La Tredicina e i festeggiamenti per Sant’Antonio di Padova nei secc. XVI-XIX

     In un’ intervista di Sara Melchiori del 14 giugno 2023, il rettore della Basilica, padre Antonio Ramina,  diceva: “Tanti, tantissimi pellegrini”, e ancora: “Chi si rivolge a s. Antonio ha l’espressione di essere ascoltato. E il padre continuava: “Quella a sant’Antonio è una devozione internazionale, senza confini, verso un Santo che attraverso i secoli non perde familiarità e attualità e continua ad attirare fedeli che giungono certi di trovare accoglienza”; e altresì: “Sant’Antonio accoglie e ascolta”.  Padre B.  Perissutti, nel 1796, nel suo libro dal titolo Notizie divote ed erudite intorno alla vita ed all’insigne Basilica di S. Antonio di Padova, scrive: “La festa della solennità è solita a farsi nel giorno  13 giugno e questa festa viene preceduta da 13 giorni di esposizione del venerabile, e divoti discorsi nella suddetta chiesa della Confraternita”.

     Così descriveva la Tredicina e la festa di s. Antonio padre Bernardo Gonzati in Basilica di S. Antonio di Padova. Descritta ed illustrata (vol. II, 1853): “Affinché l’animo dei fedeli si disponga a festeggiare la solennità del gran Taumaturgo, sin dal 1806 si istituì questa che del numero dei giorni ond’è composta chiamasi tredicina. Si onora poi s. Antonio con tredici giorni di preghiere per memoria delle tredici grazie o prodigi che si noverano nel suo responsorio, il quale è fama sia stato composto dal serafico dottore s. Bonaventura. Un oratore dei più lodati tiene ogni sera opportuno sermone, recitansi speciali preghiere, e si chiude con la benedizione del Sacramento già esposto all’altar del Santo. Nota (Prima del 1806 questa funzione si celebrava nel vicino oratorio della Confraternita. Ma questa abolita, alcune devote persone la introdussero a proprie spese nella chiesa per cura segnatamente del padre Francesco Peruzzo, il quale il 16 luglio 1828 ne cedè il carico all’Amministrazione dell’Arca, non senza grande compensazione data alla medesima). Sorge poi splendido sovra ogni altro il dì 13 giugno. Né solamente la città nostra, com’è facile a credere, ma sì ancora le vicine vi prendono parte, da ogni dove accorrendo forestieri ad onorare la sacra tomba. Nei passati secoli, quando i pellegrinaggi formavano parte di religione, da remote contrade traevano uomini e donne, poveri e ricchi a scioglier voti. A’ tempi nostri questa frequenza si è diradata non poco; e solo dal ferrarese, dal modenese e da altri paesi finitimi al nostro Stato, qualche pio drappello di devoti tiene ancor fede all’antico costume.

   Che se taluno amasse d’indagare l’origine della odierna festività, avvegnachè se ne sia fatto alcun cenno nella Parte Storica, noi lo richiameremo a quel notabilissimo avvenimento, mercé cui il sommo pontefice Gregorio IX, trascorso appena un anno dalla sua morte, ascriveva Antonio nel catalogo dei santi.  (Sebbene la canonizzazione fosse proclamata con ogni solennità, l’obbligo di celebrare l’ufficio non fu esteso alla Chiesa Universale se non nel 1585 da Sisto V). Onde Padova che si gloriava di possederne le ceneri, non tardò guari a registrare tra’ più solenni il giorno del beato suo transito. E questa solennità di tanto maggiormente s’accrebbe, allorché nel 1256 i cittadini, liberati impensatamente dalla tirannide di Ezzellino, si confessarono debitori di ogni riportata vittoria al gran Taumaturgo”.

     A tal proposito, padre Angelo Portenari  nel suo libro dal titolo Della Felicità di Padova afferma che dopo 19 anni di tirannia di Ezzelino da Romano la città di Padova veniva liberata il 19 giugno 1256 e “per questo beneficio tanto raro e tanto singolare Padova l’anno 1257 elesse S. Antonio per suo protettore consacrando se stessa col cuore al suo glorioso nome”. […]


Guercino, Sant’Antonio da Padova col Bambino 

   Padre Gonzati continua “Dichiaravasi allora il santo Protettore speciale della Città, ed a perpetuarne insieme colla gratitudine la memoria nei posteri, facendo decreto che nella vigilia della sua festa, le confraternite e i sodalizi dell’arti si portassero tutti sull’ora dei vespri alla Basilica e ciascheduno vi depositasse un’offerta di candelotti e doppieri. E nel venti del medesimo mese in cui cadeva l’ottava, giorno memorabile per la riportata vittoria, il clero urbano e il podestà con la sua curia e tutta la signoria venissero processionalmente  alla nostra chiesa.; ove il vescovo, non che celebrare, costumava altresì di predicare. Coll’andar degli anni si derogò in buona parte a questi pubblici ordinamenti;  così per altro che l’intervento  del Vescovo col suo Capitolo e la processione avessero nel giorno stesso del Santo; e solo si conservò intatto l’uso tuttora superstite, che i monsignori canonici e la veneranda congregazione de’ parrochi si rechino alla Basilica e facciano l’offerta delle cere nel giorno dell’ottava. Nota (Era inveterato costume che nella mattina precedente la vigilia della gran festa, i nostri si recassero processionalmente alla Cattedrale onde invitare alle funzioni suddette i monsignori canonici quando questi si trovavano raccolti nel coro. L’incomoda e poco men che ridicola cerimonia nell’anno decorso venne dismessa, e in quella vece di comune consenso fu stabilito che loro si facesse privatamente cotale invito mentre si trovano radunati in sagrestia).

