“La colpa è mia” descrive un mondo spaccato a metà. Da un lato quello di chi può ricevere il messaggio di una persona amata, chi può stringerle la mano, chi può condividere un pasto, un film, un letto. Un amore. Dall’altro chi ha il telefono che non squilla mai, chi ha mani fredde che possono solo stringersi l’una l’altra, chi mangia da solo, chi vede i film da solo, chi dorme – inevitabilmente, dolorosamente, orribilmente – da solo. Bruno sembra spaccarsi a metà anche lui, dissolversi tra le due metà di questo mondo, i suoi contorni si fanno sfocati, come sul foglio bagnato i colori d’acquerello: “Quanto a me, io sono un acquerello./Mi dissolvo” scriveva Anne Sexton negli ultimi versi di una sua poesia. In una Lecce immobilizzata dal lockdown, Bruno deve “fare l’uomo” – fare, non essere –, incastrato nelle prerogative maschili di una generazione rotta, “inceppata”, che vorrebbe andare avanti ma non può, impantanata com’è in retaggi che impediscono una metamorfosi autentica. Spesso l’idea di colpa ne innesca un’altra, per la logica degli opposti, quella di redenzione. E di perdono. A leggere questo romanzo ci si sente costretti a perdonarsi: le parole che non si sono dette, le persone che non si sono amate, i sogni per i quali non si è lottato.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 10 aprile 2024]