Trasmissioni radio 14. Tre ultimi mestieri

di Antonio Devicienti

Chissà che cosa direbbe l’ultima macàra di Terra d’Otranto? – forse: «Guarda gli olivi sulla soglia del giardino come alzano le braccia nel disco della luna: venite voi che volete galoppare in sella ai pensieri-cavalli sopra i tetti di Maglie: nelle stanze di tufo dormono i sonni, chisùre dove le mamme incontrano i figli morti nell’altra guerra e le mogli i mariti emigrati in Germania.

Le ringhiere dei balconi cantano piano o andra mou pai.

Appoggio la scala contro la luna e vedo salire le mesce mie antenate dalla cisterna dove guizzavano ed erano voci, echi e richiami verso il mare materiale della notte: danno bona sorte ai nascituri, curano i tumori della mente e del ventre».

E l’ultimo violinista delle tarantàte? – forse: «Ascoltate ancora l’oscillare del ragno tra tempo e ossessione, tra giugno e canicola, tra melancolia e Galatina- colorati nastri e acqua che si beve con la mente nella mente che si dondola ago a trapassare lune e lune di dimenticanza di lontananza di spossanza per cucirle insieme storia di lune e lune che non c’è nei libri di storia, che non c’è nei libri dei poeti, che c’è nthra lu ballu ci sana.

E so, so e vedo, vedo che non capite perché la mia vi sembra musica bella ma inganna: spossanza lontananza dimenticanza e servaggio nei campi e paura e miseria.

L’emigrazione, infine – o la malattia».

E l’ultima cestaia del Capo di Leuca? – forse: «Intrecciate con me questi giunchi che hanno sapore di palude e di malaria (infilava tabacco mia madre e mia nonna pure). Intrecciando intrecciando vi racconto la storia dell’acqua che se dal cielo sempre tarda scende sottoterra s’infila e tu, tu vedi rossa, la terra rossa e pietra, ovunque pietra mentre la ferrovia ti trasporta lentissima la sete siccitosa da Lecce a Gagliano del Capo, da Gagliano del Capo a Lecce e l’estate agli Alìmini, i Passiuna tu Christù, il ballo tondo alle masserie le vore l’inghiottono, le bocche della terra dove, se coraggio hai e dentro scendi, gli occhi di rana ti aspettano di Santa Maria di Costantinopoli e senti il mare, i Turchi che tornano, il sole nero a mezzogiorno».

La vora di Barbarano (Le).
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