Padre Leopoldo Mandic nacque a Castelnuovo Di Cattaro, in Croazia, il 12 maggio 1866 da Piero Antonio e da Carolina Zarevic. Battezzato il giorno seguente, gli furono imposti i nomi di Giovanni Adeodato. Ultimo di dodici fratelli, crebbe in una famiglia religiosa. Frequentò le scuole elementari pubbliche e la scuola privata dei Frati Minori, che erano approdati a Castelnuovo come cappellani militari sulle navi della Serenissima. In questo ambiente maturò la vocazione religiosa e poi chiese di essere accolto fra di loro. Nel 1882 passò al Seminario dei Cappuccini di Udine dove rimase due anni completando gli studi ginnasiali e comportandosi sempre lodevolmente tra la meraviglia di tutti: “compagni e superiori molto perplessi, non sembrava adatto allo studio e alla vita cappuccina […] lui piccolo di statura, di costituzione gracilissima, un po’ stentato nel camminare “, così scrive il prof. Rubaltelli.
Il 2 maggio 1884, a diciotto anni, veste l’abito religioso dei Cappuccini, scelse il nome di Leopoldo e venne inviato a fare il noviziato a Bassano del Grappa. Il 3 maggio 1885, dopo l’anno di noviziato, emise la professione dei voti, e il giorno dopo ritornò a Padova nel convento di Santa Croce rimanendovi fino al 20 ottobre 1888, quando emise la professione solenne. Passò poi al convento del SS. Redentore di Venezia e qui il 20 settembre 1890 fu consacrato sacerdote dal patriarca Card. Domenico Agostini nella basilica della Madonna della Salute. Il Ministro generale dell’ordine gli diede le facoltà di confessare e predicare, ma la vocazione di fra Leopoldo Mandic era “andare missionario in Oriente, tra la sua gente”. La domanda non fu accolta a causa della sua salute cagionevole. A Venezia rimase sette anni e nel 1897 ricevette l’obbedienza di recarsi a Zara come superiore del piccolo ospizio cappuccino. Nel settembre 1900 fu richiamato nel Veneto e destinato al convento di Bassano come confessore. Da qui, dopo cinque anni, fu trasferito al convento di Copodistria e dopo un anno al convento di Thiene. Il 6 ottobre 1909 venne destinato come confessore al convento di Santa Croce a Padova. Nell’ottobre 1916 padre Leopoldo fu costretto a partire per disposizioni di polizia, in quanto cittadino dell’Impero Austro-Ungarico e venne mandato al confino nell’Italia meridionale, precisamente in Campania dove cominciò a girare per diversi conventi come Atri, Nola, Tora. È probabile che in quel periodo padre Leopoldo abbia incontrato padre Pio da Pietrelcina, che durante la prima Guerra mondiale era stato assegnato come cappellano militare alla 10° Compagnia di Sanità di Napoli, ma fu riformato nel 1918 per broncopolmonite doppia. Quindi, tra il 1917 e il 1918 a Tora o a Nola i due cappuccini si sarebbero incontrati secondo la testimonianza giurata di padre Venceslao di S. Martino di Lupari (Padova): “mi trovai un giorno circa nel 1941, con padre Pio di Pietrelcina per le mie funzioni di economo generale. Padre Pio mi disse: ‘voi cappuccini veneti avete tra voi un santo e vedrete che prestò sarà canonizzato. Padre Pio aveva conosciuto personalmente padre Leopoldo quando era stato internato nell’Italia meridionale durante la prima guerra mondiale’ (da Leopoldo e l’incontro con padre Pio del giornalista Giovanni Lugaresi, Gazzettno, 20 luglio 2019).
