Poco alla volta, al “tu” e al “voi” si aggiunge il “lei”. Tra Cinquecento e Seicento questo nuovo pronome si diffonde nelle cancellerie e nelle corti, segna i rapporti formali. Un sistema tripartito funziona nei Promessi Sposi di Manzoni. Si danno del “voi”, alla pari, Agnese e Perpetua, Renzo e Lucia, il Cardinale e l’Innominato. Ancora alla pari, il “tu” viene usato tra Renzo e Bortolo o Tonio, vecchi amici. Agnese dà del “tu” a Lucia che risponde alla mamma con il “voi”. Don Abbondio dà del “voi” ad Agnese che risponde per rispetto con il “lei”. Ci insegna moltissimo sulle implicazioni legate all’uso dei pronomi il dialogo tra Fra Cristoforo e don Rodrigo. Inizia con il “lei”, i due sono cauti, stanno per toccare un argomento delicatissimo, le mire che il signorotto ha su Lucia, al punto da impedirne il matrimonio con Renzo. Rapidamente il colloquio precipita, si frantumano le cautele formali, il frate indignandosi passa al “voi” («la vostra protezione…») e per contraccolpo don Rodrigo passa al “tu”, sibilando con disprezzo («come parli, frate?»). In mille altre occasioni “tu” non indica disprezzo, esprime vicinanza, può essere usato con devozione per rivolgersi a un Ente superiore. «Tu dalle stanche ceneri / sperdi ogni ria parola» scrive ancora Manzoni, rivolgendosi alla Fede nel Cinque maggio. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» invoca Cristo sulla Croce.
Oggi, nella pratica, la scelta più frequente è limitata al “tu” e al “lei”, mentre il “voi”, riferito a un singolo individuo, si usa solo in condizioni particolari (vedremo quali). L’uso dei pronomi allocutivi non oscilla a caso, è soggetto a regole precise, dipende dal contesto in cui la comunicazione avviene ed è vincolato dalle norme sociali vigenti in un determinato momento storico. La scelta del pronome è determinata dal contesto (formale o informale) in cui si realizza il dialogo e dal tipo di relazione esistente tra i parlanti. La scelta deve essere coerente con i saluti, i titoli, il tono della voce e con i comportamenti non-verbali. A un amico con cui si è in rapporto confidenziale si dice: «ciao, Andrea, come stai?»; e la frase può essere accompagnata da comportamenti non-verbali come un abbraccio, una stretta di mano o una pacca sulla spalla. Ad una persona con cui abbiamo rapporti solo formali ci rivolgiamo con il “lei” e manteniamo anche fisicamente una certa distanza. Un giovane che si presenta a un colloquio di lavoro deve parlare e comportarsi in modo adeguato, non può sbagliare nell’uso dei pronomi.
“Tu” indica familiarità, “lei” indica distanza. Il “tu”reciproco è riservato ai rapporti informali (famiglia, amicizie, colleghi che si frequentano abitualmente); il “lei” reciproco si adatta ai rapporti formali e istituzionali fra persone che non si conoscono o si conoscono poco, ai rapporti gerarchici. Reciproco indica una condizione di simmetria, il rapporto non è sbilanciato. Gli interlocutori sono su un piano di parità e, di conseguenza, adottano lo stesso pronome. Ma esistono anche rapporti asimmetrici, nella lingua e nella società. Se uno dei due interlocutori è in posizione di maggior potere spesso si ha un rapporto asimmetrico: l’uso di “tu” da parte del superiore (o ritenuto tale) e di “lei” da parte dell’inferiore (o ritenuto tale). A volte il rapporto asimmetrico è ammesso, anzi normale. A scuola, quando gli studenti sono molto giovani, il professore dà del “tu” agli alunni ma questi si rivolgono al professore con il “lei”; all’università, con studenti di vent’anni e oltre, è normale il “lei” reciproco.
Il “voi” riferito a un singolo è oggi in regresso. Il regime fascista giudicava il “lei” capitalista e plutocratico e imponeva il “voi”, sembrava più virile e bellicoso. I risultati furono buffi. Si arrivò a sostituire il titolo della rivista femminile Lei con un nuovo nome, Annabella. Ma Lei di quel titolo non era pronome personale di cortesia, indicava che la rivista era dedicata alle donne e non agli uomini, a Lei e non a Lui. Con la caduta del fascismo, l’uso del “voi” decade ma non scompare del tutto. Il “voi” resiste in molti dialetti dell’Italia del sud, sentito come una forma di rispetto. A Napoli sono ancora frequenti domande del tipo: «Vi piace questa camicia? La volete comprare?». Anche all’università qualche studente chiede: «Professore, mi dite a che ora cominciano gli esami?». Specie nelle realtà rurali è ancora abbastanza diffuso l’uso del “voi” quando ci si rivolge a persone anziane o di grande importanza e superiorità morale.
Altre forme sono in totale disuso, quasi nessuno le usa più. Una volta, per rispetto, in un’aula universitaria o in una conferenza, si usava il plurale “loro” («come loro sanno…»). Usato ormai in senso ironico è l’arcaico “lorsignori”; dire «come lorsignori m’insegnano…» equivale a una presa in giro degli ascoltatori. I dialetti conservano più tenacemente forme arcaiche. Nel siciliano è ancora attestato (in calo tra i giovani), l’uso del “vossìa”, contrazione di Vossignoria che vuol dire Vostra Signoria. In Salento, nel contado e nei ceti popolari, verso estranei e persone giudicate di livello superiore, si usa come appellativo “Signuria”, con il verbo alla seconda persona singolare (per es. «Signuria, comu stai?»).
Tutto un mondo in quelle parolette, nei pronomi.
[“La gazzetta del Mezzogiorno” del 26 aprile 2024]