di Ferdinando Boero
L’11 aprile 1991, davanti ad Arenzano, a pochi chilometri da Genova, affonda la petroliera Haven, sversando 144.000 tonnellate di petrolio. L’Amoco Cadiz ne sversò 223.000 in Bretagna. La Torrey Canyon 119.000 nelle Isole Scilly. Bazzecole, rispetto all’oltre un milione di tonnellate dispersi nel Golfo del Messico dalla piattaforma Deepwater Horizon. A questi fenomeni acuti si accompagnano quelli cronici. In Liguria, negli anni sessanta e settanta, si andava al mare con una bottiglietta di solvente. Le spiagge erano piene di catrame, e il petrolio galleggiava in lunghe strisce. Capitava di tentare di attraversarle, nuotando sott’acqua, magari uscendo nel bel mezzo di una chiazza: una gioia per i capelli. Quel petrolio veniva dal lavaggio dei serbatoi delle petroliere. Dopo la crisi petrolifera il fenomeno si arrestò: non conveniva buttare a mare il petrolio.
Quei disastri, e molti altri, hanno portato a gravissimi fenomeni acuti e molti ricordano le immagini dei pellicani o dei gabbiani intrappolati dal catrame. O le spiagge tutte nere. Avvenne lo stesso anche con la Haven.