Ma, mentre il cugino ritiene che tutto derivi dal “non essere nati prima!”, cioè dal non essere vissuti in un’epoca, quella della Cavalleria, ricca di ideali e valori, Teresa, con un’espressione “leopardiana”, confessa: “O non essere nati mai!” (Corvaglia, 1931: 91).
Anche Aldonzo, che è ancora innamorato di Teresa, è costantemente inquieto, in cerca di qualcosa che gli faccia superare il senso di inanità della vita quotidiana. E nel seguente brano, in cui dichiara di “fingersi” il reale per superare il senso di vuoto sembra di sentire riecheggiare il teatro nel teatro di Pirandello (anche con l’espediente di rivolgersi al pubblico), con il riferimento alla creazione di personaggi che vivono il suo dramma.
Aldonzo (lentamente). M’alimento dell’inane io… dell’amore inane e dell’inane speranza!… Sarei felice se riuscissi a distruggere la ragione che mi dà spietato il senso di questa inanità. Fino ad oggi, ho potuto raggiungere soltanto il conforto delle allucinazioni.
Teresa (anelante). Ah! Un conforto?… Quale?… dimmi…. come fai?
Aldonzo. Fingendomi il reale, (esaltandosi come dietro una visione) così… in azioni immaginarie di commedie…. Nessuno le legge, ma io le vivo… Ci sei in tutte tu. E perché non v’ha nulla in terra che mi appaia degno di starti daccanto in una finzione di vita, creo anche gli uomini del dramma. Ho qui (abbrancica sul petto) una riserva inesausta di materia spirituale… Di qua li impasto. Ci soffio dentro il mio ardore… Vivono. Parlano il linguaggio della mia speranza indefinibile ch’è una follia ragionevole. Agiscono. Con me. Con me piangono tutte le mie lagrime silenziose, perché io lotto in loro… con loro cado… risorgo… sapendo che ogni nuova intrapresa eroica che io sogno è vana!… Ma, anche nell’inane, c’è un bello che consola ed è il dramma in sé, il dramma di questa mia volontà eroica che non ripiega e l’illusione ch’io mi fo di aver qui… qui (si leva in esaltazione e tendendo le braccia verso il pubblico)….di fronte, un pubblico di anime… come se questo pubblico, impazzando con ragione, riviva intiera la tragedia della mia speranza che si conosce indefinibile, (con gli occhi in alto, ispirato) e con me si elevi in alto, in alto, nei cieli dell’assurdo!
(Corvaglia, 1931: 92)
Ai due successivamente si unisce Giovanni, il fratello di Teresa, al quale Aldonzo rivela di essere innamorato segretamente di una donna di cui non rivela il nome. Giovanni però lo invita a mettere da parte il “romanticume” e a essere “più mordace […] più mondano” (Corvaglia, 1931: 98). A questo punto interviene Teresa che suscita la reazione del cugino:
Teresa…. (a Giovanni). Non eccitarlo…. per pietà, non lo vedi? (Con voce sorda). È pazzo…. pazzo!
Aldonzo (scatta, colpito, con brio sforzato, ed in una sconnessione che ha pur il suo senso intimo, animatamente). Sicuro! Pazzo! Ecco la parola! Pazzo sono! (Come in un soliloquio). Del pazzo ci ho che… credo… spero e non so io stesso in che!… Ah! Ah! ma anche lei (equivoca nel riferimento) soffre della mia follia… Già. Quei suoi sbadigli irrefrenabili di cui or ora mi parlavi? Follia sono, follia! Solo che la mia follia è una specie d’asma… un’aspirazione costante, di cui però io rido! (Ride convulso) come i gladiatori feriti nei precordi! io muoio e rido! ah! ah! ah!… (con riso squallido) io muoio e rido! (ride e piange) (Corvaglia, 1931: 98).
Questa discussione termina definitivamente con la processione dei Flagellanti e l’apparizione della statua del Cristo alla colonna, coperto di sangue e di piaghe, di fronte al quale Teresa ha una crisi profonda, scoppia in pianto e scaccia via per sempre Aldonzo.
