di Guglielmo Forges Davanzati
Nel marzo 2015 entrava in vigore il contratto a tutele crescenti, parte fondamentale del Jobs Act voluto dal Governo Renzi. A distanza di nove anni, è opportuno provare a farne un bilancio, utilizzando i dati sul mercato del lavoro e, in particolare, sulla condizione giovanile e femminile recentemente rilasciati dall’ISTAT. L’Istituto registra innanzitutto un rilevante calo del numero di giovani, soprattutto nel Mezzogiorno (dal 24.4% del 1982 degli individui di età compresa fra i 18 e i 34 anni al 17.5% nel 2023) e l’accentuarsi del fenomeno della denatalità, seguendo un andamento che si intensifica a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Il calo demografico è più marcato nelle aree interne e nei comuni definiti periferici e ultraperiferici, cioè molto lontani dai luoghi di offerta dei servizi essenziali ed è un problema globale, ma particolarmente accentuato in Italia. ISTAT rileva anche il peggioramento del benessere delle giovani generazioni, con riferimento, in particolare, agli indicatori della salute mentale (si tratta, anche in questo caso, di una tendenza globale).
Concorrono a determinare questo fenomeno tre tendenze in atto da anni: le emigrazioni, soprattutto giovanili, l’elevato tasso di disoccupazione e la rilevante incidenza del lavoro precario e povero. Queste tendenze configurano un fenomeno cumulativo: la riduzione del numero di giovani oggi produce inevitabilmente minore natalità e, per conseguenza, minori giovani domani.