2. La lingua italiana e gli strumenti giusti. Maestri e professori lamentano una ridotta competenza dell’italiano parlato e scritto da parte degli studenti, anche alla fine del percorso scolastico. Errori di grammatica e di sintassi, bagaglio lessicale ristretto, carenze linguistiche clamorose segnano negativamente la lingua degli studenti: scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Non possiamo chiudere gli occhi. Il raggiungimento di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti è obiettivo prioritario. Per ottenere lo scopo il docente d’italiano deve applicare con sapienza e flessibilità gli strumenti didatticamente efficaci di cui è in possesso, senza rinunziare al rigore fondato su presupposti scientifici. Ecco alcuni suggerimenti.
Il tema. Una buona competenza linguistica è favorita se proponiamo allo studente tracce che non richiedono conoscenze iperspecialistiche (il ragazzo non è un tuttologo) né espongono tesi predeterminate. Invece di «Elencate i danni per l’ambiente provocati dall’industria», è meglio «Immaginate un dialogo tra due ragazzi. Il primo sostiene che l’industria inquina e danneggia la salute, il secondo è convinto che l’industria favorisce il benessere generale e rende la vita meno faticosa». Insomma, testi argomentativi, che consentono di sfruttare le risorse della dialettica e della logica e invitano a esporre in forma coerente il proprio pensiero.
Il riassunto. Questa pratica salutare va applicata sistematicamente (grosso modo dalla seconda classe della media inferiore alla quarta della superiore) e misura la capacità di capire un testo, di cogliere i presupposti e le informazioni in esso contenuti, di renderlo in forma linguisticamente efficace, in uno spazio predeterminato e relativamente ristretto (contro la tendenza ad allungare il brodo). Fare un buon riassunto è tutt’altro che facile, come potremmo sperimentare noi stessi se provassimo a condensare in 10 righe ben scritte un articolo di giornale che occupa due colonne.
La memoria. Rientri nella scuola l’utilizzo della memoria, un tempo esercizio quotidiano e oggi negletto, «perché possiamo cercare tutto facilmente nella rete». È vero, la rete ci dice qual è la capitale del Bangladesh e qual è il nome del comandante romano vincitore della terza guerra punica; ma poi sta a noi tenere a mente quei nomi, inserirli nel contesto geografico e storico di riferimento, assumere altre informazioni collaterali, in definitiva aumentare il nostro patrimonio di conoscenze e saperlo presentare agli altri in forma adeguata e formalmente impeccabile. Così funziona la memoria, facoltà essenziale del nostro cervello, risorsa preziosa che l’evoluzione ha regalato all’essere umano. Facoltà da allenare costantemente, se non è utilizzata rattrappisce, come diventano flaccidi i muscoli del nostro corpo se (almeno un po’) non li teniamo in movimento. Oggi il ragazzo non impara un rigo di poesia a memoria, né la sequenza iniziale dei numeri primi, ricordare le date appare una pratica inutile e faticosa. E invece se non usiamo la memoria, la perdiamo. Danno incalcolabile, per la scuola e per la vita.
3. La politica. Chi ha il potere di decidere non si illuda di restituire prestigio al corpo docente e ai dirigenti con disposizioni autoritarie, come nei giorni scorsi ha dichiarato di voler fare il ministro dell’Istruzione e del Merito, a ragione immediatamente contestato da chi opera nella scuola. Non servono autoritarismi, né servono ulteriori riforme scolastiche: ogni governo tenta la propria, puntualmente smantellata dal governo successivo. Servono dialogo con gli studenti e aggiornamento serio degli insegnanti. La politica, senza clamore, si occupi di aumentare gli stipendi dei professori (oggi quasi indecorosi), di allestire biblioteche ricche di libri e laboratori ben attrezzati. Per qualche anno lasciamo che i professori, oggi vessati dalla compilazione di questionari e di moduli e da adempimenti burocratici, possano lavorare tranquillamente, senza assurdità regolative come il famigerato Piano Scuola 4.0 che «intende favorire la transizione digitale del sistema scolastico italiano», redatto in una lingua letteralmente incomprensibile, farcita di tecnicismi e di anglicismi usati a sproposito. Piano Scuola che i malcapitati professori e dirigenti dovrebbero riuscire ad applicare, nonostante il lessico fintamente tecnico che in realtà maschera la fumosità dei contenuti e degli intenti.
La scuola, ben indirizzata, non vessata, è in grado di misurarsi con le sfide richieste dai tempi.
Rosario Coluccia
Molti lamentano la scarsa efficienza del nostro sistema scolastico: libri e convegni seriosi, dominati da pedagogisti onniscienti, propongono le ricette più varie. Si moltiplicano dichiarazioni più o meno reboanti (re-, non ro-, come spesso si sente e si legge), che affermano: «Il mondo della scuola è centrale per il Paese, per lo sviluppo della società: dalla scuola si ricostruisce l’Italia» (Gazzetta del Mezzogiorno, 20 maggio, p. 4). Io, non sapendo offrire soluzioni per l’eternità, mi limito a qualche considerazione per tutti i giorni: solo pochi punti, dettati dal buon senso ma per me cruciali. Perciò intitolerei “Modeste proposte per migliorare la qualità dell’insegnamento scolastico” la rubrica di questa settimana.