Teresa (innanzi al primo gradino cade in ginocchio e con strazio si trascina prosternata per la scala, invoca in un anelito :)Gesù!… Gesù!… Gesù!… non risponde!… non risponde!… (È giunta sotto la statua; si leva a metà corpo, e, torcendosi le braccia congiunte, verso il Cristo, con voce rotta invoca):Mio Gesù!…. perché?…. perché m’hai abbandonata? (Scoppia in uno scroscio di singulti e s’abbatte a piangere disperatamente, col capo in terra, fra le mani intrecciate) (Corvaglia, 1931: 106).
Il quarto atto è ambientato nella cattedrale di Burgos nel 1582, l’anno della morte della santa. In quell’anno Teresa fonda proprio a Burgos il suo ultimo convento. L’atto si apre con l’arrivo presso la cattedrale di due strani personaggi che altri non sono che Aldonzo Chisciano, diventato don Chisciotte, e il fedele scudiero Sancio Panza, insultati dalla folla schiamazzante, che si presentano al sacrestano. Il primo, vestito come “un cavaliere da museo”, “a cavallo di un ronzino” (Corvaglia, 1931: 112), si definisce un “cavaliere errante” (Corvaglia, 1931: 121) e quando Teresa gli chiede il nome risponde:
Cavaliere! Cavaliere sono… uno che ha nel cuore una fede viva, un sogno immortale di amore e di giustizia e per quel sogno vive… pena… erra… portando, fra gli uomini, il divino contagio di quest’ansia! (Corvaglia, 193: 122).
A questo punto Alonzo-Don Chisciotte elenca le sue mirabolanti avventure che ritiene tutte “vere”, mentre Sancio le mette in dubbio e anzi ne rivela la vera realtà. E quando interviene il sagrestano della Cattedrale che lui scambia per il mago Frestone, Aldonzo dice:
Aldonzo {con spasimo). No… non mi sono ingannato… ho udito… anche prima… c’è sempre qualcuno… qualcuno c’è! (Con disperazione). Il Reale!… Eco costante, implacabile! Legato alla mia voce ed all’anima mia, m’immiserisce le cose più grandi e me le pone in dubbio! (Con tormento). Mentre sono vere! vere! Io le veggo!…(Aggrappandosi alla sua àncora). Sancio fedele, Sancio Cristiano, dove sei? (Corvaglia, 1931: 125).
Quando ricompare Teresa, Alonzo la riconosce, ma la identifica con Dulcinea, una figura ideale, e per questo viene corretto da lei che ormai si dichiara essere “proprio di Lui!” (Corvaglia, 1931: 127), cioè di Gesù:
Aldonzo (nostalgico, in estasi). Ah! Dolce incantamento!… Mia cugina evocata! Grazie, mago Frestone!… Torna il passato!… Anni lontani! Ah!… Teresa di Cepeda!… Dulcinea è!… Grazie. Tu me la risusciti, o Mago, nelle forme in cui l’amai per la prima volta nella vita… nelle forme e nella voce di Teresa…
Teresa. Teresa!… proprio Teresa sono!
Aldonzo. Teresa o Dulcinea. È lo stesso!… Sempre una!… Sei sempre tu che cangi sembianze in questo scolorato sogno del vivere!… Dulcinea o Teresa, allora e poi sempre tu… Se oggi preferisci apparirmi nelle forme di Teresa, acconsento… dimmi, dimmi come t’è più grato che ti chiami.
Teresa. Teresa di Gesù… ho cambiato nome.
Aldonzo. Anch’io sono ora Don Chisciotte della Mancia, Cavaliere della Trista figura, dominatore dei leoni, errante al tuo servizio, o senza pari Dulcinea! (Corvaglia, 1931: 127).
