Una conversazione tra Antonio Prete e Carla Saracino: la scrittura che attraversa la vita

di Adele Errico

La scrittura che attraversa tutta la vita. Il dialogo ininterrotto con i libri, con la molteplicità dei loro significati. È questo il senso della letteratura per Antonio Prete, originario di Copertino, docente di letterature comparate, critico, narratore, poeta, traduttore. La scrittura come espressione dell’esperienza di esistere, come modalità di confronto con il mondo, come incontro con l’Altro, con la Storia. È uscito per l’editore Fallone “Dal tempo qui raccolto”,  una conversazione tra Antonio Prete e Carla Saracino, che rappresenta una sintesi essenziale di quelle che sono le direzioni e le occasioni di scrittura di Antonio Prete, che coincidono con le direzioni e le occasioni dell’esistenza.  Prete si muove nell’universo dei testi,  ascoltando, indagando, formulando domande, cercando risposte, interpretando i segni evidenti o nascosti.

Per Antonio Prete, la lettura e la scrittura di testi è un modo di esistere. Anzi, è una molteplicità di modi di esistere. Dice che non c’è ermeneutica senza un rapporto con l’alterità, “sia perché il testo è l’altro  cioè la differenza, sia perché al di là del testo e dell’interprete c’è ancora l’altro come scrittura, come luogo dove l’esperienza del rapporto si mette in scena, si racconta, si comunica a un ‘altro’ lettore”. Ma cosa c’è all’origine di ogni forma di scrittura di Prete, che sia poesie, saggio, racconto? È il tempo che rappresenta l’origine di ogni ricerca e di ogni scrittura di Prete. Scrivere è attribuire una forma alle domande sul tempo, alle sue figure, al suo trascorrere inevitabilmente, alla sua irreversibilità, al tempo come ricordo,  forma dell’attesa,  rappresentazione connessa con lo spazio,  principio del conoscibile e respiro di ogni essere vivente. Allora, per Prete, ogni sua scrittura è una meditazione e rappresentazione del tempo che si manifesta attraverso accadimenti, passaggi di stagione, divenire dei corpi. Con le sue interrogazioni, Carla Saracino riesce a far emergere i significati profondi di quella che si potrebbe definire l’avventura di pensiero e di scrittura di Antonio Prete. Non è incalzante, non è indiscreta. Aspetta che Prete faccia qualche accenno, che introduca un argomento, che schiuda le porte di un tema, che accenda il fuoco di un problema. A quel punto spinge  alla puntualizzazione, all’approfondimento. Come  quando partendo dall’esperienza dei luoghi consente a Prete di ritornare con la memoria alla targa di una Cinquecento blu targata LE 99033, oppure a Oreste Macrì che a Firenze gli parlava in dialetto magliese.

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