Ebbene, in Paesaggio letterario, accanto a tanti altri giornalisti, eruditi, editori, poligrafi, rimatori, viene menzionato (e non poteva essere altrimenti) anche «Pietro Marti, direttore de “La Voce del Salento”» che ‒ continua Bodini ‒
«è senza dubbio alla Biblioteca provinciale – che dirige laboriosamente da quattro anni – o a casa, intento a vergare, instancabile, cartelle su cartelle d’un altro suo libro in corso di stampa, Ruderi e Monumenti. Parlare di lui – continuava – è superfluo, nonché disadatto alle nostre relazioni, però voglio esprimere il mio accorato dissenso alla sua assoluta dedizione all’archeologia, quando la sua poliedricità di mente e la sua tempra di giornalista gli offrivano il possesso di ogni campo artistico e culturale»[4].
E in questo brano si noterà il consueto piglio polemico del giovane scrittore che, pur dimostrando affetto e grande rispetto per il nonno, dichiara di non condividere la sua passione per lo studio del passato, in linea ovviamente anche qui con la sua adesione al verbo futurista.
Tuttavia, qualche mese dopo, nonostante l’avversione per l’archeologia, dedicò la sua unica recensione apparsa sul settimanale tarantino proprio al volume di Marti, Ruderi e Monumenti, che intanto era uscito, rendendogli un dovuto omaggio (A lui – scrive ‒ «un cinquantennio di attività riconosce le condizioni, le capacità, il diritto d’occuparsi di cose d’arte, e di storia d’arte salentina»[5]). Ecco il breve scritto, che in realtà è più una segnalazione che una recensione vera e propria, riprodotta poi anche sul n. 21 del 26 giugno 1932 della «Voce del Salento»:
«Un nuovo libro sul Salento vede la luce e sembra che con l’agile sintetismo della sua struttura salda e completa voglia dire una parola relativamente definitiva agli studiosi di storia d’arte salentina.
In una nitida veste tipografica resa ancora più elegante da numerose illustrazioni che concorrono alla completezza dell’opera, si è edito in questi giorni Ruderi e Monumenti dell’illustre scrittore e pubblicista Pietro Marti. Al quale un cinquantennio di attività riconosce le condizioni, le capacità, il diritto d’occuparsi di cose d’arte, e di storia d’arte salentina.
Nel libro, vive di vita reale, ci appaiono le varie epoche storico-artistiche delle province di Lecce, Taranto e Brindisi, e questa visione non è composta di notizie e compulsazioni (ché non sarebbe visione) ma di cognizioni è soltanto corredata, in quanto l’essenza è una salda compagine spirituale in cui si agita l’arte del Salento.
Al Marti – che lo scorso anno meritò il consenso della stampa italiana e degli studiosi tutti per il volume Nella Terra di Galateo – spetta quest’anno un plauso maggiore, in quanto ci ha dato modo di conoscere in forma piana e in ordine non spezzato da vacuità dell’autore, come suole accadere, ma in un viaggio continuo e piacevole nella storia indigena di lui, l’evoluzione artistica del Salento»[6].
Ma all’inizio del 1933 la prima esperienza giornalistico-letteraria del giovane Bodini stava per concludersi definitivamente. Il 18 aprile di quell’anno, infatti, Pietro Marti morì ed esattamente un mese dopo uscì un numero speciale della «Voce del Salento», interamente dedicato a lui. In questo numero figurava anche un lungo articolo del nipote, nel quale egli tracciava un profilo, commosso e partecipe, dello studioso scomparso, alternando un tono oggettivo a uno più intimo e privato, basato sui ricordi personali. All’inizio, ad esempio, guardando il busto in gesso del nonno collocato nel suo studio, sembra quasi entrare in un ideale dialogo con lui: «Per rivederlo ‒ nel busto – fa d’uopo ch’io cancelli mentalmente l’espressione di fiera severità – nobile, ma non sua – e soffi ‒ tra i lineamenti precisi, nel gesso, il mio ricordo d’una chiara comprensione e affettuosa bontà»[7].
Poi incomincia a passare in rassegna le tappe principali della sua attività («cinquant’anni d’attività letteraria e quaranta pubblicazioni»), partendo dalla prima opera, Origine e fortuna della coltura salentina, pubblicata a Lecce nel 1893 e della quale nel 1895 uscì a Ferrara il secondo volume. In essa – scrive Bodini ‒ «la rivendicazione della propria terra […] fu […] per lui libera elezione d’amore che – quindi ‒ diventò imperativo categorico»[8]. Quest’opera, che, secondo l’autore dell’articolo, si può ritenere emblematica di tutta la sua intensa attività di studioso, tanto da poterle dare il nome, venne apprezzata da personalità autorevoli del mondo culturale italiano a cominciare da Giosue Carducci («l’orgoglioso e terribile Carducci») e poi da Ruggero Bonghi e Angelo De Gubernatis, dei quali riporta i giudizi.
Successivamente cita numerose altre pubblicazioni di vario argomento, nelle quali, a suo giudizio, Marti dimostra una non comune «versatilità», come Un rimatore tarentino del secolo XIII, dedicata a Guglielmotto di Otranto, La modellatura in carta, in cui l’autore ritorna a parlare di un aspetto della sua terra. E, a questo proposito, Bodini così scrive: «Se non la sua opera tratteggiassi, sibbene le sue purissime linee spirituali, non potrei fare a meno di pensarlo il Don Quijote che tutto ardisce per il suo amore, la sua Dulcinea: il Salento»[9], dove colpisce il riferimento al capolavoro di Cervantes che ventiquattro anni dopo egli avrebbe tradotto per Einaudi in maniera esemplare. E proprio la passione per la propria terra, forse, è l’eredità maggiore che Marti è riuscito a trasmettere al nipote il quale la metterà al centro della sua immaginazione, trasfigurandola e reinventandola originalmente nelle raccolte poetiche e nelle prose della maturità.
