Quella letteratura di una volta insidiata dalla superficialità

In quella condizione di effimero e di superficiale viene assorbita anche l’idea di letteratura e di conseguenza la relazione che si stabilisce con essa. Non è più messa in scena e in forma dell’esperienza, della memoria; non è più profondità di concetti, ricerca del senso essenziale, della sostanza dei fatti, delle cose, delle storie; non è più dimensione in cui ritrovarsi, riconoscersi, oppure non ritrovarsi, non riconoscersi con consapevolezza. E’ un diversivo, una distrazione. Cioè l’esatto contrario della sua natura. 

La letteratura appartiene al tempo. Con il tempo si confronta. Al  tempo si conforma. Lo rappresenta, superandolo, caricandosi di caratteri di inattualità che costituiscono la possibilità di rintracciare in un romanzo, una poesia, nuclei di senso che si ripropongono in ogni tempo, in ogni luogo.  Non saprei dire se nei tempi che attraversiamo si intenda ancora questo per letteratura, oppure se per questo concetto  corrono cattivi tempi, come dice Walter Siti. Tempi di linguaggio anonimo, appiattito, come quello dei social per esempio, privo di stratificazioni, che si riduce ad un significante con un superficiale significato,  che esprime soltanto un senso approssimativo e condizionato da un rapporto impersonale e spersonalizzato, dalle espressioni sempre più sintetizzate, essenzializzate  fino all’estremo, frammentarie, discontinue, disarticolate, spesso prive di sequenze logiche, cronologiche. Il linguaggio è l’esito di un assemblaggio di forme e di significati elaborati dalla tecnologia con la sola finalità dell’istantaneità e  del pragmatismo.

Ma è il linguaggio che fa letteratura. E’ la forma che costituisce la sostanza. Dice Walter Siti che la letteratura si deve leggere, necessariamente. La lettura richiede tempo, riflessione, impegno. Richiede anche un restarsene da soli, in disparte. Noi non abbiamo tempo. Non abbiamo disponibilità a riflettere, ad impegnare il pensiero. Allora abbiamo elaborato un’idea di letteratura che non ci richiede l’approfondimento. Allora ci lasciamo richiamare da quei bestsellers  di origine più o meno controllata, usciti da una terapia intensiva di editing, che arrivano nelle librerie a vagonate, scortati  da totem ad altezza d’uomo (alto), reclamizzati all’urbe e al mondo.

Non è facile distinguere che cosa sia letteratura e che cosa invece non lo sia. Oppure è estremamente facile. Basta semplicemente verificare se quella cosa che si è letta abbia cambiato in qualche modo  la propria visione del mondo, il sentimento nei confronti delle creature,  il giudizio sui fatti e sulla storia, se abbia smosso un poco le certezze, se abbia ammorbidito le incertezze, se contenga un frammento di destino, se ti abbia preso a schiaffi per svegliarti o per impedirti di addormentarti. In fondo può essere facile distinguere.  

Basta verificare se quello che dice interessa e coinvolge l’essere e l’esistere, se scandaglia la memoria, proietta fasci di luce verso il futuro, se ricompone macerie, tramuta in presente il passato, se fa sembrare vero quello che è falso, se fa sembrare falso quello che è vero, e vicine le cose lontane, esistenti quelle mai esistite. Se ti appassiona con la sua complessa semplicità.

In fondo basta questo, basta poco.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 19 maggio 2024]

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