Sonetti dei destini I

di Antonio Devicienti

Fabbrichiamo il nostro destino giorno per giorno, mente e mani immersi nel nostro proprio tempo.

Guardiamo talvolta a destini già compiuti, in apparenza, ma che generosi si schiudono nuovamente per noi e con noi colloquiano. (Si parlerà molto di poeti da qui in avanti e di artisti, costellazioni per il mio tempo umiliato e umiliante).

1

Una Castiglia d’affocàti sensi e di mente intesa a scarnificare il reale, a sorpassarne le apparenze: per Juan de la Cruz.

Silenzioso ora il corpo (ma non tace

nel battito cardiaco) si dispone

il pensiero ad accogliere l’erranza

del mondo, ascolta e attende, qui si giace.

Le scalze armonie dei muri, la casa,

generoso deserto, la cisterna

quando impara la sete dal fuoco,

il fuoco quando la neve lo sposa.

.

Febbricitanti mani appoggiaste alla

scabra parete del canto notturno

le Vostre digiunanti dita falla

.

esse apersero dentro il varco diurno

a altre mani di faber, apprestanti

inchiostro spago e carta, gravitanti.[1]


[1]   Insieme con Juan de la Cruz viene qui ricordato (ultima terzina) Edoardo Chillida, autore delle “Gravitaciones”, opere di carta ed inchiostro appese con dello spago alle pareti dedicate al mistico e poeta carmelitano.

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