Parole, parole, parole 21. Il paesaggio linguistico

Il volume di cui parliamo ha come tema la presenza del dialetto nel paesaggio linguistico di Catania; ci offre una descrizione convincente della “personalità” della città, in cui è fortissima la presenza del dialetto adoperato soprattutto nel settore enogastronomico. Il dialetto di insegne, cartelli ecc. esalta l’eccellenza e la genuinità dei prodotti locali creando un’atmosfera familiare, spesso tende a rievocare la tradizione letteraria siciliana o la rilevanza storica di alcuni luoghi della città, incuriosisce con le connotazioni “esotiche” di parole dialettali ormai rare o in disuso. Alcuni cartelli sono bilingui, italiano e dialetto insieme. Un locale si chiama n’acchianata ‘nella salita’, ed è preceduto e seguito da specificazioni in italiano: «Piatti tipici siciliani. Gastronomia Panineria Arancineria». Spesso il dialetto siciliano è affiancato  all’inglese, creando una miscela divertente che oscilla tra  modernità e tradizione. In un cartello la scritta take away è affiancata dal dialettale pigghia e potta (cioè ‘porta’, in fonetica siciliana). In due diverse insegne che pubblicizzano lo stesso esercizio, il titolo ciuciulena (parola che in dialetto significa ‘semi di sesamo’) è collocato in alto e ha dimensioni maggiori rispetto al resto, più in basso, con sottotitoli in inglese: il primo (Sicilian restaurant) indica di cosa si tratta; il secondo, tematico, cosa vi si può mangiare (Sicilian food & more).

Sono stato per alcuni giorni ad Anversa, città belga dove il fiammingo la fa da padrone. Il portiere di un albergo, da me interrogato, ha risposto che la sua lingua madre è il fiammingo e la sua seconda lingua è l’inglese. Quando gli ho chiesto del francese, lingua ufficiale del Belgio, mi ha risposto che lo conosce ma non gli piace. Un modo per rivendicare la propria appartenenza di fronte allo stato centrale, sentito come lontano. Modello da non replicare in Italia, dove abbiamo raggiunto l’unità nazionale a prezzo di lotte e di guerre. Nel nostro paese oggi emergono proposte truffaldine che in nome dell’autonomia differenziata (così dicono) danno spazio ai separatismi, ai particolarismi di un’Italia dei mille campanili e dell’egoismo (anche al sud, dove crescono i localismi, secondo la nostra tradizione di corifei del potere e di servitori che si sentono furbi). Ad Anversa  è nato Rubens, pittore meraviglioso che soggiornò a lungo in Italia per apprendervi tecniche pittoriche e modelli figurativi che poi trasferì con enorme successo nel suo paese, fondando una scuola e creando allievi. Imparò benissimo l’italiano, che usò perfino nelle corrispondenze con i suoi conterranei. Rubens è dappertutto ad Anversa, nelle chiese, nei musei, nella sua casa natale (fino ad agosto in riallestimento), per le strade (con statue dedicate a lui e ai suoi collaboratori). Qui la cultura pare avere pregio.

Nelle strade di Anversa ho notato manifestazioni del paesaggio linguistico che hanno catturato la mia attenzione, con insegne così costruite: «Mariello. Pizza al taglio»,  «Ristorante Gran Duca», «Pizzeria San Remo» (così, con uno spazio tra San e Remo), «Pastificio. Italian Pasta Shop. Da Lory») e anche «Bella Donna Moda For You», «La Casa del Tabaco» (così, con una sola -c-). Insomma italiano non solo per il cibo (anche per la moda e perfino per il tabacco), pur se la gastronomia prevale largamente. Ci sono combinazioni plurilingui, dove l’italiano sbaraglia le lingue concorrenti: «Bella Vista Ristorante. Italiaanse en Franse Specialiteten». Il titolo del locale è in italiano. Il sottotitolo è in fiammingo e precisa che vi si servono specialità italiane e francesi; il cibo dunque può essere anche francese, ma la lingua francese non ricorre da nessuna parte. Nel mondo fortemente concorrenziale della gastronomia ci si accaparra l’attenzione puntando sulla attrattività della lingua italiana. E anche del dialetto napoletano, idioma dal fascino universale. Si chiama «Mala Ciorta» ‘cattiva sorte’ un ristorante di Anversa. L’hanno aperto durante il covid, mi hanno spiegato i ristoratori, e hanno scelto quel nome con intenti apotropaici, per allontanare i pericoli della pandemia che allora imperversava. Si rivolgono in italiano e in napoletano agli avventori che entrano nel locale, per confermare il marchio linguistico sancito fin dal titolo che hanno scelto.

L’italiano, a volte bistrattato in patria, all’estero piace molto e il paesaggio linguistico di Anversa lo conferma. La città offre altre cose meravigliose che sarebbe bello rivedere in Italia. Il 25 maggio ho assistito a Peak Mytikas (on the Top of Mount Olympus), una performance di 8 ore (sì, otto ore!) che ha celebrato 40 anni di collaborazione artistica tra Jan Fabre, artista che ha innovato il teatro mondiale, e la drammaturga Miet Martens, con 11 performer straordinari quali Annabelle Chambon e Cédric Charron e gli italiani Matteo Franco, Pietro Quadrino e Irene Urcioli. Alla fine pubblico in delirio, un quarto d’ora di applausi e di grida di entusiasmo, emozioni che non si possono descrivere.

Speriamo che  anche in Italia questo si possa presto ammirare di nuovo, nei grandi teatri e dovunque sia possibile.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 31 maggio 2024]

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