di Luigi Scorrano
Una spigolatura nell’opera di Montaigne, nei celebri e celebrati Essais, consente di soffermarsi proficuamente su osservazioni che forse senza lo stimolo della lettura di quell’opera non avremmo mai fatto. Di che cosa si tratta? È presto detto: Montaigne ci intrattiene sull’al di là. Detta così, la cosa può risultare poco attraente. Vediamo a distanza ravvicinata e intanto leggiamo un breve saggio (et pour cause!): «Noi non siamo mai in noi, siamo sempre al di là. Il timore, il desiderio, la speranza ci lanciano verso l’avvenire e ci tolgono il sentimento e la considerazione di ciò che è per intrattenerci su ciò che sarà quando appunto noi non saremo più» (Essais, libro I, cap. III).
L’al di là, o quello che così chiamiamo e che in tanti modi fantastici si configura, è un argomento che ci fa toccare, almeno toccare, la soglia di un mondo sconosciuto ed inquietante. Ma, rassicuriamo subito il lettore, non di fare un salto in un oltremondo quale che sia ci parlano le pagine di Montaigne, ma di un di qua inquietante moderatamente. Ma, diremmo, che è al di qua di ogni “invito” al mistero. In questo caso, infatti, il mistero siamo noi.
Montaigne ci ricorda una situazione generale: noi siamo sempre al di là di noi stessi, continuamente protesi verso quel che sarà; affacciati, si può dire, ai balconi dell’avvenire.