Alla fine Aldonzo-Don Chisciotte decide di restare pazzo, rifiutando di riacquistare “la stolta saggezza degli uomini” (Corvaglia, 1931: 133) per non vedere il reale, “l’orribile, assurdo reale”. Per questo chiede a Sancio di coprirgli gli occhi con la benda, che è “l’usbergo della sua fede” (Corvaglia, 1931: 127) e che gli nasconde “le apparenze mostruose e deformanti del male ch’è in questo nulla del vivere!” (Corvaglia, 1931: 127):
Aldonzo (se la pone convulso sugli occhi, poi a Sancio che esegue). Annoda… presto… stringi… forte… serra… più forte… ancora è buio… più forte ancora. (Sollevato). Comincio a veder la luce!… m’elevo… volo… per i cieli!… La follia della ragione passa… Ho sognato… incubo orribile! Ecco l’infinito. (Col gesto perso nel vuoto, verso l’alto).Ascolto… (La musica riprende appena percettibile).È la voce degli arcani… Riappare Dulcinea!… Eccola!… Chiama!… (Chiama ebbro levando le braccia in alto). Dulcinea! Dulcinea! Vengo! Vengo! (Poi a Sancio, accennando verso la porta grande). È là… Ci aspetta sulla via… (Cerca di sospingere Sancio innanzi). In nome di Dio, andiamo! (Corvaglia, 1931: 133)
Questa scelta ricorda quella di Enrico IV, protagonista dell’omonimo dramma di Pirandello, che alla fine decide di fingersi pazzo per sempre per sfuggire definitivamente alla realtà “normale”, dolorosa, alla quale non riesce più ad adeguarsi: “Preferii restar pazzo […]: viverla con la più lucida coscienza ‒ la mia pazzia…”, dice nel terzo atto (Pirandello, 1993: 861). Anche per Aldonzo, come per Enrico IV, tornare alla realtà sarebbe stata la vera pazzia. Perciò rifiuta la “Ragione maledetta” (Corvaglia, 1931: 132) e ritrova il suo “mondo” che “è vero” (Corvaglia, 1931: 134). Anche qui, insomma, Corvaglia si rifà all’interpretazione di Unamuno, per il quale, come è stato scritto, chisciottizzarsi significa “accogliere l’intima saviezza della follia” (Bologna, 2005: XXI).
[Relazione presentata al Convegno internazionale Italia y España. Una pasión intelectual. Homenaje al profesor Vicente González Martín (Facultad de Filología de la Universidad de Salamanca, 9-10 maggio 2024); ora nei relativi Atti, Italia y España. Una pasión intelectual, a cura di Manuel Heras García, Salamanca, Ediciones Universidad de Salamanca, 2024, pp. 333-346]
Riferimenti bibliografici
Centro Studi Corvagliano (a cura di) (2021). Luigi Corvaglia letterato, autore teatrale, filosofo e scrittore politico. Atti del primo Convegno nazionale di studi. Lecce: Pensa MultiMedia.
Bologna, Corrado (2005). “Il Cavaliere della Fede che ci fa saggi con la sua follia”. In M. De Unamuno, Vita di Don Chisciotte e Sancio Panza (pp. XIII-XXXIV). Milano: Bruno Mondadori.
Corvaglia, Luigi (1931). S. Teresa e Aldonzo. Bologna: Cappelli.
Foresta, Gaetano (1974). Unamuno e la letteratura italiana: studi. Roma: Edizioni di Dialoghi.
Foresta, Gaetano (1979). Il chisciottismo di Unamuno in Italia. Lecce: Milella.
González Martín, Vicente (1978). La Cultura italiana en Miguel de Unamuno. Salamanca: Ediciones Universidad de Salamanca.
Pirandello, Luigi (1993). “Enrico IV”. In A. d’Amico (a cura di) Maschere nude, vol II. Milano: Mondadori.
Scarcella, Cosimo (2017). Introduzione allo studio di Luigi Corvaglia da Melissano. Tuglie (Lecce): Tipografia 5 Emme.
Unamuno, Miguel de (2005). Vita di Don Chisciotte e Sancio Panza. Milano: Bruno Mondadori.