I deputati della città e i Presidenti dell’Arca non tardarono a radunarsi in consiglio e, di comune accordo, deliberarono di cedere, a così pietose ed autorevoli istanze, dando “uno delle ossa del suo braccio cha ha luogo dalla mano al cubito, reliquia certo preziossima […] che nell’anno 1232 venne inviata dalla città di Padova a Spoleto nella canonizzazione, che del Santo seguì quell’anno nella stessa città, mentre restò il gloriosissimo Antonio il giorno della Pentecoste annoverato fra Santi da papa Gregorio IX; reliquia tanto cara e bramata dai Padovani, che per riaverla dai Signori Spoletini, che la negavano, narrasi per antica, e non contrastata memoria, che non curò la città nostra di esborsare fino in quei tempi a quella Città tre mila ducati, somma allora di denaro così rilevante” (Orsato).
Sartori afferma: “L’11 marzo 1652 i presidenti espongono alla città di aver deliberato di dar solo parte di quell’osso per vari motivi: primo perché recuperata da Spoleto, poi perché molto notoria a tutto il mondo e infine perché S. Serenità ne dimanda parte e non tutta e alla fine si decise di dare due terzi di detto osso. Il Senato Veneto manifesta la sua soddisfazione per l’offerta della reliquia e in data 13 marzo, su espressa richiesta dei cittadini padovani, dei frati, dei rettori della città e dei presidenti della Ven. Arca, decreta “che non possi esser data ad alcuno qualunque portione di reliquia a chi si sia Principe o altri”.
Ancora Gonzati: “Pertanto, nell’otto giugno, giorno anteriore alla traslocazione, accoltisi i signori del Comune, il podestà e capitano, i Presidi dell’Arca, parecchi de’ religiosi e gran turba di popolo, nella sagrestia ove allora si custodiva il tesoro; il Vescovo Giorgio Cornaro, estraendo dall’antico reliquario quell’osso che è il minore dei due che stanno situati tra la mano ed il cubito, chiamato dai pratici il radio, con una lima levonne una gran parte, e questa ripose nel reliquiere a tal fine da Venezia inviato”. Lo stesso Sartori aggiunge che “durante la divisione, essendo stati fatti diversi frammenti et particelle di così insigne reliquia, di questi mons. ill.mo et rev.mo Vescovo fece parte alli detti ecc.mi sigg. rettori et alli medesimi p. guardiano et sig. conte Giacomo (Zabarella, ndr), dalli quali sono stati poi tenuti et conservati con grandissima divotione”. E il notaio fece registrare la deposizione di alcuni testimoni, come il sac. Govanni Battista Alabardi che “con le proprie mani aiutò il mons. a segar quel benedetto osso et videlo a conceder li benedetti fragmenti alli sopradetti p. guardiano et sig. conte Giacomo et però con suo giuramento ha affermato e rettificato esser vero quanto di sopra”. La stessa cosa confermarono Alvise Volpe ed Ottavio Cerati, sacrestani, e i custodi della veneranda Arca, nonché il campanaro Antonio Sguizzero, persone “le quali viddero et possono far fede di questa istessa verità” (Sartori).
Ramazzina sostiene che il conte Zaramella mise i suoi frammenti in un reliquario, lo portò a Bologna (da cui proveniva la sua famiglia d’origine) e lo collocò in una chiesetta nella cappella dei santi Vitale ed Agricola, in cui riposavano le spoglie di alcuni suoi avi; tale cappella fu demolita nel 1798. Il canonico Francesco Dando dell’Orologio donò il frammento ad un suo amico, Lazzaro Lazzaroni, che in quel periodo era arciprete a Zugliano (Vicenza); la reliquia è lì custodita.
