di Aldo Bello
“Società dell’informazione”, “società della comunicazione”, “società dell’immagine”, “società dello spettacolo”…
Sono queste, ed altre analoghe, le espressioni – più o meno diffuse, più o meno efficaci – con le quali viene definito il mondo contemporaneo; espressioni che non sempre aiutano a comprendere realmente il contesto sociale, culturale e politico nel quale viviamo. In ogni caso, il fatto che siamo circondati, vorrei dire assediati dai mezzi di comunicazione, è un’affermazione tanto banale quanto incontestabile. Basti pensare a quanto la nostra quotidianità sia condizionata dal telefono, ora anche cellulare, dal fax, dal computer, dai giornali, dalla radio, dalla televisione.
I mezzi di comunicazione di massa – oggi si preferisce parlare di mezzi di comunicazione perché le tecnologie informatiche tendono a privilegiare una comunicazione “uno – a – uno”, piuttosto che “uno – a – molti” – nascono nell’800 col progressivo diffondersi dei quotidiani – quando nasce la massa, cioè un pubblico abbastanza vasto da consentire la produzione seriale – e poi si sviluppano con l’avvento del cinema, della radio, dei magazine, della tv. Ogni epoca registra il predominio di un singolo medium che tutti gli altri tentano in qualche modo di imitare. Dunque, un medium detta il passo, si propone come modello di linguaggi e di storie.
Nella prima fase dell’industria culturale domina la stampa (metà dell’800). Infatti, nei primi anni di vita il cinema resta quasi un fenomeno da baraccone. Poi è fatale che sia proprio il grande schermo a prender piede (anni ’30 del nostro secolo) e a veder riconosciuta la sua dignità di mezzo artistico in grado di divertire, a volte informare, più spesso far sognare milioni di persone.