Padre Leopoldo tornò a Padova il 27 maggio 1919 e qui rimase fino alla morte, che lo colse il 30 luglio 1942. A Padova aveva “una piccola stanzetta, adiacente alla chiesa dei cappuccini, e questa “divenne il campo del suo meraviglioso apostolato: la confessione”. E Rubaltelli cosi dice: ”Vi attendeva tutta la giornata, senza mai un’ora di riposo, senza mai una vacanza nonostante il torrido calore d’estate e il freddo intenso d’inverno […] e tutto nel silenzio più assoluto, nel nascondimento più profondo. Nessun chiasso intorno a Lui. Egli pregava il Signore di poter fare tanto del bene, ma in modo che nessuno lo sapesse”. A 76 anni, un tumore all’esofago pose fine alla sua vita la mattina del 30 luglio 1942, mentre si stava preparando a celebrare la messa. Negli ultimi tempi la sofferenza della malattia, la guerra, le deportazioni lo facevano diventare sempre più “diafano, più curvo, più rattrappito e […], gli occhi si facevano sempre più gonfi […], ben presto lo presero svenimenti e il suo corpo non reggeva alla fatica di continuare la sua opera di medico delle anime”. Fu anche ricoverato per qualche giorno, ma i medici “avendo diagnosticato un’avanzata neoplasia dell’esofago che per l’età, la sede, il volume, il grave deperimento dell’ammalato non lasciava alcuna speranza di guarigione né con trattamento medico, né con quello chirurgico. Si limitarono a trasfusioni di sangue […] ed ebbe inizio così quel tremendo calvario che è la morte per fame”. Padre Leopoldo, rimessosi un poco, volle tornare al suo convento.
Alla sua morte la fama delle sue virtù si diffuse in tutto il mondo; la sua figura minuta, fragile, tormentata da tanti dolori (soffriva anche di artrosi), appoggiata perennemente ad un bastone, con la barba bianca fluente era familiare non solo ai padovani ma in tutto il mondo; un frate di infinita bontà e di eccezionale misericordia. Nel gennaio del 1946 si aprì il processo per la sua beatificazione e il 2 maggio 1976 papa Paolo VI, in piazza S. Pietro, lo proclamò beato, mentre il 16 ottobre 1983 papa Giovanni Paolo II lo canonizzò dopo solo 41 anni dalla sua morte.
Padre Leopoldo considerava l’uomo una sola realtà corporea e spirituale al tempo stesso, come diceva san Tommaso D’Aquino (1224 – 1274), ed egli diceva al prof. Rubaltelli nei confronti dell’ammalato-penitente: “dava molta importanza al portamento, all’andatura, al modo di presentarsi, alla ricercatezza o trascuratezza dell’abbigliamento, alla capigliatura, allo sguardo, al colorito del viso. Questi dati diceva il Padre, mi illuminano sulle disposizioni del mio ammalato, sullo stato d’animo o sul modo come iniziare il colloquio con il mio penitente”. Padre Leopoldo aveva una profonda stima per i medici e il prof Luigi Gedda, presidente della Associazione Medici Cattolici Italiani, nella presentazione del libro del Prof. Rubaltelli “San Leopoldo Mandic. Santo della riconciliazione” riferisce del rapporto tra sacerdote e medico e scrive: “Il sacerdote e il medico si trovano così spesso assieme al letto del malato […]; compito del sacerdote è di riparare al peccato, mentre compito del medico è di riparare alla malattia; sacerdote e medico hanno motivo di ritenersi complementari nell’assistere l’uomo perché la loro missione fa parte integrante nella storia dei rapporti fra Dio e l’umanità”. E ancora Rubaltelli afferma: “riferendosi alla mia professione di medico, spesso mi raccomandava di aver cura del bene spirituale dei pazienti, osservando che noi medici possiamo far molto se vogliamo”.
Il 14 maggio 1944, verso mezzogiorno, fu bombardata la chiesa di s. Leopoldo; furono 5 le bombe aeree nemiche; una cadde sulla chiesa; due colpirono il convento di s. Leopoldo, che era morto due anni prima; le altre due caddero vicino al rifugio dove si erano nascosti i frati. In quella occasione non ci furono vittime tra i frati, ma la chiesa e il convento furono alquanto danneggiati. Tra le macerie furono trovate intatte la statua della Vergine Immacolata, a cui padre Leopoldo era molto devoto, e la sua celletta-confessionale. La flotta aerea era formata da 36 velivoli B24 Liberator del 461° gruppo bombardieri, che operava nella zona mediterranea nel quadro della 15ma Air Force americana. Gli aerei, partiti dalla base di Torretta vicino a Cerignola (Foggia), dovevano bombardare la stazione ferroviaria di smistamento di Padova “Campo Di Marte”, ma furono intercettati dalla contraerea e sganciarono le prime bombe colpendo gli orti di via Delle Rose e via Tre Garofani, dove vi furono 11 vittime.