Nel mattino del giorno seguente, domenica 9 giugno, data stabilita per il trasporto della reliquia a Venezia; tempo era piovoso e lo storico Orsato così descrive: ”Direi che con le lagrime dei cittadini […] si fossero accompagnate quelle del Cielo mentre egli si rese torbido e piovoso fino alla tredici ore e che la nostra Brenta fosse tutta dal fonte corsa a fermarsi in Padova per venerar quel tesoro, che gli era concesso di condurre a Venezia, mentre fuor dell’usato si rese gonfia così, che fu necessario d’alterar l’ordine stabilito, di portar la Reliquia in barca al ponte San Lorenzo, atteso che le acque ingrossate non permettevan il passar delle barche sotto i ponti della Città”. Poi Sartori asserisce: “Come il Vescovo ebbe celebrato la Messa, sovra ricco altare eretto avanti l’Arca del Santo, a’ piedi delle scalinate, tra i concerti dei musici la processione si pose in via”, dopo la pioggia, verso mezzogiorno. Fu questa aperta secondo l’usato dai due collegi degli orfani e delle orfanelle. Li seguivano tutta la pietà e divozione i padri cappuccini, indi con pari venerazione i padri osservanti riformati, poi i minori osservanti, e finalmente i minori conventuali, tutti con le loro croci e gonfaloni distinti. Seguiva poi il numeroso ed insigne clero padovano; e, “com’è inveterato costume, alla sinistra de’ molti reverendi Signori cappellani, vedevasi il collegio degli eccellentissimi signori filosofi e medici della città con le proprie ed antiche insegne del dottorato; e alla sinistra de’ reverendissimi signori canonici, tutti con tonicelle, pianate e piviali conforme a’ titoli loro adornati, camminava il collegio degli eccellentissimi signori giuraconsulti, pure anch’eglino, come li primi con la pelliccia di vaio sopra le spalle. Dopo seguivano venti padri del Santo coperti di sacre vesti, con torchi accesi nelle mani; indi sotto il baldacchino con la s. Reliquia in mano Monsignor Illustrissimo e Reverendissimo vescovo; intorno al quale con soavissimi concerti davano gloria a Dio ed a S. Antonio li cantori dell’Arca. E dopo il baldacchino seguivano altri venti padri conventuali del loro semplice abito vestiti, ma de’ più stimati nella Religione, pure con torchi accesi. Succedevano poi li Signori Presidenti secolari dell’Arca, accompagnati con li MM RR Presidenti religiosi al posto loro solito e antico. E finalmente chiudevano quella sacra pampa gli illustrissimi ed eccellentissimi signori Rettori con l’assistenza degli illustrissimi Attuali e innumerevole comitiva di nobiltà e popolo di ogni età e sesso. Uscita la processione di chiesa, per la strada detta del Santo, indi per quella de’ Zabarella e di s. Bernardino, direttamente pervenne alla casa del Signor di Vigonza, che per essere posta in riva al fiume che circuisce la nostra città, consentiva che il sacro drappello potesse imbarcarsi e a seconda della corrente proseguire il viaggio sino a Venezia. Quattro furono i burchelli apprestati per l’accompagnamento. Nel primo stavano venti dei nostri religiosi conventuali, vestiti parte di piviali, e parte di tonicelli. Nel secondo, col loro maestro ed un organo, s’adunarono i cantori della cappella, i qual lungo il tragitto, o che si camminasse o si dovesse sostare per l’incontrarsi delle processioni e barche di devoti, quasi continuamente facevano risuonar l’aria di cantici e lodi ad onore del gran Santo, con tanta vaghezza di componimento e soavità di concerti, che traendo l’animo a devota attenzione rapivano dolcemente i sensi. Il terzo, foggiato a modo di tempio, recava in seno la santa Reliquia. E sulla prova di questo vedevi inalberata la croce; e intorno a quel prezioso tesoro i maggiori e più cospicui padri del convento, benedicendo e glorificando Iddio. Da ultimo succedeva la barca su cui erano ascesi i rappresentanti della Città, gli amministratori dell’Arca ed altri gentiluomini assai che s’eran fatti compagni al santo corteo. Questo viaggio fu come uno degli antichi trionfi e più ancora glorioso; giacché per ogni luogo ov’ebbe a passare la sacra comitiva s’udiva un suonare a festa, un eccheggiar d’inni e di canti; e dalle ville, dalle castella, da tutti i circostanti paesi accorrevano sulle rive del Brenta gli abitatori con croci, gonfaloni e doppieri a venerare ed accompagnare per lungo tratto la veneranda Reliquia” (Sartori).
