Scrive Mauro Marino nell’introduzione: “Un incantamento che riverbera e influenza la musica, la contagia nelle variazioni solistiche e nell’insieme che gioca i suoni della banda per far festa alle parole. Una musica esortativa, viva, presente al Tempo materia con cui Verri si è sempre confrontato”. Marino sottolinea quanto la musica rappresenti una scelta essenziale in quest’ultimo lavoro che porta il nome della più bella esortazione che si possa fare: vivere trasportati dall’incanto, incantare e lasciarsi incantare. Vivere come Verri viveva. E Verri viveva di parole e di musica, amava la musica di John Cage – morto nello stesso anno in cui Verri muore – che si serviva del silenzio quanto delle note: “la musica è in primo luogo nel mondo che ci circonda, in una macchina per scrivere, o nel battito del cuore, e soprattutto nei silenzi”. La teoria di Cage si congiunge perfettamente quell’aspirazione di Verri di fare della poesia il proprio pane quotidiano, di ricercarla in ogni suono e in ogni parola, di servirsi delle parole per giocare, per inventare, per trasgredire, per rifiutare gli schemi, per trovare il proprio posto nel mondo. Come scrive Giorgino, infatti: “Ciò che affascina ed entusiasma, in Verri, è […] il suo immaginario saldamente legato al territorio, che ha dato come risultato un riuscito esempio di equilibrio fra biosfera e semiosfera, fra il territorio che abitiamo e le parole che adoperiamo per rappresentarlo”. Allora non c’è spazio senza parola che possa rappresentarlo. Non c’è parola senza spazio che possa contenerla. Per Verri tutto questo era molto chiaro. Era vitale. E per spazio si intende quello in cui si muovono i passi e quello della mente, della fantasia, in cui la dimensione “ctonia e fiabesca” – come scrive ancora Giorgino – della cultura contadina incontra il lavoro poetico puro, della ricercatezza formale e della sperimentazione letteraria. Verri ha lasciato una traccia perché ha cercato di fare quello che diceva Viktor Šklovskij, scrittore e critico russo: “Se invece di cercare di fare la storia, cercassimo semplicemente di essere responsabili per i singoli eventi che la compongono, forse non ci renderemmo ridicoli. Non la storia si deve fare, ma una biografia”. Verri ha prestato fede a questa responsabilità, ha vissuto con l’impegno di fare la sua biografia, facendo solo quel che lo incantava.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 18 maggio 2024]