“L’autobiografia è la forma più alta e più istruttiva in cui ci troviamo di fronte l’intendimento della vita. Qui un certo corso di vita costituisce l’elemento esterno, il fenomeno sensibile, da cui l’intendere si spinge a ciò che ha prodotto questo corso entro un determinato ambiente. E colui che intende tale corso è appunto identico con colui che lo ha prodotto: da ciò deriva una particolare intimità dell’intendere. Lo stesso uomo che cerca la connessione nella storia della sua vita, in tutto quello che ha sentito come valore della sua vita, realizzato come suo scopo, abbozzato come piano di condotta, in tutto quello che egli ha appreso indietro come suo sviluppo e avanti come formazione della sua vita e bene supremo di essa, in tutto ciò egli ha già costituito da vari punti di vista una connessione della propria vita che ora deve esser posta in luce. Egli ha isolato e accentuato nel ricordo i momenti della sua vita ritenuti significativi, lasciando gli altri sprofondarsi nell’oblio; il futuro lo ha poi informato sulla illusioni del momento intorno al suo significato.”
Wilhem Dilthey, Critica della ragione storica, Einaudi, Torino 1982, pp. 304-305. Traduzione di Pietro Rossi.