Certo, l’innovazione richiede coraggio, un coraggio culturale, che è come qualsiasi altro tipo di coraggio: che se uno non ce l’ha non se lo può dare. Quando in un tempo lontano lontano, in qualche luogo forse vicino, forse lontano, ci fu qualcuno che ebbe il coraggio – culturale- di provare a camminare su due zampe, gli altri prima pensarono che si sarebbe fatto male, che non era in quel modo che si poteva camminare, poi lo imitarono. Lo considerarono un leader. Ha detto una volta Steve Jobs che è la capacità di innovare che distingue un leader da un epigono.
Questo vale in ogni campo: per ogni arte e per ogni scienza, per la pittura, la poesia, l’insegnamento. Se il pittore non introduce elementi nuovi nella pittura che pittore è; se il fisico non sperimenta nuovi modi di guardare l’universo, che scienziato è; se l’insegnante non adotta nuovi metodi di insegnamento, che insegnante è.
E’ l’innovazione che produce lo sviluppo e il progresso delle civiltà. Sono stati gli innovatori che hanno scoperto il fuoco, inventato la ruota, il giavellotto, le palafitte, i numeri, il cannocchiale, la mongolfiera, lo sputnik.
Il contrario dell’innovazione rallenta sviluppo e progresso, li frena, ma non può impedirli, perché ci sarà sempre qualcuno che riuscirà a realizzare processi virtuosi di cambiamento. Polverizzando le resistenze al cambiamento.
L’innovazione risponde a criteri e ragioni di approfondimento ed espansione delle conoscenze, segue processi logici, rispetta tempi e ritmi, si fonda sull’esistente e lo valorizza; non lo ignora, non lo rifiuta; lo riformula con competenza. L’innovazione richiede e prospetta una attività di intensa riflessione. L’innovazione è tenacia, perseveranza, rigore, creatività, metodo. Quindi scienza.
In fondo, forse non c’è cosa esistente che non abbia bisogno di una costante, incessante innovazione, nelle sue fondamenta, nelle sue finalità, che non richieda criteri nuovi, metodi nuovi, nuove decodificazioni e interpretazioni.
In natura l’immutabilità non esiste. Se non esiste nei fenomeni della natura, non può esistere in quelli della cultura.
C’è un libro di Pietro Citati che si intitola La mente colorata. Con questa espressione Citati intendeva un’intelligenza che si sostanzia di intuizione, di ramificazione del ragionamento, trasversalità nell’ argomentazione, uno sguardo complessivo sui fenomeni e sulle cose, rigore senza rigidità, flessibilità, intuizione e creatività che a loro volta significano disponibilità alla rimodulazione del pensiero, alla riformulazione dei concetti, rifiuto della definitività delle conclusioni, delle certezze assolute, delle decisioni irrevocabili.
Quelli che si chiamano innovatori hanno una mente colorata. Quelli che non sono innovatori hanno una mente di un solo colore: probabilmente scuro.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 5 maggio 2024]