In questa rievocazione il giovane autore non trascura nemmeno di ricordare i vari spostamenti di Marti, tra i quali Taranto dove svolge «un’intensa attività politica, giornalistica, umana», fondando giornali, «Il Salotto. Biblioteca tascabile», tenendo conferenze. Poi menziona ancora altre pubblicazioni di Marti: Un precursore del trasformismo scientifico, in cui si occupa di Giulio Cesare Vanini, Pagine d’arte e di storia, Giuseppe Battista e i poeti salentini del secolo XVII, Don Liborio Romano e la caduta dei Borboni. Quest’ultima opera, che per lui rappresenta la «rivelazione d’uno storico di prima grandezza», è definita «genuina opera d’arte che oscilla tra il dramma e il poema» da Bodini il quale così continua con notevole, ma consapevole enfasi: «Assumo la responsabilità della mia audacia: nel leggerlo mi corse il pensiero a Tacito»[10].
Né l’autore trascura di citare le tante conferenze tenute dal nonno in vari centri della regione, l’attività poetica giovanile, sulla quale esprime velatamente qualche riserva (qualche carme da lui composto in gioventù «non denunziava il poeta», ma il «letterato fine ed evoluto»[11]), un romanzo. Al ritorno a Lecce, fonda la rivista «Fede», dirige la Biblioteca provinciale, compila il Catalogo bibliografico degli scrittori salentini e, «vicino ai settant’anni» pubblica, Nella terra del Galateo, che doveva essere, ma non fu, la sua ultima fatica. Ma anche dopo – scrive Bodini ‒ «continuò e non poteva fare altrimenti» e così conclude, ritornando al tono personale dell’inizio e accomunando il suo esordio in campo giornalistico all’ultima testata fondata e diretta da Marti:
«Se tempo e spazio, tiranneggiando, non mi avessero già costretto ad abbreviare; la sua vita di questi tempi avrei voluto ricostruirla amorosamente attraverso i miei ricordi densi e vivi, attraverso le pagine care de «La Voce», la sua «Voce del Salento» – ultimo suo giornale e mio primo – attraverso le sue ultime pubblicazione – tante delle cui pagine mi dettava, con la facilità di chi legge.
Allora, se questi ultimi suoi anni costituiscono tanta parte della mia giovinezza io non posso, no, farne la cronaca in poche comme, stupidamente oggettive: tradire alla fine il compito – piuttosto… e far punto»[12].
Nemmeno successivamente, negli anni della maturità, Bodini dimenticò il nonno. Nel 1954, in una Lettera di protesta, apparsa sul settimanale leccese «Voce del Sud», a proposito del Premio Salento, in cui si lamentava di essere stato chiamato in causa dalla giuria senza motivo e contro il suo volere, così lo ricordava in polemica con l’ambiente locale: «Con Pietro Marti, mio nonno, la cultura salentina è già abbastanza in debito verso la mia famiglia, e dunque mi si lasci in pace»[13]. A quegli anni risale anche un elenco delle pubblicazioni di Marti (ventidue tra volumi, opuscoli e conferenze), da lui compilato su due fogli dattiloscritti che recano l’intestazione Università degli Studi di Bari, dove insegnava, da me rinvenuto, in casa della sorella Margherita Guido, nel volume Don Liborio Romano e la caduta dei Borboni. Degli anni Sessanta, infine, è una foto che ritrae Bodini nella Villa comunale di Lecce accanto al busto in bronzo del nonno, lì collocato, a dimostrazione dell’affetto che continuò a legarlo a lui fino agli ultimi tempi della sua vita (Fig. 1).
[In Pietro Marti e i suoi tempi. Atti
dell’Incontro di studi (Casarano di Lecce, 21 aprile 2023). Presentazione di Mario Spedicato. Prefazione di Fabio D’Astore-Paolo
Vincenti, Castiglione (Lecce),
Giorgiani, 2024]
[1] Cfr. Ennio, Estratto de «La Voce del Salento», a cura del Prof. Pietro Marti, Lecce, Edizioni Promessa, 1932.
[2] V. Bodini, L’anima di Ennio. Il novatore, in «La Voce del Salento», n. 36, 20 novembre 1932.
[3] Su questa collaborazione cfr. A. L. Giannone, Bodini esordiente e la «Voce del Popolo», in «Contributi», 1, marzo 1984, pp. 63-77, poi in Id., La «permanenza» della poesia, Studi di letteratura meridionale tra Otto e Novecento, Cavallino di Lecce, Capone, 1989, pp. 65-81.
[4] V. Bodini, Lettere leccesi. Paesaggio letterario, in «Voce del Popolo», n. 5, 30 gennaio 1932.
[5] V. Bodini, Salento artistico, in «Voce del Popolo», n. 19, 7-8 maggio 1932. Da notare che Bodini scrisse anche una recensione del vol. di Raffaele Marti, L’estremo Salento, in «La Voce del Salento», n.32, 4 ottobre 1931
[6] Ibid.
[7] V. Bodini, In memoria di Pietro Marti. … e l’opera, in «La Voce del Salento», supplemento al n. 11, 18 maggio 1933.
[8] Ibid.
[9] Ibid.
[10] Ibid.
[11] Ibid.
[12] Ibid.
[13] V. Bodini, Lettera di protesta, in «Voce del Sud», 6 novembre 1954.