Parole, parole, parole 15. Cellulari: vecchio e nuovo possono convivere

di Rosario Coluccia

Un paio di settimane fa ero nell’aula magna di un Liceo, incontravo gli studenti delle ultime due classi. I temi dell’incontro erano quelli che trattiamo anche nella nostra rubrica: eccesso di anglicismi, linguaggi d’odio, politicamente corretto nella lingua, analfabetismo di ritorno, padronanza dell’italiano da parte degli studenti e anche degli adulti. Studenti mediamente attenti, qualcuno (timidamente) si spingeva a far domande. In fondo, seminascosti, tre o quattro ragazzi usavano di continuo il cellulare. I professori li hanno rimproverati. Io, pur apprezzando la solerzia dei professori, ho aggiunto che non volevo obbligare i ragazzi ad ascoltare le mie parole, potevano decidere liberamente cosa fare. Forse il richiamo alla scelta personale per una volta ha funzionato, da quel momento il gruppo ha partecipato. Alla fine dell’incontro i professori mi hanno spiegato le ragioni del loro intervento: in classe il cellulare è ospite indesiderato, nascono dispute continue perché gli studenti non lo usino a sproposito durante le lezioni.

Intendiamoci, il cellulare fa parte delle nostre vite, nessuno si sogna di respingerlo. E nessuno può ignorare il mondo digitale quando si ha che fare con ragazzi della “Generazione Z”, nati dal 1995-2010 in poi, che considerano il cellulare più o meno una protesi naturale da cui non riescono a separarsi neanche per brevi periodi, neanche quando vanno a dormire. Ma, allo stesso tempo, è giusto interrogarsi sull’uso che si fa del digitale, sulle conseguenze connesse a possibili smodatezze. A partire dai rischi fisici di cui non si parla. Rimanere per ore attaccati a computer, tablet e cellulare, senza nessuna forma di attività, comporta conseguenze di non poco conto, possibile aumento della miopia e posture scoliotiche.  

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