1. I voti. La distribuzione dei voti eccellenti (ad esempio i diplomati con lode della maturità) è disomogenea sul territorio nazionale, con medie che in molti casi si discostano anche considerevolmente, verso l’alto o verso il basso, dalla media generale. Domanda: gli studenti bravi si concentrano in alcuni territori e in altri si affollano quelli in maggioranza meno bravi? Sicuramente non è così. Forse, semplicemente, esistono nella scuola italiana criteri di valutazione tra loro diversissimi, che nel loro insieme compongono un quadro scombinato. Una cosa è certa. La qualità dell’insegnamento non si misura con il numero delle promozioni a voti alti. Non rendiamo un buon servizio agli studenti e alla società intera se mettiamo sullo stesso piano chi studia duramente, con fatica, spesso in condizioni economiche disagiate, e chi pretende gli stessi risultati senza impegnarsi. La spinta generalizzata verso l’alto, indipendentemente dalle qualità e dall’impegno, non fa bene alla scuola. Ieri si guardava con ammirazione chi, a prezzo di sacrifici, riusciva a raggiungere livelli elevati di preparazione. Oggi si punta alla percentuale dei promossi con votazioni elevate senza badare ai contenuti reali, complice la pressione di ambienti esterni che spesso rivendicano a priori voti alti per i pargoli incompresi.
2. La lingua italiana e gli strumenti giusti. Maestri e professori lamentano una ridotta competenza dell’italiano parlato e scritto da parte degli studenti, anche alla fine del percorso scolastico. Errori di grammatica e di sintassi, bagaglio lessicale ristretto, carenze linguistiche clamorose segnano negativamente la lingua degli studenti: scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Non possiamo chiudere gli occhi. Il raggiungimento di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti è obiettivo prioritario. Per ottenere lo scopo il docente d’italiano deve applicare con sapienza e flessibilità gli strumenti didatticamente efficaci di cui è in possesso, senza rinunziare al rigore fondato su presupposti scientifici. Ecco alcuni suggerimenti.
Il tema. Una buona competenza linguistica è favorita se proponiamo allo studente tracce che non richiedono conoscenze iperspecialistiche (il ragazzo non è un tuttologo) né espongono tesi predeterminate. Invece di «Elencate i danni per l’ambiente provocati dall’industria», è meglio «Immaginate un dialogo tra due ragazzi. Il primo sostiene che l’industria inquina e danneggia la salute, il secondo è convinto che l’industria favorisce il benessere generale e rende la vita meno faticosa». Insomma, testi argomentativi, che consentono di sfruttare le risorse della dialettica e della logica e invitano a esporre in forma coerente il proprio pensiero.
Il riassunto. Questa pratica salutare va applicata sistematicamente (grosso modo dalla seconda classe della media inferiore alla quarta della superiore) e misura la capacità di capire un testo, di cogliere i presupposti e le informazioni in esso contenuti, di renderlo in forma linguisticamente efficace, in uno spazio predeterminato e relativamente ristretto (contro la tendenza ad allungare il brodo). Fare un buon riassunto è tutt’altro che facile, come potremmo sperimentare noi stessi se provassimo a condensare in 10 righe ben scritte un articolo di giornale che occupa due colonne.
La memoria. Rientri nella scuola l’utilizzo della memoria, un tempo esercizio quotidiano e oggi negletto, «perché possiamo cercare tutto facilmente nella rete». È vero, la rete ci dice qual è la capitale del Bangladesh e qual è il nome del comandante romano vincitore della terza guerra punica; ma poi sta a noi tenere a mente quei nomi, inserirli nel contesto geografico e storico di riferimento, assumere altre informazioni collaterali, in definitiva aumentare il nostro patrimonio di conoscenze e saperlo presentare agli altri in forma adeguata e formalmente impeccabile. Così funziona la memoria, facoltà essenziale del nostro cervello, risorsa preziosa che l’evoluzione ha regalato all’essere umano. Facoltà da allenare costantemente, se non è utilizzata rattrappisce, come diventano flaccidi i muscoli del nostro corpo se (almeno un po’) non li teniamo in movimento. Oggi il ragazzo non impara un rigo di poesia a memoria, né la sequenza iniziale dei numeri primi, ricordare le date appare una pratica inutile e faticosa. E invece se non usiamo la memoria, la perdiamo. Danno incalcolabile, per la scuola e per la vita.
3. La politica. Chi ha il potere di decidere non si illuda di restituire prestigio al corpo docente e ai dirigenti con disposizioni autoritarie, come nei giorni scorsi ha dichiarato di voler fare il ministro dell’Istruzione e del Merito, a ragione immediatamente contestato da chi opera nella scuola. Non servono autoritarismi, né servono ulteriori riforme scolastiche: ogni governo tenta la propria, puntualmente smantellata dal governo successivo. Servono dialogo con gli studenti e aggiornamento serio degli insegnanti. La politica, senza clamore, si occupi di aumentare gli stipendi dei professori (oggi quasi indecorosi), di allestire biblioteche ricche di libri e laboratori ben attrezzati. Per qualche anno lasciamo che i professori, oggi vessati dalla compilazione di questionari e di moduli e da adempimenti burocratici, possano lavorare tranquillamente, senza assurdità regolative come il famigerato Piano Scuola 4.0 che «intende favorire la transizione digitale del sistema scolastico italiano», redatto in una lingua letteralmente incomprensibile, farcita di tecnicismi e di anglicismi usati a sproposito. Piano Scuola che i malcapitati professori e dirigenti dovrebbero riuscire ad applicare, nonostante il lessico fintamente tecnico che in realtà maschera la fumosità dei contenuti e degli intenti.
La scuola, ben indirizzata, non vessata, è in grado di misurarsi con le sfide richieste dai tempi.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 24 maggio 2024]