Non si può leggere tutto. L’importanza di scegliere

L’ho detto anch’io qualche giorno fa, anche se solo per provocazione, peraltro recuperando motivazioni non mie e niente affatto originali, con le quali pretendevo di dimostrare che il capolavoro di Manzoni non è un libro essenziale. Allora mi hanno risposto che ne avremmo riparlato a condizione che avessi riletto il capitolo XX.   

Un vuoto nella memoria. Di che cosa parla il capitolo XX dei Promessi sposi. Perché proprio il XX e non quello prima o quello dopo. Il cap. XX: quello. Allora sono andato a rileggere il cap. XX, e mentre leggevo mi domandavo come si può avere il coraggio di affermare che non è un libro essenziale. Rappresenta visioni del mondo, dell’esistenza, del caso, del destino, dell’umano, del sovrumano, senza confini di spazio, senza limiti di tempo. Porta in dono significati essenziali ad ogni pagina, ad ogni riga. Uno stile raffinatissimo, esemplare. Un romanzo come un grande affresco pittorico.  Come si fa a dire che non è un libro essenziale.  Il cap. XX: dodici pagine; la descrizione di una vecchia in un castello. Soprattutto tre parole, queste: “Io sono però”. 

Il capitolo XX è una parte per il tutto.

In un saggio contenuto in “Una pietra sopra”, Italo Calvino sosteneva che mai romanzo fu calcolato con tanta esattezza, che  I promessi sposi   è un “libro di storia involto in pagine di romanzo”; ogni effetto poetico e ideologico è regolato da un’orologeria predeterminata ma essenziale, da diagrammi di forze ben equilibrate. 

Una delle ragioni – la più frequente –  che vengono proposte da chi sostiene che non bisogna più leggere i Promessi sposi, riguarda la sua presunta inattualità. A parte l’impalcatura storica che ricorda straordinariamente fatti di epidemia accaduti appena ieri,  viene da domandarsi se sia corretto pretendere l’attualità di un’opera d’arte. Non c’è attualità in Mozart, in Beethoven, in Bach. Non c’è attualità in Michelangelo, in Caravaggio, Van Gogh. Non ce n’è in Omero, in Shakespeare,  in Goethe. C’è tutta l’inattualità possibile, perché sono senza tempo. Il mosaico di Pantaleone nella cattedrale di Otranto è assolutamente inattuale.

La Commedia di Dante era inattuale già nel Trecento: perché nel Trecento rappresentava quello che sarebbe accaduto nel 1945, nel  2024, quello che accadrà nel 2030, e dopo ancora. Forse è proprio la condizione di inattualità che trasforma un’opera in opera d’arte.

Non si può leggere tutto. Si legge quello che interessa, quello che piace, ed è giusto. Ma, oltre a questo,  forse si dovrebbero leggere i libri essenziali. Che non necessariamente devono essere molti.  

Non si può escludere che avesse ragione Gustave Flaubert quando in una lettera a Louise Colet,  scriveva: comme l’on serait savant, si l’on connaissait bien seulement cinq à six livres; come saremmo colti se conoscessimo bene soltanto cinque o sei libri.  Certo, si potrebbe obiettare che cinque o sei libri siano davvero pochi. Va bene. Ma facciamo l’ipotesi che siano i seguenti: la Bibbia, l’Odissea, La Commedia di Dante, Delitto e castigo, Pinocchio, À la recherche du temps perdu, I promessi sposi. Sono sette. Se facciamo questa ipotesi si potrebbe arrivare a pensare che sette libri siano anche troppo. Per leggere questi sette libri, per scendere dentro di essi, per scandagliarne i significati, ci vuole una vita intera, e forse non basta.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 21 aprile 2024]

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1 risposta a Non si può leggere tutto. L’importanza di scegliere

  1. Claudio scrive:

    Un bellissimo articolo. L’importanza di scegliere e’ fondamentale.

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