Un vento fastidioso, durante tutto il giorno aveva contrastato il viaggio, “ma – afferma Orsato – “quando era poco discosta la caduta del sole quel vento impetuoso all’arrivo che nella Laguna fece quel tesoro singolare, cessò di subito concedendo quel commodo al viaggio […]. A Lizza Fusina si incontrarono gondole ed altre cento guise di barche riboccanti di gentiluomini, religiosi d’ogni ordine, sacerdoti e devota plebe, si dovette procedere più lentamente, tanto che non si arrivò a Venezia che a notte chiusa. Illuminati i canali, parate a festa le case, suonanti a letizia le campane della città, la piazzetta di s. Marco formicolante di gente. Monsignor Primicerio co’ suoi canonici e la cappella ducale, ricevette dal guardiano del convento il reliquiere, che processionalmente venne portato nel tesoro della insigne Basilica, finché con altra e non meno grandiosa solennità lo si trasferì alla chiesa della Salute”.
Lo storico Mons. Antonio Niero così descrive l’avvenimento: ”Le difficoltà poste dai Padovani non furono di poco (forse fa riferimento al decreto del 13 marzo 1652, ndr) e prosegue “il reliquario da S. Marco fu condotto con processione solenne dal Doge, dal Senato, dal Clero e popolo lungo un ponte di barche gettato sul Canal Grande sino alla Basilica della Salute il 13 dello stesso mese”.
Frate Massimiliano Potassini del Messaggero di Sant’Antonio scrive a proposito del decreto della Repubblica Veneta del 13 marzo 1652: “un documento provvidenziale perché cinquant’anni dopo nel 1696 la Serenissima richiede un’altra reliquia per conto della Spagna; grandi le proteste della città che, infine si rifà al decreto del 1652”.
Nell’archivio Sartori si legge in data 23 ottobre 1696: “essendo divulgato nella città di Padova, che la Maestà della Regina di Spagna haveva fatto porger istanze alla Publica Maestà dell’Ecc.mo Collegio per ottenere una delle reliquie del glorioso S. Antonio che si trovano nel di lui Santuario di Padova ‘ si è commossa tutta la città sul dubio di vedersi spogliata delle sue più preziose suppeletili, , onde è parso bene dalli Rappresentanti di essa Magnifica Città di informar gli Ecc. mi Savij d’un decreto dell’Ecc.mo Senato qui appunto annesso del 1652 col qual vien vietato di dare ad alcun Principe estero portione alcuna di Reliquia del glorioso S. Antonio”.
Sartori: “E allora un cittadino divoto del santo (che non si firmava se con le lettere N.N., ma probabilmente era un frate del santo, ndr) così ispirato dal medesimo ha pensato di ricorrere all’autorevole Padrocinio dicendo ‘la divotione del Santo è dilatata per tutto il Mondo vedendosi giornalmente da tutte le parti Pellegrini e Divoti ad adorare la sua Sacra Tomba, il che apporta tant’utile, e fregio ad una Città Suddita e fedele al suo principe, e che vedendosi spogliare d’una parte del suo prezioso Tesoro sentirà con dolorosa passione, e con gemiti, e singulti manderà le grida al Cielo per impietosire il Cuore del Religiosissimo Senato’. E ancora: “se V. E. voglia difendere una causa così pia, e giusta per la città di Padova, è humilmente supplicata V.E. ben certa di godere la ricompensa del gran Santo de Miracoli, che abbandonò la Spagna per morire in Padova, ove con le ceneri lasciò la Sacratissima Lingua incorrotta per tanti secoli, e le sue sacre ossa senza cha alcuna altra città fuori che la Dominante habbi sin hora partecipato Reliquia alcuna”. E il Signore continuava: “dagli altri santuari d’Italia, come dalla Santa Casa di Loreto, dal santo Sudario di Turino, d’Assisi, da S. Nicola di Tolentino, da S. Carlo Borromeo, non s’è mai inteso, che sijno state levate Reliquie di sorte alcuna, ma ben custodite con infinita gelosia”. “ E ancora: “se la Serenissima Repubblica chiedesse alla Corona di Spagna qualche reliquia del Santuario di Compostella di S. Giacomo di Galitia, o da Goa dove riposa il prezioso Corpo di S. Francesco Xaverio è molto probabile che la risposta fosse accompagnata da una gentilissima nagativa conforme l’uso della Natione Spagnola”. Si mossero anche i Deputati della fedelissima città di Padova e i presidenti della Ven. Arca rivolgendosi al Senato della Serenissima dicendo che dando la reliquia alla Regina di Spagna “sarebbe un opponersi a Santi voleri di S. Antonio, quando si diffondessero le reliquie tra nationi straniere”. […] E per verità, serenissimo Principe, chi concedesse alcuna di queste grazie ad una qualche Corona, non si darebbe poi il modo, né si saprebbe come negarla ad un’altra che la supplicasse; cosa che riuscirebbe di tanto discapito del culto, e della veneratione quanto può ben comprendere l’infinita intelligenza della Serenità Vostra”. (Sartori)
Il 22 dicembre 1696, il doge di Venezia, Silvestro Valier, insieme al potestà di Padova, Andrea Navagero e Barbono Mauroceno, capitano, accoglie la richiesta di Padova, mantenendo fede a quanto deciso col decreto del 13 marzo 1652 (Padre Potassini).
Infine, la reliquia veneziana fu autenticata da una perizia svolta il 7 luglio 1989 che stabilì che quell’osso apparteneva allo scheletro di S. Antonio presente a Padova.
In occasione delle tradizioni inerenti alle celebrazioni per S. Antonio, su invito del Rettore della Basilica del Santo a Padova, il Patriarcato di Venezia e il Comune di Venezia hanno collaborato all’organizzazione della “peregrinatio” di S. Antonio, durante la quale la più insigne reliquia del Santo, custodita al di fuori di Padova, tornò in questa città, il 13 giugno 2021; partì dalla Basilica della Salute e, via terra con i mezzi dell’arma dei Carabinieri, arrivò a Padova dopo aver fatto sosta all’Ospedale dell’Angelo a Mestre, alla chiesa di S. Antonio a Marghera e all’Ospedale di Dolo. La pandemia Covid-19 nel 2021 aveva fatto emergere la rievocazione di tale evento. La reliquia del Santo tornava a Padova dopo 369 anni.
Il 20 giugno 2021, dopo una settimana di “prestito” a Padova, la reliquia di S. Antonio tornò a casa, precisamente all’interno della Basilica della Salute. Dopo la messa delle ore 11, la Reliquia lasciò la Basilica verso le ore 12 e, imbarcatasi al Portello, per via fluviale, il Brenta, tornò in laguna facendo sosta nei paesi di Strà, Dolo, Mira, Oriago, e poi lungo il Canal Grande per arrivare alla Basilica della Salute ed essere accolta dal patriarca Francesco Moraglia. In occasione di tale rievocazione il Comune di Mira (Venezia) proiettò in prima assoluta il doc-film “A.D. 1221.Il primo cammino di Antonio” di Michele Carpinetti e Roberto Massaro, in occasione dell’800° anniversario dell’arrivo di Antonio in Italia.
Bibliografia
Archivio Sartori, Documenti di storia e arte francescana. Basilica e convento del santo, Vol. I, a cura di padre G. Luisetto, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983, pp 751-756;
B. Gonzati, La Basilica di S. Antonio, Ed. Bianchi, Padova, 1853, vol.II, pp. 433-435;
A. Niero, I Santi Patroni, in “Culto dei Santi a Venezia”, Biblioteca Agiografica Veneziana, Studium Cattolico Veneziano, vol. II, 1965, pp. 77-98;
S. Orsato, Le Grandezze di S. Antonio di Padova, Padova, 1653;
www.padovasorprende.it, E. Ramazzina, La Serenissima decretò: Sant’Antonio speciale protettore di Venezia, 8 settembre 2020;
www.messaggerosantantonio.it, Frate Mssimiliano Potassini, Una reliquia per Venezia, 8 gennaio 2024;
www.padovasorprende.it, E. Ramazzina, Giacomo Zabarella e le reliquie antoniane, gennaio 2022.