      Oggidì poi oltre i primi vespri e la Messa, che sono pontificati come dicemmo dal Vescovo e dal Capitolo, in sul finire dei vespri secondi si ordina dai nostri solennissima  la processione che percorre le più attigue e principali contrade.

    Ed ove a taluno prendesse vaghezza di conoscere con quanta e quale sontuosità s’intrecciasse una volta questa sacra pompa, non ha che a leggere il Polidoro che ne la descrive a puntino qual si faceva in sul finir del Cinquecento. I collegi de’ dottori, le compagnie d’arti e mestieri, tutte le più cospicue magistrature, il clero, le congregazioni religiose, ogni ordine di cittadini la rendevano sì numerosa, da somigliar alla marcia d’un esercito vittorioso. E la magnificenza d’ori, di velluti, di sete con che addobbavansi quelle che chiamano tuttavia carrette, la profusione delle cere appariva sì grande, che l’animo de’ riguardanti ne restava non so se più maravigliato o commosso. Tant’era la ricchezza e il fervor religioso de’ nostri antenati”.

     “Pallido rifesso di luce sì viva la processione odierna è però delle più pompose fra quante se ne fanno in Padova e in parecchie delle circonvicine città. Viene aperta dai pargoletti degli asili d’Infanzia che recano gigli o mazzolini di fiori e cantano lodi al gran Santo; seguono i vecchi della Casa di Ricovero; vengon poi le Orfane e Mendicanti, quali vestite di bianco, quelli di nero, e ciascuna con una croce fra le mani. Le scuole, ossia confraternite delle parochie, fanno appresso bella mostra di sé, segnatamente cole preziose reliquie che portano in trionfo sopra dorate lettighe; prima fra esse, e d’ogni altra più numerosa e ricca, quella del Santo. I Minori Cappuccini precedono i Padri Conventuali che, tra lo sfavillare più vivo dei doppieri e il profumo degli incensi, accompagnano il Mento del santo chiuso entro magnifico busto d’argento; e innanzi a questo i musici della cappella vanno alternando lor canti. La R. Università, le Autorità civili, Il Municipio, squadre di militi a cavallo, chiudono il maestoso corteo; a cui tien dietro il servidorame con torce e gran turba di devoti. Però i drappelloni a vari colori spenzolanti dalle finestre, i poggiuoli fitti di uomini e donne con fogge e sembianze tanto diverse, il brulichio della gente che d’ogni dove sbocca e s’accalca, gli atti di devozione del popolo minuto, conferiscono a questa cerimonia un non so qual carattere che tiene del maestoso e solenne. Al rientrare della processione nella chiesa s’illumina la navata maggiore, e il sacro rito è compiuto con conto del responsorio Antoniano concertato a piena orchestra.

      Con questa non hanno poi termine le funzioni istituite ad onorare la festa del Taumaturgo. Poiché i nostri maggiori fin dal 1660 veggendo che ogni giorno più s’accresceva divozione al glorioso Santo, ed in particolare che accorrevano da ogni parte non solo d’Italia ma da paesi più remoti, forestieri, parecchi dei quali si partivan senza aver gustato alcun saggio dei nostri musicali concerti; decretarono , che in ciascun giorno dell’ottava s’avesse a cantar Messa solenne con tutta la musica.

V. Polidoro nel suo libro Religiose Memorie dice:Nel giorno poi dell’ottava il Capitolo della Cattedrale colla congregazione de’ parochi della città si reca processionalmente a visitar l’Arca del Santo, ed ognuno degli intervenuti fa l’offerta di un cereo. Unica rimembranza di quel solenne decreto che dicemmo più sopra essere stato un dì stabilito dall’intera città; e pe ‘l quale la Signoria di Venezia, il podestà, i colleghi delle scienze e delle arti, ogni ordine insomma di cittadini, durò per secoli a tributare questo pubblico segno di peculiare riconoscenza.

    Infine, anche per S. Antonio qualcuno può farsi privatamente una divota novena, dove si propongono per esemplare da imitarsi dai fedeli le celesti virtù di S. Antonio, onde poter col di lui valido patrocinio ottener ognuno le bramate grazie dal Signor Iddio e consolazione spirituale e temporale (Perissutti).

Bibliografia

V. Gamboso,  La vita prima di S. Antonio  o Assidua, Messaggero di S. Antonio, Ed., Padova 1981;

B. Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova. Descritta ed illustrata, Padova, Ed. A. Bianchi, 1853, pp. 422-426;

V. Polidoro, Religiose Memorie, Venetia, Ed. P. Meietto, 1590;

B. Perissutti, Notizie divote ed erudite intorno alla vita ed all’insigne Basilica di S. Antonio di Padova, Padova, 1796, pp. 136-138;

A. Portenari, Della Felicità di Padova, Padova, Ed. Pietro Paolo Tozzi, 1623.

Questa voce è stata pubblicata in Culture, credenze e popoli e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *