Il desiderio, la speranza, l’attesa del futuro sono tutti motivi presenti in quello che pensiamo o facciamo nelle nostre giornate. Siamo, si può dire, nell’ambito del sentimento di ciò che sarà, o potrà essere, in una tensione continua verso quel di là che, a seconda dei casi, potrà apparirci desiderabile oppure vagamente pauroso. C’è qualcosa in questo nostro atteggiamento o in questa nostra (istintiva?) scelta di ciò che corrode ogni progetto, ciò che spesso rende vano il nostro stesso agire e che dirotta la nostra attenzione verso un traguardo ingannevole. Troppo presi da quel di là che la mente ci presenta con l’urgenza della quotidianità, ci viene sottratta la sua possibilità di rivolgerci alla considerazione di paesaggi interiori più ampi, spogli di quell’urgenza che gli affanni della nostra giornata consueta ci fanno vedere come più importanti.
La considerazione troppo esclusiva del di là, insinua Montaigne, ci impedisce di tenere nel debito conto ciò che al presente sfugge: l’avvenire. La considerazione di esso toglie i puntelli alla costruzione che stiamo realizzando e ce ne mostra la debolezza. L’avvenire è una costruzione dai puntelli malsicuri e rende futile ogni discorso su ciò che sarà quando noi non saremo più.
Avrà ragione Montaigne di distoglierci da un’osservazione a vuoto dell’al di là?
[2016]