di Rosario Coluccia
Molti lamentano la scarsa efficienza del nostro sistema scolastico: libri e convegni seriosi, dominati da pedagogisti onniscienti, propongono le ricette più varie. Si moltiplicano dichiarazioni più o meno reboanti (re-, non ro-, come spesso si sente e si legge), che affermano: «Il mondo della scuola è centrale per il Paese, per lo sviluppo della società: dalla scuola si ricostruisce l’Italia» (Gazzetta del Mezzogiorno, 20 maggio, p. 4). Io, non sapendo offrire soluzioni per l’eternità, mi limito a qualche considerazione per tutti i giorni: solo pochi punti, dettati dal buon senso ma per me cruciali. Perciò intitolerei “Modeste proposte per migliorare la qualità dell’insegnamento scolastico” la rubrica di questa settimana.
1. I voti. La distribuzione dei voti eccellenti (ad esempio i diplomati con lode della maturità) è disomogenea sul territorio nazionale, con medie che in molti casi si discostano anche considerevolmente, verso l’alto o verso il basso, dalla media generale. Domanda: gli studenti bravi si concentrano in alcuni territori e in altri si affollano quelli in maggioranza meno bravi? Sicuramente non è così. Forse, semplicemente, esistono nella scuola italiana criteri di valutazione tra loro diversissimi, che nel loro insieme compongono un quadro scombinato. Una cosa è certa. La qualità dell’insegnamento non si misura con il numero delle promozioni a voti alti. Non rendiamo un buon servizio agli studenti e alla società intera se mettiamo sullo stesso piano chi studia duramente, con fatica, spesso in condizioni economiche disagiate, e chi pretende gli stessi risultati senza impegnarsi. La spinta generalizzata verso l’alto, indipendentemente dalle qualità e dall’impegno, non fa bene alla scuola. Ieri si guardava con ammirazione chi, a prezzo di sacrifici, riusciva a raggiungere livelli elevati di preparazione. Oggi si punta alla percentuale dei promossi con votazioni elevate senza badare ai contenuti reali, complice la pressione di ambienti esterni che spesso rivendicano a priori voti alti per i pargoli incompresi.