2) La misura che il Governo mette in discussione va poi letta nel quadro delle politiche europee. Il nuovo Patto di stabilità, infatti, dispone misure di rientro dal debito che si traducono in riduzioni della spesa pubblica e, dunque, limitano gli spazi per finanziare agevolazioni fiscali alle imprese. La normativa sugli aiuti di Stato rafforza questa linea di politica economica, rendendo problematica, sul piano normativo, l’erogazione di sussidi alle imprese. La sospensione di Decontribuzione Sud da parte del Governo costituisce, in tal senso, un segnale della debolezza europea, dal momento che l’Unione appare eccessivamente interessata al problema del debito pubblico, spesso frenata da norme eccessivamente restrittive sulla spesa pubblica, da un notevole carico burocratico e poco attrezzata a individuare strumenti per accrescere la competitività della sua industria (si considerino, a riguardo, le recenti esternazioni di Mario Draghi).
Altri elementi di valutazione che attengono alla politica interna sono da considerare. Innanzitutto, la sospensione di Decontribuzione Sud da parte del Governo sembra andare nella direzione del perseguimento di obiettivi di riduzione della spesa pubblica, evidenti fin dal suo insediamento. A ciò si associa la linea della riduzione dei trasferimenti al Mezzogiorno, basata sulla convinzione per la quale lo sviluppo delle aree deboli del Paese sarebbe da demandare esclusivamente al miglioramento della qualità della spesa pubblica, a sua volta imputabile alla responsabilizzazione delle classi politiche locali in regime di autonomia differenziata. In secondo luogo, il Governo non interviene, né è fin qui intervenuto, sul rilevante problema della qualità dell’occupazione nel Mezzogiorno. Vi è ampia evidenza empirica relativa al fatto che gli incrementi di occupazione al Sud riguardano prevalentemente occupazioni di bassa qualità, in settori a basso valore aggiunto, rispetto ai quali, nella migliore delle ipotesi, i soli sussidi alle imprese reiterano il problema senza avviarlo a soluzione.
Il superamento di Decontribuzione Sud è peggiorativo dell’esistente: la misura mirava, infatti, a compensare la perdita di competitività delle imprese residenti nelle aree più deboli del Paese; perdita imputabile essenzialmente alla carenza di capitale fisso sociale e, dunque, all’assenza di esternalità positive che questo produce (si pensi alla scarsa disponibilità e alla scarsa qualità di trasporti). Le valutazioni d’impatto fin qui disponibili evidenziano la circostanza che le decontribuzioni più efficaci, ovvero quelle che hanno maggiori effetti su occupazione e salari, sono quelle mirate (per esempio, quelle rivolte ai giovani). Il Governo non sembra tener conto di questa evidenza. Si ricordi che Decontribuzione Sud deve superare il vaglio dell’incompatibilità con la normativa sugli aiuti di Stato.
Un’osservazione di carattere generale merita, in definitiva, di essere posta. Le agevolazioni fiscali alle imprese sono costose: “Decontribuzione Sud” pesa sul bilancio dello Stato italiano circa 4-5 miliardi di euro all’anno. Nella migliore delle ipotesi, le agevolazioni fiscali contribuiscono ad accrescere l’occupazione di bassa qualità, peraltro in un contesto nel quale questa tipologia di impiego è comunque in aumento anche senza sgravi fiscali (principalmente per effetto degli incentivi nel settore delle costruzioni e della crescita, nel recente passato, dell’incidenza del turismo al Sud).
Questi incentivi non rendono strutturale l’eventuale aumento dell’occupazione, legandola alla disponibilità di risorse pubbliche per finanziare le imprese private. Il Governo potrebbe utilizzare i risparmi conseguiti almeno per riportare il finanziamento del Welfare nel Mezzogiorno – sanità in primis – a livelli precedenti al definanziamento operato, in particolare, nell’ultimo anno. Peraltro, le stesse imprese ne trarrebbero vantaggio a lungo andare, potendo disporre di una forza-lavoro più produttiva.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 5 maggio 2024]