Ognuno ha una propria idea della fortuna, che non coincide mai con quella di un altro. Perché ognuno ha una propria idea della vita, che non coincide mai con quella di un altro, se fortuna vuol dire caso, destino, sorte, fato, ventura, combinazione. Né ci sono fortune grandi o piccole fortune, fortune fugaci, fortune durature. La fortuna è incomparabile, assoluta. Non esiste un’età per avere fortuna, né una per cercarla, o aspettarla, o sognarla. C’è chi pensa che tutto dipenda dalla fortuna, chi pensa che homo faber fortunae suae. C’è chi dice che la fortuna dà il pane a chi non ha i denti, chi invece che audaces fortuna iuvat.
C’è chi dice che fortuna e disgrazia sono vicine di casa e che si scambiano la visita frequentemente. In un certo senso è il concetto che esprimeva Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata (II,70):
“Ché fortuna qua giù varia a vicenda/ mandandoci venture or triste or buone,/ ed a i voli troppo alti e repentini/ sogliono i precipizi esser vicini”.
Non si sa mai che cosa sia davvero la fortuna. Se muti pensiero o abbia intendimenti precisi. Chi si ritiene saggio dice che fortuna sia addormentarsi senza alcun rimorso. Dicono sempre i saggi che gli stolti pensano che fortuna sia vita scialata, danaro, agio, lusso, sfarzo. Forse aveva ragione Sofocle nell’Edipo re: nessuno confidi nella buona fortuna finché, nel giorno della sua morte, la vita non gli sia apparsa come un ricordo senza dolore.
Forse Jannik Sinner mette in conto anche la fortuna, ma alla fortuna antepone l’impegno, il lavoro, l’umiltà. Ha raggiunto risultati straordinari che probabilmente riuscirà a superare, conservando comunque la stessa umiltà. Senza alcun dubbio. Perché umili si nasce, non si diventa. L’umiltà è come il coraggio di cui diceva don Abbondio, che se uno non ce l’ha non se lo può dare.
L’umiltà è consapevolezza di sé, delle proprie possibilità, dei propri limiti, consente di attribuire alle cose e ai fatti il giusto valore, di scansare il pericolo della sensazione di invulnerabilità.
Ci sono campioni che hanno più o meno la stessa età di Sinner, la stessa compostezza, la stessa umiltà. Sono molti. Sono tanti. Non hanno notorietà, ma sono tanti. Per esempio fanno ricerca nei laboratori, fanno volontariato, assumono impegni nel sociale, hanno occupazioni precarie, lavorano di giorno per pagarsi gli studi, studiano fino a notte fonda per preparare gli esami, non cercano il successo ma la realizzazione di un sogno. Hanno sogni normali ad occhi aperti e chiusi ma non hanno pretese di trionfi. Giocano per se stessi, per la loro vita, anche loro.
Ognuno di noi ne conosce almeno uno. Davvero sono in tanti. Campioni di una normalità straordinaria, di una ordinaria eccellenza, fuoriclasse della quotidianità che produce sviluppo, progresso, cultura.
Jannik probabilmente diventerà il numero 1 del tennis a livello mondiale. Unico. Loro sono molte centinaia, molte migliaia. Ma sono tutti ugualmente campioni. Allo stesso livello. Anche loro confidano poco nella fortuna. Sanno che per arrivare da qualche parte è necessario il sacrificio. Che da qualche parte non arriveranno mai a vent’anni o poco più, che ne serviranno almeno un’altra decina, un’altra ventina. Per loro l’umiltà è il metodo di un’esistenza. E’ una virtù, un orgoglio, un sentimento, onestà nei confronti di se stessi, rispetto degli altri. Saggezza. Anche per questi campioni la grandezza si capisce dal principio, da quando cominciano a giocare la partita. Non vincono mai niente oppure vincono quel trofeo che vale più di ogni altro e si chiama dignità.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 7 aprile 2024]