo dell’immaginazione, lo scompiglio delle categorie. Può accadere che si subisca l’incantesimo di quello stregone geniale, di quello scrittore capace di creare un mondo artificiale con parole che sembrano semplici e chiare.
Chiudo il libro di scritti e frammenti a pag. 94. Sono trent’anni che non leggo Kafka. Mi dico che probabilmente non lo leggerò più. Kafka si studia per tutta la vita oppure si legge una volta e basta.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 2 giugno 2024]