di Luigi Scorrano
Da tempo le cronache si nutrono di fatti delittuosi raccapriccianti o tali da solleticare una curiosità troppo vorace, malata. Protagonisti di quei fatti sono dei giovani, studenti “modello” a volte; giovani che hanno alle spalle solide famiglie, che godono di un notevole benessere economico.
Perché, dunque, sono proprio loro a coltivare un istinto omicida e a guardare con preoccupante, e fin cinica, indifferenza il risultato delle proprie azioni delittuose? Si suppone, ma talvolta lo dicono i direttamente interessati, che siano spinti dal desiderio di provare emozioni “forti”. Sperimentato troppo presto un po’ di tutto, l’audacia di un passo più in là, di un atto più “forte”, o di un atto estremo, appare una tappa quasi inevitabile. Quel che si è realizzato non basta ancora; occorre vedere che cosa accade se ci si inoltra, un passo dopo l’altro, nel territorio del male.
Ci sono storie che lasciano allibiti, increduli; inutile volerne indicare di particolari dal momento che non c’è che l’imbarazzo della scelta e ognuno può pensare al fatto che più lo ha impressionato. Occorre, però, ritrarsi dalla dolorosa meraviglia e soffermarsi, invece, a considerare che cosa abbia comportato un mutamento epocale rapido e deciso, che ha smarrito il senso della gradualità e tutto consuma senza attribuire valore a nulla o senza distinguere né stabilire una qualche possibile scala di valori.