Botteghe e laboratori artigianali erano distribuiti intorno ai corsi d’acqua della Basilica, fra i quali anche quelli della lavorazione del ferro e dei metalli. Vicino alla Basilica c’era la via Maglio, cosiddetta perché già nel 1400, all’angolo con l’ingresso dell’Orto Botanico, vi era un maglio per battere il rame, mosso dall’acqua del piccolo canale. Da questo ebbe il nome anche la contrada. E il nome stesso restò quando il maglio fu sostituito da un mulino e poi da una macina per polvere da sparo (Padova e il suo territorio 1989).
Padre V. Zaramella in un suo libro (“Guida inedita della basilica del Santo. Quello che della Basilica del Santo non è stato scritto” 1996) così scriveva a proposito dei mulini che erano intorno alla Basilica di S. Antonio di Padova: “I canali Santa Chiara e Alicarno, superata la zona di Betlemme, erano utilizzati per far azionare vari mulini, dei frati, degli artisti per battere il rame (pare che anche Donatello facesse uso di queste acque per i suoi bronzi) e poi di una fabbrica di polveri per conto dello Stato (Venezia). Si attribuì a Sant’Antonio la grazia ( e quale grazia) se la maggior parte della polvere di bombarda in deposito al Maglio era stata portata via qualche giorno prima per rifornire l’esercito veneziano. Ciò nonostante, i danni conseguiti all’esplosione della polvere furono veramente ingenti: fatto un sopralluogo, esaminati i danni, si dovette sottoscrivere un prestito di 1400 ducati per le riparazioni più urgenti” E ancora conclude dicendo che “ Le spese furono così ingenti che fu giocoforza sospendere la musica per un anno, salvo le principali attività liturgiche. Un anno di austerità forzata che costava ai nostri antichi che amavano la bella musica”
Padre Bernardo Gonzati (vol.1 pp 87-88) nel suo Libro “La Basilica di S. Antonio di Padova” scrive a proposito dello scoppio della polveriera del Maglio: “Il dì 24 maggio del 1617, alle ore 10 italiane, si apprese una fatale scintilla alla polvere che sopra tavoli distesa esponevasi al sole per disseccarsi. Serpendo rapidamente la fiamma diede nei barili della torricella, i quali col più tremendo tuono scoppiarono. Si forte e terrifico fu il rimbombo, che a detta del contemporaneo Portenari si sentì più di 25 miglia lontano. La terra si scosse come per un terremoto, si scrollarono fabbricati, caddero fumaiuoli, si scassinarono edifizi, la città tutta quanta in costernazione. E venendo ai particolari il repentino scoppio svelse dalla fondamenta la torricella non lasciandovi pure un vestigio; di qua e di là del fiume atterrò molte case circonvicine, sembianza ed immagine di città distrutta … Il numero delle persone morte, abbruggiate e storpiate fu grande, ma sarebbe stato molto maggiore se fosse stato di notte. Il ponte del Maglio fabbricato da Bernardo Navagero, podestà di Padova l’anno 1548, restò solamente offeso nelle sponde, l’arco rimase intatto. Può ognuno immaginarsi come la Basilica con sue adiacenze, non discoste dalla polveriera che pochi metri, dal subitano tremito ne risentisse danni gravissimi. I muri, le volte, le colonne, gli archi, le logge del chiostro ……… Il tempio ebbe a patire in varie sue parti, le invetrate ruppersi tutte, precipitò il finestrone circolare che riguarda a mezzogiorno, detto volgarmente l’Occhio dei Zabarella, perché da questa famiglia ornato e ne porta lo stemma. L’anno seguente fu ristorato, e sotto vi si infisse una lapida con questa memoria:
Sulphurei pulveris incendio dum terra
Dehiscere coelumq dilapsum videretur
Corruit IX Kl iun. Ann. MDCXVII
In Sequenti ann. Instaur
E conclude scrivendo: “Anche in questo doloroso frangente ebbesi Padova il conforto di vedere palesamente la protezione del Santo. La Presidenza dell’Arca ordinò un dipinto ad olio rappresentante il triste caso del 24 maggio 1617, con la descrizione delle grazie ricevute, quadro che nello stesso secolo fu rinfrescato da un fra Giovanni da Verona ed ora più non esiste”.
In occasione dell’incendio del maglio, fu pubblicato un opuscolo che recita: “Il spaventoso caso dell’incendio successo in Padova con alcune grazie miracolose fatte dall’immensa bontà d’Iddio, ad alcune creature, per intercessione del glorioso padre Sant’Antonio” (fig.). E padre M. Patassini racconta gli eventi di “quando la Basilica”, con le sue otto cupole e i due campanili, “ fu a rischio”, e continua: “nei suoi otto secoli di vita, in più di un’occasione il santuario antoniano ha rischiato di sparire. Ma sempre la Provvidenza è intervenuta. E la mano di Antonio continua ancora oggi a invocare la benedizione di Dio sula sua dimora terrena”.
Bibliografia
B. Gonzati. La Basilica del Santo. Ed. A. Bianchi, Padova 1852, vol. I ,pp 87-88;
Padova e il suo territorio, fascicolo 19, giugno 1989;
M. Patassini, Quando la Basilica fu a rischio, Il Messaggero di Sant’Antonio, ottobre 2023, n.9, pp 42-43;
V. Zaramella, Guida inedita della Basilica Del Santo. Quello che della Basilica del Santo non è stato scritto, Centro Studi Antoniani, 1996, pp 469-470;
www.vigilifuoco.it La storia VF Padova compressed, Pp. 22-23.