La nostra sapienza, di noi appartenenti alla specie dell’homo sapiens, ci ha insegnato a considerare tutti gli animali non umani alla stregua di mera sostanza alimentare, cibo nutriente atto a soddisfare la nostra fame. L’ingratitudine umana verso le piante è infinita, poiché non vale a salvarle il loro essere benemerite per l’ossigeno che forniscono al nostro respiro; né sembrano sufficienti a ripagarle, da parte nostra, le opere di rimboschimento che raramente le autorità pubbliche programmano e realizzano; e così è infinita la nostra crudeltà nei confronti degli animali, maiali, ovini, bovini, polli, ecc., mera carne da macello che finisce sulle nostre tavole. Forse che accudire come un figlio il nostro gatto o il nostro cane, con periodiche costose visite veterinarie e con cibi sopraffini, ci emenda dagli orrori dei lager dove sono concentrati i viventi non umani pronti per la macellazione?
Osservo l’uomo che porta a spasso il cane nelle vie cittadine e si china a raccogliere in un sacchetto di plastica le deiezioni che inopinatamente questi deposita per terra: certamente quest’uomo è degno di rispetto, di ammirazione e di encomio, poiché non solo opera con spirito civico, ma manifesta nei confronti del suo compagno non umano un’attenzione estremamente cortese. Ma poi, a casa, dopo la lunga passeggiata, lo attende una bistecca di manzo cotta al punto giusto, cioè un po’ al sangue. Confronto le due scene e mi stupisco dell’abisso che si spalanca tra di esse. Tra l’amore riservato al cane e la carne da macello c’è l’abisso insondabile dell’uomo, che agli animali non umani riserva un trattamento così diseguale. In realtà, il cane è per noi come un figlio, mentre il manzo è solo cibo che ci nutre. La nostra percezione degli altri esseri viventi è condizionata dalle nostre necessità, a cui subordiniamo l’intera vita del pianeta. A questo schema non si sottrae la geopolitica. Infatti, quando siamo in guerra, ci comportiamo così anche con i nostri simili, che consideriamo bestie selvagge, meritevoli della morte. Non turba più di tanto le nostre coscienze sapere che a Gaza negli ultimi sette mesi sono morti più di 35.000 palestinesi sotto i bombardamenti israeliani perché quelle persone, per il suprematismo bianco, sono subumani (o non umani che dir si voglia), a cui, tuttavia, vanno concessi gli aiuti umanitari. Pertanto, il rapporto tra gli uomini non è poi così diverso dal rapporto tra gli uomini e i non umani.
Mi viene in mente l’episodio del vegetariano nel Giorno di Giuseppe Parini, nel quale il poeta milanese racconta la storia de la vergine cuccia de le Grazie alunna, una cagnolina a cui un servo aveva osato istintivamente dare un calcio per sottrarsi al suo morso; la padrona, una nobildonna lombarda, la vendica, non esitando a gettare sul lastrico l’intera famiglia del reo, trattata alla stregua di non umani.
Ci sono dei momenti nei quali la mia gatta mi guarda fisso negli occhi e miagola e mi chiede qualcosa. A volte la capisco a volte no, ma quando mi guarda fisso negli occhi e miagola, io penso che il suo linguaggio valga quanto il mio, né più né meno, e che lei capisca di me quanto io di lei, al di là d’ogni pensiero filosofico, al di là della scienza, della matematica, della letteratura, della storia; cioè, in fin dei conti, ci intendiamo. Capiamo entrambi di essere dei viventi e ci specchiamo nelle nostre pupille. Poi la vedo arrivare con un topolino in bocca ancora vivo: lo depone per terra e ci gioca prima di farmene un regalo, secondo la sua indubbia intenzione; ma io sono così debole di spirito, così misericordioso (lo sono diventato con gli anni), e forse per lei irriconoscente, che rifiuto il regalo e cerco di salvare il topolino mentre la gatta mi guarda e non capisce. E a me viene da pensare che lei abbia ragione ed io torto, che la mia pietà non valga la sua voglia di farmi un regalo. Che gran guazzabuglio è il cuore umano, direbbe Manzoni!
Quando in campagna pianto un albero mi sento felice. Avverto, cioè, un sentimento di contentezza, come se avessi adottato un vivente e gli avessi dato un posto nel mondo: continuerà a vivere anche dopo di me. Non so se l’albero sia contento della mia azione, questo proprio non lo so, ma intanto la sua gratitudine è assicurata: mi ricompenserà con ossigeno, frutti e ombra, e questo mi basta per dire che egli è un mio pari e che gli devo rispetto e cura, come a qualsiasi altro essere vivente.