San Leopoldo anni prima aveva previsto: “la chiesa e il convento saranno colpiti, ma non questa celletta. Qui Dio ha usato tanta misericordia alle anime: deve restare a monumento della sua bontà”. E a proposito padre Giovanni Lazzara, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, direttore e redattore del mensile “Portavoce di san Leopoldo Mandic” sul n.4, maggio 2024, riporta un articolo dal titolo “80 anni fa bombe su Padova” e scrive che in base ”al resoconto militare americano le devastanti bombe che distrussero la chiesa di padre Leopoldo dovevano essere tra quelle che mancarono l’obiettivo. Poteva capitare. E, purtroppo, capitò”.
A ricordo di questo bombardamento esiste una lapide murata all’esterno della celletta-confessionale, dove è scritto: “Qui s’arrestò la furia demolitrice delle bombe nell’incursione del 14 maggio 1944”.
Nei mesi precedenti c’erano stati altri bombardamenti a Padova, come quello dell’11 marzo che danneggiò la chiesa degli Eremitani distruggendo gli affreschi di Andrea Mantegna (1431-1506) nella cappella degli Ovetari; e nelle notti tra il 22 e il 24 marzo furono colpiti il seminario, la cattedrale, l’ospedale psichiatrico, il cimitero maggiore e abitazioni del quartiere Arcella, nei pressi della stazione ferroviaria di Padova, ed altre zone padovane.
Di fronte alla celletta-confessionale si trova la cappella dove dal 1963 riposano le spoglie del Santo, che dopo la sua morte era stato seppellito al Cimitero Maggiore di Padova; la tomba dal 2016 è in ostensione pubblica e meta di continuo pellegrinaggio. Nella cappella è esposto il reliquario contenente la mano destra del Santo per ricordare le innumerevoli volte che essa si è alzata per assolvere, benedire e consolare. La mano era stata prelevata nel corso della seconda ricognizione del 1976 (3-12 febbraio) eseguita dal prof. Virgilio Meneghelli, ordinario di Anatomia Umana dell’Università degli studi di Padova (e sarà il presidente della Commissione per la ricognizione del corpo di S. Antonio nel 1981) su ordine del vescovo padovano Bortignon. La prima ricognizione era stata fatta il 24 febbraio 1966, esattamente 24 anni dalla sua morte ed aveva rivelato il corpo completamente intatto. La terza ricognizione è stata effettuata dal 15 al 19 gennaio 1982.
Nel 1966 il prof. Rubaltelli ha scritto una breve biografia del futuro S. Leopoldo con un sottotitolo che definisce padre Leopoldo “un grande clinico dell’anima nella città dei sommi clinici”, e cita Andrea Vesalio (1514-1564), Gabriele Falloppio (1523-1562), Girolamo Fabrici D’Acquapendente (1533-1619), Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), Bernardino Ramazzini (1633-1714), Achille De Giovanni (1846-1924), inoltre scriveva che padre Leopoldo aveva quello che i medici chiamano “l’occhio clinico”.
E papa Paolo VI, al momento della beatificazione, usava queste significative parole: “il B. Leopoldo è S. Francesco in mezzo a noi” […] è il beato eroico e taumaturgo, è il confessore eroico e carismatico, grazie a voi francescani, onore a voi figli della Croazia, la consegna ai Padovani di un dissimile fratello di S. Antonio”. E Giovanni Paolo II nel 1983, in occasione della canonizzazione, usava queste parole: “San Leopoldo servo eroico della riconciliazione, la grandezza nell’immolarsi, era il confessore, era una donazione quotidiana, era in continua preghiera” e rivolgendosi al prof. Enrico Rubaltelli di Padova, penitente, medico ed amico del Santo, lo ringraziò per la cura prestata al nuovo Santo e si congratulò per quello che scrisse su di lui quale clinico dello spirito. Il 12 settembre 1982, in occasione della sua venuta a Padova, Giovanni Paolo II sostò in preghiera davanti all’urna miracolosa di San Leopoldo Mandic, nella chiesa dei Cappuccini, presso il Prato della Valle. ”Fu un momento privilegiato per me poter venerare le spoglie mortali di quel piccolo e grande santo, croato di nascita e padovano per adozione, che in circa quarant’anni di ministero nel confessionale divenne costante punto di riferimento del Veneto e dell’Italia per quanti erano desiderosi di trovare o di ritrovare il Signore nel sacramento della sua misericordia”.
