Nuove segnalazioni bibliografiche 28. La gloria della lingua

di Gianluca Virgilio

La gloria della lingua. La gloria della lingua è un’espressione che usa Dante in Purgatorio XI, dove Oderisi da Gubbio sconta il peccato della superbia per la sua maestria nell’arte della miniatura. Allo stesso modo, i poeti – e Dante per primo – sono a rischio punizione perché altro vanto essi non hanno se non questo, la gloria della lingua. E tuttavia, se dalla superbia bisogna giustamente guardarsi, sarà bene non trascurare l’ambito in cui si manifesta l’essenza dell’essere umano: la lingua. Dante ci insegna che la lingua non bisogna solo parlarla (e scriverla), ma su di essa va esercitata la riflessione, com’egli fece nel De vulgari eloquentia, andando alla ricerca della pantera che lascia il suo profumo ovunque e non si trova da nessuna parte, ovvero il volgare illustre, la lingua italiana. Ed è esattamente quello che fa Rosario Coluccia nel suo libro Conosciamo l’Italiano? Usi, abusi e dubbi della lingua, edito dall’Accademia della Crusca, Firenze 2020: “Risulta naturale riflettere sulla lingua, nostra e degli altri. Dove sta andando l’italiano?” (p. 5). Questo è l’oggetto dell’indagine.

Rosario Coluccia è professore emerito di Linguistica dell’Università del Salento e uno dei cento membri della famosa Accademia della Crusca, che dal 1583 a Firenze vigila e preserva la lingua italiana. Nessun purismo, per carità! Ma solo un’attenta valutazione dello stato attuale della lingua italiana, la nostra lingua madre, nella quale tutti noi ci esprimiamo. “Raggiunta l’unificazione linguistica, sulla scena della lingua si affacciano nuove questioni. L’ingresso incontrollato di parole straniere, il nuovo italiano che ragazzi e adulti adottano per gli sms e per i diversi canali della comunicazione in rete, la presenza di forme sciatte e spesso francamente errate, non solo nel parlato e nello scritto informale ma anche nell’italiano dei media, nei discorsi politici, nella comunicazione istituzionale e nelle circolari ministeriali ecc. Bisogna opporsi alla deriva. Vanno difese la comprensibilità, la correttezza e la bellezza della lingua, senza irrigidirsi in aprioristiche negazioni dei fermenti che la percorrono e nello stesso tempo evitando di cedere al pressapochismo agrammaticale che ignora la storia e anche la funzionalità” (p. 7).

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