di Nello De Pascalis
Su quel tratto di costa non c’erano pescatori, quel giorno, ed io mi sentivo da dio. Una maretta debole debole mi obbligava ad usare la canna da quattro metri. Ad ogni manciata di esca, vedevo un turbinio di chiazze argentate: un branco di saragotti s’aggirava sotto la mia canna; cominciai a tirarli su, uno dietro l’altro, con estrema facilità. Ogni tanto mi guardavo attorno nel timore di essere visto: fisima che mi porto dietro da anni. Sul più bello, nel parcheggio rettangolare alla mia destra, vidi una Ibiza grigia con un tizio al posto di guida che mi osservava (quella macchina l’avevo notata altre volte in punti diversi lungo la costa). Sospesi di pescare e scaricai il nervoso sull’ennesima sigaretta. Continuai a buttare pugnetti di malote, con la canna a riposo, sperando che lo spione se ne andasse, ma il tizio rimase lì e controllava tutte le mie mosse. Ripresi poi a pescare, innervosito dalla presenza di quell’intruso.
A sera, l’amico Roberto mi chiese com’era andata. “Male”, gli dissi, “non ho sentito una toccata”. “A me risulta che hai fatto strage di saragotti”, ribatté contrariato. Non mi ero sbagliato: quel tizio in macchina era un emerito spione.