L’ultima ricognizione di San Leopoldo è dal 6 ottobre al 30 novembre 2015, fatta da una equipe medica guidata dal Prof. De Caro dell’Università di Padova e da un gruppo di esperti: Paola Scalella, Silvia Chiarelli, Veronica Macchi, Andrea Porzionato, tutti docenti dell’Università del medesimo ateneo. Si trovarono davanti ad un corpo mummificato, ma con tecniche avanzate furono travate ancora parti intatte del cervello e del cuore, l’ artrosi deformante delle mani e dei piedi, la spondiloartrosi della colonna vertebrale.
Papa Francesco ha voluto in Vaticano le sue spoglie insieme a quelle di San Pio da Pietrelcina nell’anno del Giubileo della Misericordia del 2016, additando entrambi i Santi come modelli di misericordia. Padre Pio da Pietrelcina a padre Venceslao da S. Martino di Lupari (Padova), nel 1945 disse: “Padre Leopoldo era veramente un santo”.
La chiesa lo ha riconosciuto protettore dei malati di tumore con decreto dell’11 febbraio 2020, riconoscimento che arriva dopo un lungo iter iniziato nel 2016 da una prima domanda inoltrata dal vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, a seguito della richiesta dei padri cappuccini e di un gruppo di medici padovani, nonché una raccolta di firme che ha raggiunto le 69.758 sottoscrizioni.
Nel 2020 è stato girato il film “Sulle mie spalle” di Antonello Belluco, in cui si raccontano le confessioni di un uomo pronto a togliersi la vita di fronte alle difficoltà economiche, la cui anima viene salvata da padre Leopoldo Mandic, un piccolo frate cappuccino capace di toccare la vita di un’intera città. Il titolo del film riprende una frase che il Santo ripeteva spesso a chi si rivolgeva a lui, spesso in situazioni di difficoltà e diceva: “Butta tutto sulle mie spalle”.
La chiesa, ricostruita e completata nel 1947, venne consacrata il 14 maggio 1950, in occasione del 6° anniversario del bombardamento e della consacrazione a vescovo di Padova del padre cappuccino Girolamo Bartolomeo Bortignon (1905-1992).
Enrico Rubaltelli (1898-1986), era medico specialista in otorinolaringoiatria; dopo dieci anni di attività universitaria a Padova e dopo aver acquisito la docenza universitaria, svolse la sua attività principalmente come primario degli ospedali di Rovigo, Monselice, Conselve e Quest’ultima diventava sempre più impegnativa e allora rinunciò all’attività a Monselice, Conselve, Camposampiero e mantenne il primariato di Rovigo fino al pensionamento. Padre di otto figli, è stato molto impegnato anche come medico-morale e medico-sociale; ha ricoperto la carica di vicepresidente nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani e di vice presidente diocesano dell’Unione Uomini Cattolici, delegato Regionale per le Tre Venezie dei Medici e degli Uomini Cattolici. Pio XII lo insignì dell’Ordine di S. Gregorio Magno.
Bibliografia
F. da Riese, Pio X Servì i peccatori per l’Unità della chiesa, San Leopoldo. Detti e testimonianze, Edizioni Portavoce di San Leopoldo Mandic, Padova 2004;
G. Lazzara, 80 anni fa bombe su Padova, Portavoce di san Leopoldo Mandic, Associazione Amici di san Leopoldo, Padova, n. 4, maggio 2024;
E. Rubaltelli, Dio è medico e medicina. Padre Leopoldo nel mondo della sofferenza, Orizzonte Medico, n.8, agosto 1947;
Idem, San Leopoldo Mandic, santo della riconciliazione, Opera San Leopoldo Mandic, Convento Cappuccini, Padova 1966;
Id., Padre Leopoldo visto da un medico, Padova, 1966.