Nel Fedro di Platone, Socrate racconta che il dio egiziano Teuth aveva inventato i numeri, il calcolo, la geometria, l’astronomia, il gioco del tavoliere e dei dadi, le lettere dell’alfabeto. Un giorno si presentò al cospetto del faraone Thamus per illustrargli le sue invenzioni. Quando toccò alla scrittura, disse che quella avrebbe fatto gli uomini più sapienti e con più capacità di ricordare. Ma Thamus rispose che non era assolutamente vero, che le lettere avrebbero prodotto dimenticanza, per mancanza di esercizio della memoria. Perché gli uomini, fidandosi della scrittura, avrebbero ricordato le cose dall’esterno, attraverso segni estranei. Sarebbero stati informati di molte cose ma senza insegnamento, sarebbero sembrati eruditi pur essendo ignoranti, e saccenti anziché saggi.
Ma il re Thamus non aveva ragione. Molte cose sarebbero state cancellate dal tempo se la scrittura non ne avesse custodito la memoria. Lo sviluppo di qualcosa è sempre ed essenzialmente il risultato di un adeguamento, una calibratura, una sorta di intesa con il tempo e le circostanze storiche e culturali.
Ora bisogna trovare un’intesa con il tempo della tecnologia. Non ha senso, non ha nessun senso dividersi tra apocalittici e integrati.
Trovare un’intesa significa molte cose. Per esempio vuol dire non subire la tecnologia ma imparare a governarla.
In fondo l’abbiamo inventata con il nostro pensiero, per cui possiamo riuscire a gestirla come vogliamo, possiamo riuscire anche a neutralizzarla quando vogliamo. Possiamo usarla per farci del bene, come spesso accade. Possiamo evitare che ci faccia del male, perché anche questo altrettanto spesso accade. Ma per scegliere si devono possedere cognizioni e strumenti che consentano di farlo. Si ha bisogno di un pensiero capace di selezionare. Così si ritorna alla domanda su quali possano essere i saperi essenziali e alla difficoltà di trovare una risposta.
Ma forse si potrebbe anche dire che ci sarà bisogno di un sapere trasversale, mobile, fluido, capace di ridefinirsi e di riorganizzarsi continuamente, aperto a concetti e significati nuovi, disponibile a mettere a soqquadro l’acquisito, ad accogliere nuove espressioni, nuovi linguaggi, nuove prospettive, a riformulare conoscenze, a rigenerare competenze, a confrontarsi costantemente con l’esperienza –anzi, l’avventura- dell’esplorazione di territori sconosciuti.
Forse si potrebbe anche dire che servirà una conoscenza che sia capace non solo di andare oltre se stessa ma anche di rinunciare alle sue strutture per rifondarsi su strutture diverse.
Forse, probabilmente, sicuramente, servirà una conoscenza che riesca ad integrare le storie che sono state con quelle che attraversano il presente, ma, soprattutto, che sappia interpretare i segni di futuro che il presente proietta all’orizzonte.
Servirà questo, forse. Oppure servirà altro che ora si sottrae anche alla nostra capacità di immaginazione.
“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 12 maggio 2024