di Antonio Errico
Cento anni fa, il 3 giugno del 1924, nel sanatorio di Kierling, vicino Vienna, moriva Franz Kafka. Era nato nel mese di luglio del 1883. Non aveva ancora compiuto i quarantuno.
Una vita breve. Un’opera breve: ma profonda; a tal punto profonda da determinare l’aggettivo kafkiano, per significare qualcosa di assurdo, allucinante, paradossale, qualcosa di avvilente, angosciante, inquieto, deprimente grottesco, sconvolgente. Incomprensibile.
Incomprensibile vuol dire impenetrabile, misterioso, enigmatico. Qualsiasi romanzo, qualsiasi racconto, un frammento, hanno dentro un mondo complesso, complicato, hanno grovigli di significati che non rispondono alla logica, alle categorie di tempo e di spazio, di vero e di falso. E’ un mondo completamente sconosciuto o che in superficie presenta fattezze conosciute ma poi ad un certo punto apre una botola oscura nella quale si può anche tentare di scendere ma da cui si risale con gli occhi accecati da quell’oscurità. Oppure non si risale.